medicina
 
COSA FARE IN CASO DI URGENZA

La responsabilità civile e penale del soccorritore

Possiamo considerare come limiti estremi entro i quali il soccorritore deve prestare la sua opera due norme del Codice Penale:


Art. 590 - LESIONI COLPOSE
Art. 593 - OMISSIONE DI SOCCORSO

Da un lato abbiamo l'obbligo di prestare la nostra opera, dall'altro il rischio di dover rispondere di eventuali danni arrecati durante il soccorso.
NON dimentichiamoci che tutto quanto viene fatto al paziente cosciente, prevede un'esplicita autorizzazione dello stesso.Ricordiamoci anche che ogni paziente ha diritto alla discrezione ed alla riservatezza, pertanto non è consentito divulgare informazioni apprese durante l'opera di soccorso.
La risposta più semplice ed equilibrata è la seguente: se si dimostra di aver agito in maniera corretta e coscienziosa, di aver fatto tutto il possibile, senza superare i limiti delle proprie capacità e dei mezzi a disposizione, ben difficilmente si avranno ripercussioni legali.
In via definitiva, come ribadito in precedenza: USIAMO IL BUON SENSO!

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Norme generali di comportamento
Prima regola del soccorritore: PROTEGGI TE STESSO.

Seconda regola del soccorritore: OGNI AZIONE IN EMERGENZA É SPESSO SENZA APPELLO, QUINDI VALUTA BENE PRIMA DI AGIRE, FAI LE COSE CON CALMA E USA IL BUON SENSO.

Un soccorso è realmente tale quando risulta:

UTILE: conforme al bisogno
EFFICIENTE: affronta il problema nel modo corretto
EFFICACE: produce un beneficio reale
Il soccorso deve quindi essere sempre:

NECESSARIO: motivato da un evento straordinario, dalla gravità dell'evento e dall'urgenza dello stesso (è inutile, dannoso e perseguibile penalmente chiamare l'ambulanza per scherzo).

MIRATO: finalizzato a risultati precisi ed immediati volti a non compromettere l'incolumità propria o di altre persone nonché a NON peggiorare le condizioni del paziente. NON ti è richiesto di migliorarle.

PROPORZIONATO: richiede mezzi e comportamento idonei, ossia prudenza: se non sai bene cosa fare astieniti da interventi approssimativi e/o improvvisati rivolgendoti sollecitamente a chi è in grado di intervenire in modo corretto.

EQUILIBRATO: proporzionato alle necessità del momento: la fretta è cattiva consigliera; è sicuramente meglio attendere un intervento con mezzi adeguati che non un soccorso affrettato.

PROGRAMMATO: mezzi e modi di intervento sempre pronti in conformità ai rischi esistenti: è opportuno seguire un metodo fisso d'intervento, individuarne le cause ed eventualmente provvedere a neutralizzarle.
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Le contusioni

Cause:sono in genere provocate da un urto o da una caduta con conseguente rottura di capillari e formazione di ematomi senza lacerazione della cute.

Effetti:la parte colpita presenta dolore, tumefazione, colorazione violacea ed un aumento di temperatura.

Trattamento:applicare ghiaccio sulla parte contusa e tenere l'arto a riposo.

Evitate di: comprimere e fasciare l'arto leso.

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Distorsioni e lussazioni

Cause:sono dovute a movimenti bruschi, a cadute od urti particolarmente violenti.

Effetti:spostamento temporaneo (distorsioni) o permanente (lussazioni) di uno dei capi articolari rispetto alla normale posizione anatomica, dolore acuto, gonfiore, blocco dell'articolazione ed incapacità a compiere movimenti.

Trattamento:immobilizzare l'arto nella posizione in cui si trova, applicare ghiaccio sulla zona interessata interponendo un telo, tenere l'arto a riposo.

Evitate di: tentare di ridurre la lesione.

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Trauma cranico

Cause:possono essere molteplici, tuttavia è importante considerare l'evento come un trauma particolarmente grave.

Effetti:il paziente spesso è incosciente, fatica a comprendere semplici domande (come ti chiami?, dove abiti?...), ad eseguire semplici manovre (toccarsi la punta del naso con l'indice ad occhi chiusi), se grave il paziente non sente né suoni né prova sensazioni.

