nuove terapie mediche
 
Prima di scrivere sull’idrocolonterapia e sue applicazioni, ho voluto visionare quello che in INTERNET era già presente: sono state scritte pagine e pagine molto qualificate su questa metodica, da più medici di fama nazionale ed ho trovato questa metodica descritta anche da centri di nazionalità sovietica. Che cosa avrei io potuto aggiungere di più?
Ho pensato allora di parlare dell’esperienza che il dott. Tagliente (medico che con me condivide questo tipo di terapia) ed io abbiamo sino ad ora avuto dall'oramai lontano 1999, anno in cui, dopo aver visto lo stato dei colon in moltissime IRIDI, abbiamo deciso di intraprendere questo tipo d’approccio col paziente.
Posso dire, dopo una lunga esperienza di vita e di lavoro, che prima di parlare di qualsiasi argomento e dare un giudizio, bisogna approcciarsi, conoscere, sperimentare ripetutamente, meditare e poi tirare le proprie conclusioni. Perché dico questo? Ho letto, scorrendo tra i vari siti, molti commenti superficiali e inadeguati a questa tecnica, commenti dai quali si evince che non si era affrontato seriamente e con competenza l'argomento e che secondo me denunciavano in fondo un’atavica paura per il nuovo (che nuovo non è).
"L’io penso", "A me sembra", "L'io direi", mi hanno riportato alla mente il famoso e quanto mai profondo proverbio che "TRA IL DIRE E IL FARE C'E' DI MEZZO IL ...MARE".
La realtà che l'intestino tende a trattenere le scorie al suo interno è vera già dai primi minuti di "venuta al mondo", infatti una delle motivazioni per cui al neonato va fatto bere il colostro della mamma già dalle prime ore è quella di aiutare lo svuotamento dell'intestino dalle scorie che si sono prodotte nei mesi di vita intrauterina
Un colon perfetto nella sua forma e funzione, lo si vede solo sulle tavole anatomiche; in realtà, e nella sua forma e dal punto di vista d’innervazione (equilibrio tra il sistema simpatico e parasimpatico), affermerei che è pressoché impossibile da riscontrare, vuoi per informazione genetica vuoi per quello che noi ne facciamo con il nostro vissuto; e quando parlo di nostro vissuto in questo caso mi riferisco a quello che mangiamo e beviamo, a quanto mastichiamo, a come respiriamo, all'importanza che diamo al cibo e al tempo in cui lo consumiamo, alla presa di coscienza della sua funzione vera, allo stato d'animo con cui ci approcciamo ad esso. Tutti questi fattori interferiscono anche con lo svuotamento delle scorie. Sembra normale già evacuare una volta al dì, ma secondo me, soprattutto dopo la mia esperienza d’anni di lavoro, così non è. Se s’introduce del cibo due o più volte al dì, altrettante volte si dovrebbe svuotare il colon dalle scorie prodotte.
Quando questo non succede, (addirittura ci sono delle persone che evacuano più o meno normalmente dopo vari giorni) ci si deve chiedere: dove sono le scorie non fuoriuscite?
Due sono le zone d’elezione di deposito di quella parte dell'intestino chiamato COLON: il CIECO, che io chiamo il nostro secchio della spazzatura e il tratto DISCENDENTE e SIGMOIDEO.
Al loro interno le scorie non eliminate, vanno in fermentazione, aumenta così la temperatura che provoca di riflesso una loro disidratazione e quindi indurimento. Queste parti indurite si annidano nelle sacche del colon, aggredendo nel tempo le membrane delle pareti. Nel frattempo passano alla putrefazione grazie alla colonizzazione di funghi e parassiti nocivi, i cataboliti che ne derivano, attraverso il sistema linfatico e sanguigno, vanno in circolo e vanno ad aggredire un possibile organo non in equilibrio, predisposto ovvero ad una debolezza di funzione e si manifesta una MALATTIA. Malattia che normalmente si va a curare SINTOMATICAMENTE (mal di testa, piorrea, dermatiti, cellulite e...l'elenco potrebbe andare avanti per molto), senza prendere il problema alla sua origine.
Certo, curare a valle e non a monte, è dagli effetti più immediati, ma non duraturi, perché il problema può ripresentarsi o scaturire da un'altra parte. Dire al paziente che la prima "MEDICINA" è l'alimentazione, portarlo a prendere coscienza, anche con vari test esistenti e, soprattutto, portarlo a cambiare, a rinunciare a tanti piatti succulenti ma pressoché privi di valori energetici, non è facile, ci vuole molto tempo e pazienza per cancellare tutte le informazioni che le pubblicità c’inculcano e, quindi, ricominciare da zero.
“Ma cosa sono i CEREALI INTEGRALI” mi sento spesso dire. “No, non posso rinunciare alla PIZZA il Sabato sera”. “Le VERDURE...non mi sono mai piaciute”. “Rinunciare ai dolci ...,NO!!!” “Ma se mi toglie i FORMAGGI vado in Osteoporosi” (chissà come fanno le mucche, con la loro stazza, a produrre tanto latte, cosa mangeranno? e cosa mangiano i giganteschi elefanti con le loro potenti zanne?).
“MA FARE IL LAVAGGIO DEL COLON è DOLOROSO?” E’ un'altra domanda frequente a cui, nelle altre pagine è stato abbondantemente risposto, e poi, provare per credere.
“MA L'IMMISSIONE D ’ACQUA NON E' UN METODO INVASIVO E INNATURALE?” E perché, la rimozione della placca dentaria con varie strumentazioni è naturale? No, ma necessaria, rispondo io.
MA SI SPECULA SU QUESTA TERAPIA..., il sistema sanitario non la riconosce. Purtroppo in molte regioni è ancora così (se non erro, nel Veneto è riconosciuta), ma invito a riflettere che quello che sembra una SPESA insopportabile, in realtà è un investimento in salute, in qualità della vita con se stessi e con i propri cari, è un non dover passare da un ospedale ad un 'altro dopo una certa età.. “si può invecchiare bene, senza necessariamente ammalarsi, se facciamo la giusta manutenzione alla NOSTRA AUTO, e non solo alla carrozzeria” è in realtà un risparmio di danaro e di tempo sprecato. Per quanto riguarda la speculazione con questa metodica, non ho mai visto arricchirsi nessun terapeuta in questione.
“MA IL PASSAGGIO D’ACQUA DISTRUGGE LA FLORA INTESTINALE BATTERICA”...La nostra flora intestinale è costituita da 90 bilioni d’elementi, suddivisi in 600 famiglie diverse, del peso complessivo di 1,5 kg (quanto quello del fegato). Anche questa è un’informazione distorta dall’ignoranza, intesa nel senso di ignorare il vero stato delle cose. Prima di arrivare alle pareti intestinali, luogo di residenza della normale flora batterica, bisogna superare degli strati in cui risiedono funghi e parassiti non certo benefici alla nostra salute, quindi “vivaddio” se con il lavaggio riusciamo ad allontanare tali “ospiti indesiderati e dannosi”. .
Vi è mai capitato di sollevare un sasso in un terreno umido, incolto, poco ossigenato e non soleggiato?.....
Il mio intento, con questo scritto è quello di sensibilizzare chi legge, non solo ad approcciarsi a questo tipo di terapia così come oramai ci si approccia a quelle dentistiche, ma di migliorare, il proprio stile di vita, iniziando da un’alimentazione il più vicino alla natura, senza dimenticarci che NOI SIAMO quello che mangiamo, che respiriamo, che pensiamo, che sentiamo in vibrazione con il TUTTO.
Dottoressa Rosa Angela Racanelli
Tutto questo potete trovarlo su,
http://www.eurosalus.com/