Trattamento:mettere il paziente in posizione di sicurezza, controllare la pervietà delle vie aeree, favorire l'eventuale deflusso di sangue da naso, orecchi e bocca.

Evitate di: dare da bere al paziente, metterlo in posizione seduta e tamponargli l'emorragia.

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Fratture

Cause:Le cause possono essere molteplici, a seconda dell'effetto si classificano principalmente in chiuse (quando l'osso pur essendo rotto non fuoriesce all'esterno) ed esposte (quando l'osso lacera i tessuti epiteliali e fuoriesce all'esterno).

Effetti:Dolore violento al minimo movimento, deformazione dell'arto, movimenti anormali, gonfiore.

Trattamento:Immobilizzare il segmento leso, se la frattura è esposta coprire con garze sterili o fazzoletti puliti, se si sospetta la lesione della colonna vertebrale evitare qualsiasi manovra azzardata.

Evitate di: Ridurre la lesione, spostare il paziente prima di aver immobilizzato l'arto.


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Ferite

Cause:Sono differenti, in tutti i casi si intende per ferita una soluzione di continuità della cute con sanguinamento e quindi rischio di infezione.

Effetti:Il paziente lamenta dolore, sanguinamento o emorragia, a volte possono generarsi delle complicanze quali infezioni e stati di shock.

Trattamento:Pulire accuratamente la cute con acqua e sapone, porre sulla ferita garze sterili e praticare una fasciatura non stretta per mantenere la medicazione.

Evitate di: Usare acqua ossigenata, alcool e cotone idrofilo, estrarre corpi estranei, usare pomate o polveri.

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Emorragie

Cause:Sono dovute alla rottura di vasi sanguigni o organi e sono classificate a seconda di dove avvengono (interne, esterne) ed a seconda del tipo (arteriose o venose).

Effetti:Fuoriuscita di sangue nel caso di emorragie esterne (a getto e di color rosso vivo in quelle arteriose, continuo e scuro in quelle venose), dolore e stato di shock in quelle interne.

Trattamento:comprimere localmente la ferita tramite garze sterili o fazzoletto, tamponare l'emorragia con una fasciatura compressiva, se il sangue non si arresta usare un laccio a monte della ferita ricordandovi che lo stesso dovrà essere allentato per qualche minuto ogni 15 minuti.

Evitate di: Usare i lacci sul collo e sul dorso.

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Epistassi (sangue dal naso)

Cause:comunemente conosciuta come perdita di sangue dal naso è generalmente dovuta alla rottura spontanea di un piccolo vaso della mucosa nasale.

Effetti:Il paziente, soprattutto se trattasi di bambini, è agitato.

Trattamento:Mettere il paziente seduto con la testa inclinata in avanti, comprimere la narice sanguinante per 5-10 minuti, appoggiare sulla fronte un fazzoletto imbevuto di acqua fresca. se la perdita di sangue prosegue oltre i 10 minuti portate il paziente in ospedale.
Evitate di: Far piegare la testa all'indietro, far alzare il paziente, arrestare l'emorragia nel caso sia dovuta ad un trauma cranico.
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Ustioni

Cause:Sono legate ad un aumento di temperatura; gli agenti provocanti possono essere: fiamma viva, raggi solari, conduttori di calore (metalli, acqua e olio bollente...), agenti chimici (acidi, soda caustica, calce viva...). si suddividono in:
- 1º GRADO: interessamento dello strato superficiale della pelle (epidermide) con arrossamento della cute e scarso dolore
- 2º GRADO: interessamento del derma con formazione di vescicole piene di liquido chiaro (flittene), il dolore è intenso
- 3º GRADO: interessamento del sottocute ed a volte dei muscoli con distruzione dei tessuti e dolore molto intenso
- 4º GRADO: carbonizzazione dell'arto, dolore nullo perché sono distrutti anche i centri nervosi periferici

Effetti:A seconda del grado, dell'estensione e dell'età del paziente si passa dal semplice fastidio sino alla morte.

Trattamento:Se i vestiti hanno preso fuoco gettare sopra alla vittima coperte o lenzuola bagnate, togliere gioielli o indumenti stretti, usare solo acqua fredda e materiale pulito e sterile.

Evitate di: Togliere gli abiti che coprono l'ustione, ungere con pomate ed olio, usare alcool, usare tessuti di lana, aprire le flittene.


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Folgorazione

Cause:E' dovuta al passaggio della corrente elettrica nel nostro corpo.

Effetti:Il paziente presenta ustioni profonde nel punto di entrata ed uscita della corrente, visibile stato di shock con probabile perdita di coscienza.

Trattamento:Togliere la corrente, allontanare il soggetto dalla fonte di elettricità, metterlo in posizione di sicurezza, praticare la rianimazione cardiopolmonare se il paziente è in arresto cardio-respiratorio.

Evitate di: Toccare il soggetto se prima non è stata tolta la corrente.
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Incidenti stradali

Cause:Molteplici, quasi sempre legate alla distrazione.

Effetti:A seconda della gravità dell’incidente si passa da lesioni nulle o minime alla morte dell'infortunato.

Trattamento:Mantenere la calma: l'incidente stradale è la situazione che richiede maggior freddezza da parte dei soccorritori, chiamare i soccorsi il più presto possibile (118), spegnere il motore della macchina per evitare incendi, slacciare gli indumenti stretti, non tamponare eventuali otorragie o rinorragie.
Evitate di: Accalcarsi sul luogo dell'incidente, muovere inutilmente i feriti, caricare i feriti sulla propria macchina, somministrare alcolici, effettuare manovre azzardate.

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Annegamento

Cause:Si verifica quando dell'acqua penetra attraverso le vie aeree sino agli alveoli polmonari.

Effetti:Compromissione della normale funzione respiratoria dei polmoni.

Trattamento:Mettere il soggetto prono (a pancia in giù), esercitare delle compressioni ai lati del torace per favorire l'eliminazione di acqua dai polmoni, sollevare il bacino di almeno 30 cm, liberare le vie aeree, effettuare la rianimazione cardio-respiratoria se necessario.

Evitate di: Effettuare la rianimazione se prima non siete certi di aver eliminato tutta l'acqua dai polmoni.

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Stati di shock

Cause:Insufficienza circolatoria dovuta a perdita di liquidi (emorragie, vomito o diarrea continui...), violente emozioni, dolori molto acuti, se dovuto a diminuzione della pressione si parla di lipotimia.

Effetti:Perdita di coscienza, cute fredda, pallida e sudata, labbra cianotiche, respiro superficiale ed affrettato, battito cardiaco frequente.

Trattamento:Controllare la pervietà delle vie aeree, controllare l'eventuale presenza di emorragie, sollevare gli arti inferiori (posizione antishock), coprire e riscaldare moderatamente il paziente, se non rinviene entro 5 minuti portarlo in ospedale.

Evitate di: Far sedere l'infortunato, somministrare alcolici, mettere a contatto della pelle sorgenti di calore.

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Colpo di calore

Cause:Esposizione ad elevata temperatura con forte umidità.
Effetti:Aumento della temperatura corporea con principio di svenimento, polso frequente, viso arrossato, respiro affannoso.

Trattamento:Portare il paziente in luogo fresco, metterlo supino e ventilarlo liberandolo da indumenti stretti, se cosciente dissetarlo con acqua e sollevargli le gambe, impacchi freschi agli arti e capo.

Evitate di: Somministrare alcolici.
--------------------------------------------------------------Ingerimento di corpi estranei

Cause:Nei bambini è la curiosità che li spinge a portare alla bocca quanto vedono, negli adulti le cause possono essere molteplici.

Effetti:Difficoltà respiratoria e conseguente stato di agitazione.

Trattamento:Nei bambini metterli a testa in giù dando piccoli colpetti tra le scapole, negli adulti praticare la manovra di Heimlich che consiste nel cingere da dietro la persona intorno alla vita premendo con una mano chiusa a pugno e l'altra col palmo aperto per 3/4 volte sullo stomaco con forza e rapidità.