Guarire dalla celiachia e ricreare tolleranza al glutine è possibile

Si stanno identificando nuove strade di guarigione che anzichè imporre la eliminazione del cibo per tutta la vita, aiutano l'organismo a ricreare tolleranza un boccone dopo l'altro. In relazione alla diversa situazione individuale la celiachia può essere affrontata con la eliminazione del glutine dalla dieta o invece con la rieducazione alla tolleranza attraverso l'impiego crescente di basse dosi di glutine. Tornando a una dieta libera.

/ Lettere a Eurosalus

La diagnosi di celiachia è sempre definitiva?

Concordiamo pienamente sul fatto che di fronte a questo tipo di diagnosi ci siano da fare oggi una ampia serie di considerazioni, perché in molti casi si arriva a parlare di celiachia quando le condizioni di salute sono ottime, solo perché alcuni esami sono risultati "mossi".

/ L'omeopata risponde

In seguito a un'infezione da HPV devo essere operata: l'omeopatia può aiutarmi?

Qualche accorgimento per sentire meno dolore durante l'intervento chirurgico e per mettere l'organismo nelle condizioni migliori per resistere all'infezione.

/ L'omeopata risponde

Mi hanno bocciato ad un esame e mi sento calpestata dalla vita

Ci sono momenti che mettono a dura prova la forza e la capacità di reazione individuale: ecco i rimedi più indicati per affrontare le situazioni più complicate.

/ L'omeopata risponde

Sono diabetico: come agisce Insulinum 9 DH?

Un'alimentazione corretta e una regolare attività fisica sono alla base del trattamento contro il diabete. In questo quadro ben si integra un rimedio come Insulinum 9 DH.

/ Notizie
Curare l'artrite con il cibo è a portata di tutti

Una famiglia di sostanze prodotte dalle cellule adipose in risposta al tipo di pasto, si sta rivelando una delle più importanti classi di sostanze con azione infiammatoria o, all'opposto, di controllo della infiammazione. Per chi soffre di artrite, la scelta, ad esempio, tra pane e formaggio o spaghetti integrali con verdure non avrà più lo stesso valore, e potrà diventare il modo per evitare i farmaci e guarire.

/ Notizie
Pomodori... energetici

A Londra è nato il primo supermercato ecologicamente corretto alimentato a pomodori. Tutto merito di due serre, di tre turbine e della calcolatrice carbon footprint che aiuta a calcolare quanto costa all'ambiente l'energia che spendiamo in una qualsiasi attività. Una notizia come questa affianca creatività, sensibilità ambientale e fantasia, utilizzate in un modo originale e utile che meriterebbe una maggiore diffusione.

/ L'omeopata risponde

Le ragadi possono essere molto fastidiose. Qualche semplice istruzione per risolvere il problema rapidamente e nella maniera più naturale

Le ragadi possono essere molto fastidiose. Qualche semplice istruzione per risolvere il problema rapidamente e nella maniera più naturale.

/ Notizie

Il colesterolo continua a non fare più così male...

Grandi novità sulla necessità di NON usare farmaci. La corsa sfrenata alla riduzione del colesterolo non sembra più portare ai risultati cercati. Intanto molti scienziati iniziano a dire, come noi diciamo da anni, che il problema del colesterolo è più commerciale che scientifico e con la tabella del nostro articolo calcolate se il vostro rapporto tra Colesterolo totale e Colesterolo HDL è giusto...

La stagione del menù immunitario

Arriva dai ristoranti di Los Angeles la nuova moda alimentare salutista. D'ora in poi ogni pasto verrà segnalato per le sue proprietà e i suoi effetti sul sistema immunitario.Alla faccia del junk food.

Tutto questo potete trovarlo su, http://www.eurosalus.com/
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Nuove terapie contro l'asma

La rimozione della massa della muscolatura liscia dalle vie aeree di pazienti sofferenti di asma mediante un trattamento endoscopico basato su onde termiche può portare a un miglioramento significativo della qualità della vita dei soggetti trattati, secondo un gruppo di ricercatori canadesi. Lo studio ha coinvolto 108 pazienti con un'età media di circa quarant'anni, già trattati con scarso esito con terapie farmacologiche standard. All'inizio dello studio il livello di FEV1 nei soggetti (volume di aria emesso nel primo secondo di un'espirazione forzata) era compreso fra il 60% e l'80% del normale. Il team di ricerca guidato da M. Laviolette (Laval University, Quebec) ha diviso in due gruppi i soggetti: uno ha proseguito la terapia farmacologica (il gruppo di controllo), mentre un secondo gruppo è stato sottoposto a termoplastica bronchiale, un intervento che prevede l'inserimento di un catetere con una punta utilizzata per ridurre mediante il calore la massa muscolare in tutte le vie aeree accessibili. La termoplastica è stata effettuata in tre sessioni di circa mezz'ora. I pazienti sono stati controllati tre, sei e dodici mesi dopo la termoplastica; i livelli di FEV1 sono stati misurati in ciascun controllo. I pazienti sono anche stati invitati a non assumere beta-agonisti per due settimane prima del controllo. Secondo Laviolette, si è riscontrata una diminuzione del cinquanta per cento delle crisi respiratorie gravi nel gruppo sottoposto a termoplastica rispetto al gruppo di controllo. Si tratta di una differenza significativa, che porta a un importante miglioramento della qualità della vita dei soggetti trattati. Laviolette aggiunge che gli studi condotti sugli animali dimostrano che il miglioramento è ancora presente a tre anni di distanza dall'intervento. Questa nuova soluzione è molto promettente, soprattutto per i soggetti anziani sofferenti di asma che spesso devono assumere molti altri farmaci per la cura di diverse patologie e per quelli che risultano refrattari al trattamento farmacologico.
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Bronchite acuta e antibiotici

In un articolo recentemente pubblicato sul New England Journal of Medicine, due medici della Virginia Commonwealth University hanno sostenuto che non vi è alcuna prova del fatto che, nella maggior parte dei casi, gli antibiotici siano utili per il trattamento di pazienti con bronchite acuta, per cui i medici dovrebbero evitarne la somministrazione. La bronchite acuta, uno stato infiammatorio delle vie aeree superiori caratterizzato dalla presenza di una tosse estremamente irritante, è una delle condizioni più diffuse fra quelle trattate dai medici di famiglia e ogni anno colpisce circa il 5% della popolazione adulta. Secondo questa ricerca, non vi è alcuna prova a sostegno dell'efficacia della prescrizione di antibiotici per le bronchiti a breve termine, soprattutto perché nella quasi totalità dei casi si tratta di infezioni virali, che non rispondono alla cura con antibiotici. Anche i farmaci somministrati per placare la tosse associata alla bronchite acuta pare abbiano scarso effetto. R. Wenzel, direttore del reparto di medicina interna presso la Scuola di medicina della Virginia Commonwealth University, afferma che i medici prescrivono antibiotici nell'80% dei casi di bronchite acuta per il trattamento iniziale, nei primi 5-10 giorni. Secondo Wenzel, i pazienti di questo genere dovrebbero essere rimandati a casa senza alcuna prescrizione farmacologica; solo una minima percentuale di bronchiti acute è legata a una causa di origine batterica e richiede antibiotici. Nella maggior parte dei casi la patologia scompare comunque dopo pochi giorni: è sufficiente riposare e bere molto. Wenzel, che ha scritto l'articolo con A. Fowler, un suo collega presso lo stesso ateneo, ritiene che la prescrizione inutile di antibiotici sia un fatto negativo, per diverse ragioni. Innanzitutto si tratta di un trattamento che non aiuta i pazienti a superare la malattia, in secondo luogo è uno spreco di denaro. Inoltre gli antibiotici possono provocare effetti collaterali come diarrea, disturbi gastrici, cefalea, dolori muscolari. Infine, le prescrizioni non necessarie possono contribuire al problema della resistenza dei batteri agli antibiotici, che diventano perciò meno efficaci nel trattamento delle infezioni. Secondo Wenzel, i medici dovrebbero dedicare il tempo necessario per spiegare ai pazienti perché non si debbano assumere antibiotici, piuttosto che concludere la visita con una prescrizione, se si può evitarlo.
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Quindici secondi per identificare problemi cardiaci?

Un test che richiede solo quindici secondi in pronto soccorso può consentire di capire chi, tra i pazienti con dolori al torace, ha effettivamente problemi cardiaci. In questo modo i medici potrebbero dedicarsi tempestivamente ai pazienti che hanno realmente bisogno di un intervento sollecito. L'ipotesi deriva da uno studio condotto su 103 soggetti con dolori al torace, sottoposti agli esami di routine e a una scansione specifica della durata di quindici secondi (MDCT, tomografia computerizzata multidetettore), che consente ai medici di controllare la presenza di placche nelle coronarie. L'identificazione delle placche è fondamentale, dal momento che la loro presenza è indice della sindrome coronarica acuta (ACS), un termine che comprende vari stati patologici. Secondo U. Hoffmann, autore dello studio (Harvard Medical School), l'ACS raramente si presenta se non vi sono placche a livello delle coronarie, per cui il risultato del test mediante MDCT consente di identificare rapidamente i pazienti che, con ogni probabilità, potranno essere dimessi. In questo modo, chi non va ricoverato può tornare tranquillamente a casa, mentre è possibile intervenire più tempestivamente sui soggetti che hanno effettivamente problemi cardiaci. Lo studio ha esaminato 41 donne e 62 uomini, dell'età media di 54 anni, che si sono recati al pronto soccorso del Massachusetts General Hospital denunciando forti dolori al torace. 14 pazienti su 103 sono stati ricoverati per ACS ed erano stati identificati anche dal test con MDCT per l'elevata presenza di placche. Dei 41 soggetti risultati privi di placche mediante MDCT e di cui si è comunque disposto il ricovero, a nessuno è stata diagnosticata ACS entro i cinque mesi successivi. Sui restanti 73 soggetti, non ricoverati, il test MDCT ha dato esito negativo e non vi è stata diagnosi di ACS. Hoffmann ha aggiunto che attualmente sono poche le strutture di pronto soccorso che dispongono dell'attrezzatura per il test e si stanno preparando a utilizzarla, ma ritiene che questa procedura si diffonderà largamente nei prossimi anni. Secondo la Heart Association di Dallas, ogni anno milioni di persone richiedono interventi medici di emergenza a causa di dolori al torace, il sintomo più comune di un attacco cardiaco. In molti casi la diagnosi è effettivamente quella, ma milioni di persone vengono ricoverate perché non si riesce a determinare rapidamente quale sia la diagnosi precisa. La scansione MDCT potrebbe aiutare i medici a ridurre drasticamente il numero di ricoveri legati a queste situazioni, liberando risorse per chi ne ha realmente bisogno.
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Nuove tecnologie per i disabili