Evitate di: Effettuare Heimlich sui bambini attenzione: l'errata esecuzione della manovra di Heimlich può causare lesioni a livello addominale.

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Avvelenamento

Cause:Errata ingestione di sostanze tossiche, tentativi di suicidio, inalazione di anidride carbonica (CO2).

Effetti:Perdita di coscienza, dolori di stomaco, mal di testa.

Trattamento:Nel caso di inalazione di gas portare l'infortunato all'aperto facendo attenzione a non rimanere asfissiati, negli altri casi chiamare al più presto un'ambulanza ricordandosi di portare in ospedale la confezione, se possibile, di quanto ingerito.

Evitate di: Provocare vomito, dare da bere latte, acqua calda o salata.

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Assideramento

Cause:Temperature molto basse o lunga immersione in acqua fredda.

Effetti:Perdita di coscienza, dolori di stomaco, mal di testa.

Trattamento:Portare in luogo caldo, togliere gli indumenti bagnati, somministrare bevande tiepide, cercare di riscaldare le parti con principio di congelamento con panni caldi.

Evitate di: Immergere il paziente in acqua calda, rompere eventuali vescicole.

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Punture di insetti

Cause:Api, vespe, calabroni ed altre specie possono lasciare il pungiglione in loco.

Effetti:Di per se superficiali ma talvolta possono comparire pallore, nausea, vomito, difficoltà respiratorie sintomi di shock anafilattico.

Trattamento:Rimuovere, se possibile, l'eventuale pungiglione, mettere la parte colpita sotto acqua fresca o borsa del ghiaccio per alleviare il dolore.

Evitate di: Utilizzare pomate alle quali il paziente potrebbe risultare allergico.
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Arresto cardio-respiratorio
ATTENZIONE: LA MANOVRA DI RIANIMAZIONE VA ESEGUITA ESCLUSIVAMENTE DA PERSONALE OPPORTUNAMENTE ADDESTRATO

Cause:Ipertensione, vita sedentaria, il paziente è, di norma, già sofferente di malattie cardiache.

Effetti:Dolore oppressivo retrosternale con senso di costrizione, nausea, talora vomito, cessazione dell attività respiratoria e di pompa cardiaca.

Trattamento:Rianimazione cardio-polmonare che però può essere effettuata solamente da personale esperto ed opportunamente addestrato.

Evitate di: Far sedere l'infortunato, somministrare alcolici, mettere a contatto della pelle sorgenti di calore.
A

Chiamare il paziente, se non risponde, scuoterlo dolcemente.

Se non risponde ancora chiamare il 118.

In attesa dell'ambulanza mettere il paziente supino su una superficie rigida iperestendendogli la testa.
ATTENZIONE:LA MANOVRA NON DEVE ESSERE EFFETTUATA SU PAZIENTI NEI QUALI SI SOSPETTANO TRAUMI AL RACHIDE CERVICALE O ALLA COLONNA VERTEBRALE, IN CUI BISOGNA ESEGUIRE LA MANOVRA DI SUBLUSSAZIONE DELLA MANDIBOLA

B
Controllare la pervietà delle vie aeree guardando l'espansione spontanea del torace, ascoltando e sentendo l'aria espirata.

Rimuovere eventuali residui di cibo, vomito....
Se il paziente non respira effettuare due insufflazioni e verificare l'espansione del torace.


Se il torace non si espande ricontrollare la pervietà delle vie aeree e ripetere le due insufflazioni.

Se l'esito è positivo passare al punto c, altrimenti effettuare la manovra di Heimlich e ripetere il punto b.

C
Se, nonostante le insufflazioni il paziente non si riprende, controllare la presenza del polso carotideo con la punta delle dita, non col pollice.

In assenza certa del polso carotideo iniziare il massaggio cardiaco esterno posizionando le mani incrociate due dita sopra il termine del processo xifoideo.

Alternare due insufflazioni con quindici massaggi cardiaci esterni, sia nel caso di uno che nel caso di due soccorritori.
Continuare la manovra di rianimazione sino all'arrivo dei soccorsi.

EVITATE DI :
Effettuare il massaggio cardiaco se non siete certi del reale arresto delle funzioni cardio-respiratorie e se non siete sufficientemente addestrati. L'esecuzione errata del massaggio cardiaco esterno (MCE) può arrecare danni e complicare ulteriormente le condizioni del paziente

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Posizione di sicurezza

E' indicata per tutti i pazienti incoscienti ed è utile per mantenere libere le vie aeree superiori.
Esecuzione:
Slacciare cinture e bottoni delle camicie strette, porsi a lato del paziente, afferrare con una mano gli indumenti che coprono la spalla e con l'altra quelli che coprono l'anca.
Girarlo porgendolo sul fianco destro piegargli la gamba sinistra.
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PREVENZIONE

OCULISTICA

Quando è giusto effettuare la prima visita oculistica? Generalmente la prima visita viene effettuata quando il neonato si trova ancora nel reparto di maternità. Successivamente però sta alla discrezione del pediatra o del genitore. È consigliato sottoporre a visita completa i bambini prima che inizino a frequentare la scuola materna, quindi circa all'età di tre anni. Questo perché in questa età il sistema visivo è ancora in grado di recuperare eventuali carenze. Successivamente ogni qual volta si riscontri un problema di visione non aspettare e consultare subito lo specialista.

La visita oculistica prevede abitualmente una prima fase di anamnesi in cui il medico formula alcune domande al paziente per risalire con precisione alle cause di un eventuale disturbo. Si passa successivamente all'esame dell'acuità visiva ovvero alla misurazione della capacità minima di distinzione dei segni. È questo il tipico esame in cui si leggono segni o lettere su un cartello che si fanno via via più piccoli. Questo test viene ripetuto coprendo prima un occhio e poi l'altro, così da studiare eventuali problemi che riguardano una sola parte. L'esame dell'acuità visiva permette di diagnosticare i disturbi classici quali miopia, presbiopia, astigmatismo, ipermetropia.

Nei casi in cui il paziente non è in grado di collaborare, come ad esempio i bambini molto piccoli, si provvede alla schiascopia che consiste nello studio della reazione dell'occhio quando viene proiettato un potente fascio di luce sulla pupilla.

Il daltonismo si caratterizza da notevoli problemi di distinzione di particolari colori. Può essere indagato facendo osservare al paziente alcune immagini spicifiche. Se il paziente non riesce al distinguere il contenuto delle immagini probabilmente soffre di daltonismo.

Infine può essere valutata l'ampiezza del campo visivo ovvero se ci sono aree della retina che "non vedono" limitando quindi l'ampiezza della visione.


UDITO

Le metodologie utilizzate per questo tipo di esame sono due: il test della parola sussurrata e l'esame audiometrico.

La parola sussurrata permette di riconoscere ed evidenziare eventuali distorsioni della discriminazione della parola.

L'esame audiometrico è composto da una serie di prove tutte rivolte all'identificazione della soglia uditiva del paziente.

Si può distinguere:

un'audiometria soggettiva, attraverso la quale si registrano le risposte del paziente a stimoli uditivi che possono essere suoni di bassa intensità


un'audiometria a intensità variabile, dove le parole verranno pronunciate a intensità differenti a seconda che si voglia misurare la soglia oppure la capacità di riconoscimento

Esistono poi esami come il Brainstem Electric Response Audiometry (Bera) e l'elettroencefaloaudiometria rivolti a misurare il grado di resistenza che le strutture dell'orecchio oppongono al passaggio delle vibrazioni sonore.
Sono i bambini, nei primissimi anni di età e gli anziani le fasce di popolazione più interessati da questo tipo di esami.
I primi sono coinvolti nel caso in cui si evidenziano problemi di comprensione delle parole. Gli anziani invece dovrebbero sottoporsi all'audiometria periodicamente. La perdita dell'udito infatti comporta problemi psicologici e relazionali non indifferenti.



DENTISTICA

Il cavo orale e i denti nello specifico sono una parte del nostro corpo molto delicata che utilizziamo per una delle attività più importanti: la digestione.
Anche per questi motivi la prevenzione in questo campo è molto importante.