La voce fuori campo invita una giovane donna, bloccata su una sedia a rotelle, a muovere un'altra sedia a rotelle, che si trova di fronte a lei, prima in avanti poi a sinistra. La donna si limita a pensare di muovere la sedia e... la sedia si muove secondo i comandi mentali impartiti. T. Surgenor, presidente di Cyberkinetics Neurotechnology Systems, spiega che la donna ha controllato i movimenti della sedia con la sua immaginazione. Surgenor ha utilizzato il video della donna per dimostrare la tecnologia BrainGate a novecento ricercatori, medici e investitori. Il risultato è stato ottenuto impiantando un minuscolo sensore che analizza i segnali cerebrali sulla parte del cervello che controlla i movimenti della mano; un piccola presa dietro l'orecchio collega il sensore a un computer che, a sua volta, ha una connessione wireless alla sedia a rotelle spostata dalla donna. A. Rezai (Brain Neuromodulation Centers, Cleveland) ritiene che la dimostrazione tenuta da Surgenor sia solo la punta dell'iceberg: per i soggetti paralizzati, la tecnologia attuale ha la capacità di modificare radicalmente le loro vite. Secondo Surgenor, BrainGate verrà commercializzato entro la fine del decennio, anche perché buona parte della tecnologia su cui si basa è già diffusa e disponibile; Cyberkinetics fornisce il sistema operativo. L'obiettivo è quello di realizzare componenti che siano tutti wireless e di dimensioni ridotte, per eliminare la necessità di impiantare una presa nel cranio del soggetto. Un'altra azienda, Northstar Neuroscience, sta collaudando un dispositivo destinato ad assistere chi soffre di difficoltà motorie a carico di mani e braccia. La terapia procede a identificare aree specifiche del cervello che tentano di compensare le funzionalità perdute; qui vengono impiantati degli elettrodi, quindi si effettua una stimolazione elettrica che, teoricamente, rafforza i collegamenti fra neuroni. A. Levy (Northstar) afferma che questo sistema ha lo scopo di aiutare il cervello a riorganizzarsi in risposta a una perdita di capacità funzionale; di solito questo meccanismo consente di recuperare solo una piccola parte delle funzioni perdute. Secondo A. Rezai, l'utilizzo di dispositivi che stimolano elettricamente determinate aree del sistema nervoso o di altri organi potrebbe essere applicato a soggetti sofferenti di varie patologie che oggi non si riesce ad affrontare con successo.
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Nuove frontiere per la guerra al dolore

Un giovane artista di strada pakistano e i membri delle tre famiglie con cui era imparentato hanno consentito a un gruppo di ricercatori di svelare un'inattesa novità genetica che potrebbe condurre a una rivoluzione nel campo dei farmaci che combattono il dolore. Nel corso della sua breve vita il ragazzo non ha mai sofferto alcun dolore. Nella zona in cui viveva, nel Pakistan settentrionale, era un'autentica celebrità: si esibiva di fronte a folle stupefatte infilandosi coltelli nelle braccia e camminando su carboni ardenti. Lo sfortunato ragazzo è morto il giorno del suo quattordicesimo compleanno, saltando da un tetto. Studiando il suo caso e quello di altri individui appartenenti a famiglie dello stesso clan, gli scienziati hanno individuato una rara mutazione genetica che blocca il dolore. G. Woods (università di Cambridge) afferma che tutti i sei individui con la mutazione non hanno mai sofferto di alcun dolore in nessuna parte del corpo per tutta la vita. La mutazione individuata da Woods e dai suoi collaboratori in Gran Bretagna e Pakistan riguarda il gene SCN9A e blocca un canale del sodio che produce gli impulsi nervosi che conducono i segnali del dolore al cervello. In questo modo i soggetti non provano alcun dolore. Woods ritiene che nuovi farmaci in grado di bloccare la funzionalità di questo canale potrebbero aprire una nuova frontiera terapeutica. Pfizer sta già sviluppando un nuovo farmaco basato proprio su questa scoperta. Il dolore è una sensazione utile perché ci segnala la presenza di un problema. Secondo J. Wood, questa scoperta è altrettanto importante della scoperta dei recettori della morfina e degli oppiacei avvenuta vent'anni fa. Wood aggiunge che è la prima volta che si riscontrano modifiche di questa portata sull'organismo dovute alla mutazione di un singolo gene.
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Novità per la diagnosi dell'Alzheimer

Una molecola sperimentata da un gruppo di medici a Los Angeles potrebbe rappresentare un nuovo metodo non invasivo per la scoperta di nuovi farmaci e per la diagnostica della malattia di Alzheimer. Prima della messa a punto di queste metodologie, l'unico metodo disponibile per pervenire a una diagnosi certa di Alzheimer era una biopsia (o un'autopsia). Questa nuova ricerca fa parte di uno sforzo globale per mettere a punto metodi di indagine non invasivi, utilizzando marcatori che possano essere rilevati mediante PET (tomografia a emissione di positroni). La molecola utilizzata (FDDNP) si lega alle placche senili di amiloide e ai grovigli neurofibrillari di proteina tau che si sviluppano nei soggetti colpiti da Alzheimer, inibendo l'elaborazione dei messaggi da parte del cervello. Nello studio condotto da G. Small e colleghi (UCLA) sono stati presi in esame 83 soggetti, in parte con problemi di memoria di vario genere, in parte senza alcun problema di natura cognitiva. Il test effettuato con FDDNP e PET si è rilevato preciso al 98% nell'identificare i casi di Alzheimer, un risultato migliore della PET per misurare il metabolismo dello zucchero nel cervello (87%) e migliore della valutazione dello stato di salute cerebrale mediante risonanza magnetica (62%). Inoltre questo esame permette di identificare la presenza della malattia prima che ne compaiano i sintomi; secondo Small, consente anche di rilevare l'evoluzione della patologia nel corso del tempo. I ricercatori sperano che il test sia messo a punto e distribuito entro tre anni, in modo da poter intervenire con più efficacia e tempestività sulle decine di milioni di persone colpite da questa patologia attualmente incurabile.
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Il futuro delle terapie contro l'influenza