Da ormai più di 20 anni ottobre è il mese della prevenzione. Più di 9000 dentisti italiani offrono visite gratuite con lo scopo di informare i pazienti sulla prevenzione delle principali malattie. Questa iniziativa permette, in collaborazione con l'Organizzazione mondiale della sanità, un continuo aggiornamento sullo stato di salute e sulle tecniche preventive.
Ecco qualche consiglio:

1. effettuare una pulizia dei denti regolare e accurata
2. osservare accuratamente la bocca con uno specchietto da dentista, disponibile in farmacia
3. usare accuratamente lo spazzolino. Il movimento orizzontale non pulisce accuratamente, molto meglio quello verticale. Partire sempre dalla gengiva e andare verso il dente
4. cambiare lo spazzolino con frequenza, almeno ogni tre mesi. Uno spazzolino molto usato oltre a non pulire può addirittura essere dannoso
5. è importante pulire tutti i denti e tutto il dente, anche negli spazi tra un dente e l'altro
6. dopo aver consumato dolci, miele, marmellate o bevande zuccherate bisogna lavarsi i denti
7. è importante lavare i denti subito dopo aver mangiato e prima di andare a dormire.


SENOLOGICA

La visita senologica, insieme all'ecografia e alla mammografia, è un metodo importante per diagnosticare il cancro al seno che come è noto colpisce le donne soprattutto in età avanzata.

La visita consiste in un esame clinico completo da parte di un medico e si può suddividere in tre fasi: anamnesi, ispezione e palpazione.
L'anamnesi serve per raccogliere, mediante alcune domande, informazioni relative a eventuali predisposizioni familiari, all'inizio e alla fine dell'età del ciclo mestruale, alle gravidanze, al tipo di alimentazione e alle eventuali terapie ormonali a cui la paziente si è sottoposta.Con l'ispezione il medico osserva le condizioni del seno in varie posizioni. Analizza la forma di entrambe i seni, le dimensioni e la loro simmetria. Ma si sofferma anche sul capezzolo e cerca eventuali escoriazioni.

Con la palpazione il medico invece procede a ispezionare al tatto entrambe le mammelle, le ascelle e i solchi sottomammari. All'inizio si utilizzano soltanto i polpastrelli ma successivamente anche tutto il palmo della mano.

La palpazione del seno è una pratica che viene consigliata alle donne, anche da effettuare da sole proprio perché un eventuale tumore possa essere diagnosticato molto precocemente e quindi curato.


GINECOLOGICA

Per ogni donna la visita ginecologica è un metodo irrinunciabile per la cura e la diagnosi di malattie o problemi che ruotano attorno all'apparato riproduttore. Ma non solo visto che esso interagisce con numerevoli altre sfere del corpo umano.
Con l'inizio dell'attività sessuale ogni donna deve sottoporsi ad una prima visita ginecologica a meno che particolari patologie non la rendano necessaria prima.

La prima fase della visita consiste nell'anamnesi: ovvero il medico fa una serie di domande per risalire alle abitudini della paziente e per raccogliere informazioni che possano essere utili per l'indagine successiva. Si prosegue poi con l'esame esterno dei genitali e successivamente a quello interno. L'esame dei genitali interni avviene mediante la "palpazione bimanuale": una o due dita vengono inserite in vagina, mentre l'altra mano, poggiata sull'addome, palpa l'utero e le ovaie, definendone posizione, dimensioni e regolarita.
Con lo "speculum", un strumento che introdotto in vagina permette di divaricarne le pareti e rendere visibile il collo dell'utero, è possibile prelevare il materiale per il Pap test o altre indagini necessarie.

Fa parte della visita ginecologica anche la palpazione del seno che va fatta preferibilmente dopo il periodo mestruale poiché è inferiore la tensione mammaria.

Vista la delicatezza dell'esame è consigliabile che ogni donna scelga con attenzione il proprio ginecologo.


ANDROLOGICA

Se per le donne è una cosa frequente e comune sottoporsi a visite ginecologiche non si può certo dire che gli uomini abbiano molta confidenza con il "loro medico", l'andrologo.