È stato identificato un punto debole in una proteina del virus dell'influenza: questa scoperta potrebbe portare alla messa a punto di nuovi farmaci in grado di fermare l'espandersi dell'infezione. La lunga coda della proteina è il suo punto debole ed è pressoché identica in ceppi diversi dell'influenza A, la forma più comune del virus. Nuovi farmaci progettati per aggredire la proteina potrebbero dunque rivelarsi efficaci contro tipi diversi di virus influenzali. Y.J. Tao (Rice University, Houston), che ha guidato il team di ricerca, afferma di avere determinato la struttura atomica della nucleoproteina del virus dell'influenza A, scoprendo che contiene una coda flessibile. La proteina è coinvolta nel meccanismo di replicazione del virus, per cui si potrebbe utilizzare la struttura della coda della proteina per produrre farmaci in grado di aggredire il virus. Il team guidato da Tao ora sta collaborando con altri centri di ricerca per individuare una molecola in grado di inibire la replicazione del virus. I risultati pubblicati su Nature potrebbero aprire la strada a un approccio assolutamente innovativo nella guerra al virus. Il trattamento corrente è focalizzato su farmaci antivirali come Tamiflu di Roche, tuttavia alcuni ceppi di H5N1 hanno mostrato resistenza al farmaco; gli esperti temono che questi virus possano mutare in forme altamente infettive per l'essere umano, provocando una pandemia che potrebbe causare milioni di morti. Le influenze stagionali, di tipo A e B, uccidono ogni anno fra le 250.000 e le 500.000 persone. La scoperta della struttura della proteina nucleare è essenziale, dal momento che si tratta di una proteina centrale nel processo di infezione virale. Dopo che il virus ha aggredito una cellula, la proteina concorre alla creazione dei microrganismi che infetteranno altre cellule. Secondo Tao, è sufficiente la mutazione di uno dei trenta aminoacidi che costituiscono la coda della proteina per impedire la replicazione del virus.
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Schizofrenia: una nuova generazione di farmaci

Le autorità statunitensi hanno recentemente approvato un nuovo trattamento per la schizofrenia, basato su una singola somministrazione quotidiana, derivato dal principio attivo contenuto nel Risperdal, uno psicofarmaco prodotto da Johnson & Johnson. L'autorizzazione è stata concessa nei tempi previsti, tuttavia il farmaco (Invega) è accompagnato dall'avvertenza che potrebbe provocare disturbi al sistema elettrico cardiaco. Il nuovo farmaco è progettato allo scopo di somministrare il paliperidone (il principio attivo di Risperdal) mediante una tecnologia che consenta alla sostanza di rimanere nell'organismo più a lungo. La schizofrenia è una patologia mentale cronica che colpisce milioni di persone. I sintomi comprendono allucinazioni, disordine nei movimenti e nei pensieri, rifiuto della socializzazione e deficit cognitivi. D. Throckmorton, direttore del centro della FDA per la valutazione e la ricerca sui farmaci, afferma che la schizofrenia può essere una patologia devastante, che richiede terapie farmacologiche e psichiatriche di lunga durata. L'approvazione da parte delle autorità dà a J&J diciotto mesi di tempo per distribuire il nuovo farmaco prima che possano essere distribuiti farmaci generici concorrenti. Il farmaco è stato sperimentato su più di 1.600 pazienti in ventitre nazioni e ha portato a un significativo miglioramento nei sintomi, rispetto al placebo, in tutti i dosaggi testati. Gli effetti collaterali comprendono irrequietezza, tachicardia e sonnolenza. Invega fa parte di una classe di farmaci noti come antipsicotici atipici, associati all'aumento di peso e di rischio di diabete. Il farmaco non è stato sperimentato sul lungo periodo, perciò la FDA raccomanda ai pazienti che lo utilizzano per molto tempo di sottoporsi a visite di controllo periodiche.
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Pericolosità del silicone liquido

Le iniezioni illegali di silicone con finalità estetiche possono essere fatali: spesso causano lesioni polmonari e grave insufficienza respiratoria. C.S. Restrepo ha presentato un suo studio in proposito, con immagini relative a 44 pazienti. L'utilizzo del silicone liquido iniettato direttamente nell'organismo è stato proibito nel 1992 negli Stati Uniti e nel 1993 in Italia proprio a causa della sua pericolosità. Il silicone è stato utilizzato fin dagli anni Sessanta in terapie iniettive, per la correzione di difetti estetici. Dopo gli interventi si verificava una reazione infiammatoria locale transitoria, destinata a scomparire mediante una terapia antibiotica. I problemi sono cominciati con l'utilizzo del silicone in grandi quantità per aumentare il volume del seno, che hanno provocato vari problemi patologici. In seguito il silicone liquido è stato soppiantato da altre tecniche a base di siliconi più solidi, che non si diffondono nell'organismo. Attualmente la legislazione italiana indica chiaramente quali sono le protesi consentite e le strutture autorizzate a impiantarle. Secondo Restrepo, direttore di radiologia toracica presso l'università del Texas a San Antonio, molti transessuali si orientano verso le iniezioni di silicone effettuate da operatori assolutamente non idonei, a causa dei costi troppo elevati delle protesi o delle terapie ormonali. Tuttavia il silicone iniettato in modo improprio può diffondersi nei polmoni, provocando ostruzioni che possono essere fatali se non vengono trattate con tempestività. Dei 44 pazienti di Rastrepo, 25 erano maschi transessuali, 19 donne. Tutti i pazienti hanno sofferto di febbre e insufficienza respiratoria dopo la somministrazione illegale di iniezioni di silicone liquido. Il tasso di mortalità è stato del 25%. Il silicone è stato iniettato prevalentemente nel seno, nei capezzoli, nella vagina, nel torace e nelle braccia. Secondo Restrepo è difficile quantificare la diffusione di questa pratica, anche perché i pazienti che arrivano in pronto soccorso con difficoltà respiratorie difficilmente dichiarano di avere ricevuto iniezioni di silicone liquido. Restrepo spera che un'adeguata diffusione delle informazioni relative alla pericolosità di questa pratica clandestina possa ridurne gli effetti.
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Novità nella lotta ai tumori

Un momento di comprensibile rabbia ha colto Katherin Schaefer quando si è resa conto che le sue colture di cellule tumorali, controllate con cura e attenzione, erano morte. Ma dopo pochi attimi la ricercatrice ha capito di essersi imbattuta per puro caso in un potenziale trattamento per il cancro. Schaefer e i suoi colleghi (University of Rochester, New York) sono convinti di avere scoperto un nuovo metodo per aggredire i tumori che hanno "imparato" a resistere ai trattamenti farmacologici. I test sulle cavie di laboratorio sembrano indicare che il composto utilizzato è in grado di "rompere" le pareti cellulari delle cellule tumorali. Il composto verrà sottoposto a ulteriori prove; i ricercatori sperano di poterlo utilizzare per il trattamento di tumori del colon, dell'esofago, del fegato e della pelle. Schaefer ha dichiarato che stava utilizzando le cellule tumorali come modelli per l'intestino. Le normali cellule umane infatti sono difficili da crescere e studiare in laboratorio perché muoiono facilmente, mentre le cellule tumorali sono molto più resistenti, per cui vengono utilizzate spesso dagli scienziati. Schaefer era impegnata nella ricerca di farmaci per il trattamento delle infiammazioni causate dalla malattia di Crohn e dalle coliti ulcerose. Stava testando un composto noto come modulatore PPAR-gamma, e non avrebbe mai pensato che potesse agire come un farmaco. La ricercatrice ha commesso un errore e ha utilizzato una quantità del composto nettamente superiore al necessario: le cellule sono morte. Mentre Schaefer si lamentava, un collega le ha chiesto: "Sbaglio o stai dicendo che hai ucciso delle cellule tumorali?". A quel punto la ricercatrice si è resa conto di quanto era accaduto e ha deciso di esaminare meglio la questione. Dopo una lunga serie di prove, i ricercatori hanno rilevato che il composto ha ucciso una vasta gamma di tumori epiteliali e agisce in modo simile ai farmaci a base di taxani. Secondo Schaefer, il composto attacca la tubulina, un componente del citoscheletro delle cellule utilizzato per costruire i microtubuli, a loro volta un elemento della struttura cellulare. In questo modo le cellule tumorali vengono distrutte; il problema di queste terapie è che le cellule tumorali sviluppano una resistenza al farmaco. La differenza fra i farmaci in uso e il nuovo composto è che i primi bloccano la capacità della tubulina di costruire i microtubuli, mentre il secondo ne causa la scomparsa, benché non si sia ancora compreso quale sia il meccanismo alla base di questo effetto. Sono previste ulteriori sperimentazioni per verificare l'efficienza del composto e comprenderne meglio la funzionalità.
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Gli oppiacei e la cura del mal di schiena

L'analisi sistematica di una serie di ricerche suggerisce che gli antidolorifici oppiacei non presentano alcun vantaggio rispetto a farmaci della stessa tipologia basati su molecole diverse nel trattamento del mal di schiena cronico, mentre comportano un rischio elevato di assuefazione. Il mal di schiena è il secondo sintomo più diffuso riscontrato dai medici statunitensi. Quando altri trattamenti (esercizi fisici e antinfiammatori non steroidei) non risultano efficaci per controllare il dolore, i medici spesso passano alla prescrizione di antidolorifici oppiacei. Tuttavia non si conoscono con precisione la frequenza con cui vengono somministrati, la loro efficacia e la loro sicurezza. D.A. Fiellin (Yale University, Connecticut) e i suoi colleghi hanno analizzato i dati ricavati da 38 diversi studi sull'utilizzo degli oppiacei per la cura del mal di schiena. I tassi di prescrizione di questi farmaci in caso di mal di schiena variano moltissimo da ricerca a ricerca, passando dal 3% al 56%. I dati unificati dei vari studi non dimostrano un vantaggio significativo degli oppiacei per combattere il dolore nei confronti di farmaci non a base di oppiacei, ma neanche in confronto ai placebo. Un'analisi di dati ricavati da cinque diversi studi che confrontano l'efficacia relativa di diversi oppiacei mostrano solo una lieve diminuzione del dolore. Inoltre, un disordine nell'assunzione di queste sostanze si è presentato in una percentuale di casi che va dal 36% al 56%; percentuali diverse, ma significative, di pazienti hanno avuto problemi nel controllare l'assunzione di questo genere di farmaci. Secondo Fiellin, i risultati della ricerca dimostrano che i medici dovrebbero riconsiderare il trattamento del mal di schiena con farmaci oppiacei, prendendo in considerazione altri trattamenti con benefici analoghi e che non presentano problemi di assuefazione a lungo termine.
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Novità nella somministrazione di farmaci mediante inalazione

Oggi ci si attende che i farmaci destinati a combattere il dolore abbiano tutti un effetto molto rapido, ossia un'efficacia che deve manifestarsi in un lasso di tempo che va dai quindici minuti a un'ora. Per Alexza Pharmaceuticals Inc., che sta sviluppando farmaci per varie patologie dolorose, la rapidità si misura in secondi. La casa farmaceutica californiana sta studiando farmaci che possano essere "fumati" e, come la nicotina nelle sigarette, passino attraverso i polmoni e nel flusso sanguigno quasi istantaneamente. L'azienda non è la sola a studiare tecnologie che consentano di inalare i farmaci, ma la sua strategia, ossia il riscaldamento di un farmaco per creare un vapore, è unica. Il prodotto di punta di Alexza è la versione vaporizzata di un vecchio farmaco, la proclorperazina, usato da Alexza come terapia contro l'emicrania ma utilizzata comunemente, in forma liquida, per il trattamento della nausea. L'obbiettivo dell'azienda americana è la distribuzione del farmaco mediante l'utilizzo di piccolo dispositivo per le inalazioni, in grado di riscaldare il farmaco e generare un vapore che possa essere inalato. Secondo J. Lieberman, rettore di psichiatria alla Columbia University, si tratta di un metodo efficace di assumere un farmaco, benché la sua efficacia dipenda anche dal tipo di patologia. Alexza sta esaminando anche altri farmaci, in particolare quelli per gli attacchi di panico. Se tutto procederà secondo i piani, la commercializzazione di questo "kit" farmacologico potrebbe iniziare nel 2010 negli Stati Uniti.
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Nuove frontiere per sconfiggere la cecità

Un minuscolo dispositivo elettrico collegato alla retina potrebbe un giorno consentire ai pazienti colpiti dalla degenerazione maculare senile di recuperare la vista. Il dispositivo, attualmente nelle fasi iniziali di sviluppo, fa parte di una nuova classe di protesi "intelligenti" che mettono in collegamento il cervello e il sistema nervoso per ripristinare funzionalità perse a causa di patologie o infortuni. Dispositivi analoghi di stimolazione elettrica sono stati utilizzati per il trattamento della sordità, mentre altri sono in fase di studio. La retina artificiale è progettata per supplire al malfunzionamento delle cellule fotorecettrici deputate alla cattura e all'elaborazione dei segnali luminosi. M. Humayun (University of South California) ritiene che questa tecnologia potrà essere utilizzata sui pazienti che hanno perduto la vista a causa della degenerazione maculare senile. Questa patologia è la causa principale di cecità fra gli adulti nelle nazioni più sviluppate e ha colpito circa trenta milioni di persone. Humayun e i suoi colleghi, con il supporto di Second Sight Medical Products, stanno lavorando su un impianto in corso di sperimentazione negli Stati Uniti. L'impianto è stato sperimentato su sei pazienti e ha dato esiti superiori alle aspettative, consentendo ai soggetti di distinguere oggetti semplici come una tazza, un piatto e un coltello. Il dispositivo è costituito da una piccola telecamera montata su occhiali, che trasmette i dati all'impianto, applicato all'esterno del bulbo oculare e collegato mediante un cavo alla retina. I pazienti inoltre devono portare un trasmettitore alla cintura, che gestisce l'elaborazione dei dati e alimenta il dispositivo. Humayun, che ha assistito i pazienti nel corso dell'esperimento, ha dichiarato che riteneva, nella migliore delle ipotesi, che i pazienti sarebbero stati in grado di distinguere luce e buio. La versione preliminare dell'impianto consisteva di sedici elettrodi (o pixel). La versione più recente contiene sessanta elettrodi, mentre le sue dimensioni si sono ridotte a un quarto. La retina artificiale ha lo scopo di creare una nuova "strada" per consentire alle immagini di raggiungere il cervello. Il nuovo ciclo di prove coinvolgerà da cinquanta a settantacinque pazienti in cinque centri negli USA, per un periodo da uno a due anni. Se l'esito fosse positivo, Humayun ritiene che il dispositivo potrebbe venire commercializzato entro due anni.
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'aglio non influisce sui livelli di colesterolo

Il consumo di aglio, al naturale o come supplemento alimentare, non abbassa il livello del colesterolo "cattivo", diversamente da quanto molti credono. Secondo C. Gardner (Stanford Prevention Research Center, California), l'aglio semplicemente non funziona: non esistono pillole né erbe che consentano di contrastare gli effetti di un'alimentazione poco salutare. La convinzione sugli effetti anticolesterolo dell'aglio in parte è originata da esperimenti di laboratorio, che tuttavia secondo Gardner non sono supportati da ricerche condotte sull'organismo. Nel suo studio condotto su 192 soggetti con livelli leggermente elevati di LDL (lipoproteine a bassa densità, il cosiddetto colesterolo cattivo, che tende a intasare le arterie), l'aglio si è rivelato privo di effetti. I livelli di colesterolo dei partecipanti allo studio andavano da 130 mg per decilitro di sangue a 190 mg, ai limiti della necessità del trattamento farmacologico. Lo studio è stato finanziato dal National Institute of Health statunitense. I partecipanti sono stati divisi in quattro gruppi, tre dei quali hanno assunto aglio in varie forme (naturale o supplementi), mentre uno ha assunto placebo. Secondo Gardner, i risultati dello studio hanno dimostrato che l'aglio non ha alcun effetto sulla riduzione dei livelli di LDL; il medico ritiene che sarebbe interessante indagare anche su altre ipotetiche qualità della pianta (rafforzamento del sistema immunitario, effetto antinfiammatorio, effetto anticancro). La reputazione dell'aglio come toccasana risale ai tempi degli antichi egizi; l'aglio veniva consumato in abbondanza da greci e romani e il suo succo è stato utilizzato anche come antisettico.
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Nuove metodiche anticoncezionali

Secondo un gruppo di ricercatori europei, esiste un metodo contraccettivo basato sul controllo di due indicatori della fertilità che ha un'efficacia pari a quella dei contraccettivi orali nella prevenzione di gravidanze indesiderate. Nota come metodo sintotermale, la tecnica aiuta a identificare la fase fertile della donna, mediante la misurazione della temperatura e l'osservazione del muco vaginale. Durante le fasi identificate come fertili, i rapporti sessuali vanno evitati, oppure si utilizzano altri metodi anticoncezionali, come i preservativi. Secondo lo studio pubblicato sulla rivista Human Reproduction, il metodo sintotermale ha portato a un tasso di gravidanze indesiderate annuale dello 0,6%, un livello in linea con quelli ottenuti con le pillole contraccettive. Secondo P. Frank-Hermann (università di Heidelberg), affinché un metodo anticoncezionale sia considerato efficace quanto la pillola, deve dare un risultato inferiore a una gravidanza ogni cento donne in un anno. Fra le donne che hanno utilizzato correttamente il metodo sintotermale, il tasso di gravidanze indesiderate è stato pari allo 0,4%; per questa ragione, Frank-Hermann ritiene che l'efficacia di questo metodo sia pari a quella di altri metodi moderni. Nel corso dello studio, il più ampio mai svolto per valutare l'efficacia del metodo, 900 donne hanno registrato quotidianamente la temperatura, riportato osservazioni sul muco vaginale e sui rapporti sessuali. Il tasso di gravidanza annuale fra le donne che si sono astenute da rapporti sessuali durante il periodo fertile è stato pari allo 0,4%, fra le donne che hanno avuto rapporti utilizzando un contraccettivo è stato dello 0,6%. Circa il 9% delle donne ha interrotto l'utilizzo del metodo sintotermale a causa di insoddisfazione o difficoltà, un tasso molto inferiore a quelli tipici di altri metodi di pianificazione famigliare. Frank-Hermann ritiene che imparare ad applicare correttamente il metodo non sia difficile, ma certamente richiede più tempo rispetto alla semplice assunzione di una pillola.
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Cancro e mutazioni cellulari

Una recente analisi approfondita del DNA delle cellule tumorali ha mostrato la presenza di centinaia di geni di cui si ignorava il coinvolgimento in queste patologie. I ricercatori hanno individuato più di mille diverse mutazioni in una sola famiglia di geni estratti da duecento campioni di tumori di diverso genere. Secondo M. Stratton (Sanger Institute, Cambridge), è stata accertata la presenza di almeno cento nuovi geni legati al cancro. Il medico ritiene che centoventi delle mutazioni riscontrate siano direttamente collegate allo sviluppo del tumore. A. Futreal, che ha collaborato allo studio, ha affermato che si tratta di un numero di geni nettamente superiore a quanto i ricercatori si attendevano di trovare, ossia non più di una decina. Gli scienziati hanno scelto di esaminare la famiglia di geni delle chinasi, che agiscono come una sorta di interruttore cellulare. La presenza delle mutazioni in alcuni casi è legata alla patologia specifica; ad esempio, nel caso di tumore ai polmoni, le mutazioni sono indotte spesso dall'azione prolungata negli anni del fumo di sigaretta. Secondo Stratton, le mutazioni emerse possono essere considerate come una vera e propria cronistoria della patologia tumorale, che potrebbe consentire di comprendere il comportamento delle cellule nel corso della loro intera esistenza. La quantità maggiore di mutazioni è stata trovata nei tumori al polmone, seguiti da quelli gastrici, alle ovaie e del colon, mentre si trovano meno mutazioni nei tumori ai testicoli e al seno. Sono state anche individuate mutazioni che non sembrano avere nulla a che fare con lo sviluppo della patologia. L'approfondimento di questi studi è essenziale per migliorare le terapie antitumorali. Infatti, per comprendere appieno questo tipo di patologie è necessario catalogare dettagliatamente tutte le anomalie genetiche coinvolte.
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AIDS: scoperto un tallone d'Achille del virus
Un team di scienziati del National Institute of Health (NIH) statunitense è riuscito a catturare un'immagine del virus dell'AIDS nel momento in cui aggredisce le cellule del sistema immunitario; secondo i ricercatori, l'analisi delle immagini potrà essere utile nella messa a punto di un vaccino contro questa patologia attualmente incurabile. Infatti è stato individuato un punto sulla superficie esterna del virus HIV che potrebbe essere vulnerabile all'attacco da parte di anticorpi in grado di bloccarlo prima che infetti le cellule dell'organismo. P. Kwong (NIH) ha affermato che lo studio, pubblicato sulla rivista Nature, potrebbe finalmente rivelare il tallone d'Achille del virus, su cui basare la creazione di un vaccino mirato a prevenire l'avvio dell'infezione. Secondo Kwong, la conoscenza del punto debole e la capacità di realizzare anticorpi specifici sono elementi che possono consentire la realizzazione di un vaccino; certamente la strada da percorrere sarà lunga, ma ora si può passare da una fase in cui l'idea di vulnerabilità dell'HIV era solo un sogno a una fase in cui si tratta di superare le difficoltà tecniche per la messa a punto di un trattamento efficace. Secondo gli esperti del settore, un vaccino è l'unica possibilità di arrestare la diffusione pandemica dell'AIDS, che ha ucciso più di venticinque milioni di persone da quando venne identificato, nel 1981. Attualmente circa quaranta milioni di persone sono affette dall'HIV, soprattutto nell'Africa sub sahariana. I vaccini potenziali in fase di sviluppo sono decine, ma solo due si trovano in una fase avanzata di sperimentazione sull'uomo (uno prodotto da Merck and Co., uno da Sanofi-Aventis SA). La difficoltà principale nello sviluppo di un vaccino contro l'AIDS consiste nel fatto che questa patologia aggredisce le cellule del sistema immunitario, deputate alla difesa dell'organismo. Il gruppo di ricerca dell'NIH è riuscito a catturare immagini a livello atomico del virus, che hanno rivelato la struttura di una proteina sulla superficie dell'HIV nel momento in cui la proteina si lega a un anticorpo che tenta di contrastare l'infezione. Secondo i ricercatori, la proteina (gp120) sembra vulnerabile all'attacco da parte dell'anticorpo (b12), che è in grado di neutralizzare il virus. Un anticorpo è una proteina del sistema immunitario che ha la funzione di individuare e distruggere virus e batteri. I ricercatori hanno analizzato in dettaglio l'interazione fra il virus e l'anticorpo. Il virus utilizza la sua proteina per penetrare nelle cellule che infetta, mentre l'anticorpo tenta di bloccare il processo. Il virus muta rapidamente per evitare l'aggressione da parte degli anticorpi che tentano di bloccare le proteine che l'HIV utilizza per legarsi alle cellule e infettarle. Secondo G. Nabel, coautore della ricerca, questa è una fase critica dell'infezione. In ogni caso, saranno necessari anni di ricerche e approfondimenti per riuscire a comprendere del tutto i meccanismi d'azione del virus e riuscire così a produrre un vaccino realmente efficace.
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Nuovi farmaci per la lotta all'AIDS

Pfizer Inc. ha dichiarato che l'aggiunta del farmaco sperimentale maraviroc a un trattamento basato su altre sostanze antivirali ha comportato il raddoppio della quantità di pazienti in cui il virus è stato soppresso. Maraviroc potrebbe essere il primo di una nuova classe di farmaci orali anti HIV dall'introduzione degli inibitori di proteasi, secondo H. Mayer, responsabile di Pfizer per lo sviluppo del farmaco. Maraviroc è stato realizzato con l'obiettivo di bloccare il virus HIV installandosi nelle cellule T, che sono un componente essenziale del sistema immunitario. Se l'aggressione dell'HIV contro queste cellule fallisce, il virus non è in grado di replicarsi. Il nuovo farmaco, assieme ad altri dello stesso tipo, è un inibitore della proteina CCR5, presente sui recettori cellulari. Circa l'80% dei pazienti infetti più di recente e il 50% di quelli sottoposti a trattamenti sono stai aggrediti dal virus CCR5 tropico, che utilizza il recettore CCR5 per penetrare nella cellula, secondo C. Petropoulos (Monogram Biosciences, un'azienda produttrice di un test sul CCR5). In seguito il virus sviluppa, in molti pazienti, la capacità di utilizzare una via alternativa (CXCR4). Pfizer ha condotto due test con maraviroc, rispettivamente su 601 e 475 pazienti colpiti da HIV. Nel primo caso, il 60,4% dei pazienti ha risposto positivamente a due somministrazioni quotidiane del farmaco, in associazione con altri farmaci, (meno di 400 copie di HIV per ml di sangue), contro il 54,7% con singola somministrazione e il 31,4% con la terapia senza maraviroc. Il secondo test ha dato esiti analoghi, rispettivamente con il 61,3% contro il 55,5% e il 23,1%. Secondo i responsabili di Pfizer, non è stato riscontrato alcun aumento degli effetti collaterali; inoltre, poiché il maraviroc non attacca direttamente il virus, è meno probabile che l'HIV riesca a sviluppare strategie di resistenza al farmaco. I test proseguono e Pfizer prevede di poter divulgare altri risultati sull'efficacia del trattamento entro la fine dell'anno.
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