La visita andrologica si forma di tre fasi, tutte importanti e fondamentali per la diagnosi di eventuali problemi.
La prima fase è quella di anamnesi: il medico pone alcune domande, prima generiche poi sempre più specifiche, che servono per orientarsi verso alcuni tipi di diagnosi o di terapie.Successivamente alla fase di anamnesi vi è il vero e proprio esame fisico: qualsiasi sia la causa che vi ha spinto dall'andrologo egli provvederà a esaminare lo stato generale, la consistenza e sensibilità dei testicoli, lo stato delle mammelle, quello del pene e della prostata.
A seconda della sintomatologia e del singolo caso particolare lo specialista decide quindi verso quali altri metodi diagnostici orientarsi.
La terza fase della visita andrologica consiste in esami strumentali o di laboratorio. Frequenti sono esame delle urine e analisi del liquido seminale. Ma anche l'ecografia e l'ecocolordoppler.
È fondamentale che alla comparsa di qualsiasi problema specifico non vi siano dubbi o incertezze e ci si rivolga immediatamente allo specialista.

ALLERGOLOGICA

A seconda del tipo di allergia la visita potrebbe essere diversa, vi sono però delle fasi comuni che devono essere seguite per arrivare all'identificazione dell'allergene.

Prima di tutto deve essere raccolta un'attenta anamnesi: attività lavorativa svolta, periodo e modalità di insorgenza dei sintomi, apparati coinvolti, eventuali terapie già assunte e loro efficacia.

Successivamente si passa all'esecuzione dei test diagnostici.
Si può eseguire per esempio uno skin prick test. Questa indagine consiste nel posizionare sulla cute degli avambracci gocce dei vari allergeni e successivamente farne penetrare una piccola quantità praticando una piccola lesione con una lancetta monouso (lo strumento chirurgico usato per questo tipo di prove).

Si considera la risposta positivamente se dopo 15 minuti compare un pomfo cutaneo con area eritematosa circostante. Attraverso un prelievo di sangue (Rast) è possibile verificare e approfondire quanto già rilevato con lo skin prick test. Questo esame dosa la presenza di anticorpi IgE specifici verso gli allergeni responsabili della sintomatologia. Esistono poi una serie di esami specifici, per esempio per le allergia con sintomatologia respiratoria ci si può sottoporre a una spirometria, il test di broncodilatazione, e il test di broncostimolazione con metacolina.


PEDIATRICA

Il pediatra è il medico che si occupa dei bambini fino a tutta la pubertà. Solitamente vi sono delle visite complete di controllo che vengono programmate in periodi prestabiliti oltre alle visite di routine in caso di malattia. La prima visita in assoluto il pediatra la effettua quando il neonato si trova ancora presso il reparto di maternità dell'ospedale.

Il pediatra, differentemente da quanto si è soliti pensare, effettua una visita molto complessa che non si limita a verificare che le funzioni organiche siano corrette. Egli infatti verifica lo stato di salute ed esamina nel complesso sia lo sviluppo fisico che quello psicologico. Lo fa basandosi sui dati clinici e sul proprio giudizio professionale a seconda dell'età del bambino. Il pediatra inoltre confronta i risultati delle visite eseguite nel tempo per verificare se lo sviluppo psicofisico è normale.Durante una visita pediatrica il medico:

misura l'altezza e il peso
valuta lo sviluppo psicologico anche facendo alcune domande ai genitori
esegue alcuni screening di base
esegue l'esame della vista generalmente prima che il bambino inizi a frequentare la scuola materna
dialoga con i genitori per fornire importanti informazioni sulla salute del figlio
fornisce notizie sulla dieta corretta. Molto spesso infatti sono i genitori stessi causa dell'obesità dei figli poiché non li alimentano in modo adatto.
analizza lo sviluppo motorio sulla base delle indicazioni dei genitori
segnala quali sono le vaccinazioni obbligatorie o consigliate dal ministero della Salute
La fase della crescita è molto delicata e a quest'età il bambino è ancora in grado di correggere alcuni problemi con facilità. Per questo è importante trovare un pediatra di fiducia e far controllare la salute dei bambini con regolarità.


DERMATOLOGICA

Le malattie della pelle sono tra le più evidenti in quanto visibili all'occhio. Ce ne sono tante e di vario genere. Sicuramente quando si parla di prevenzione dermatologica ci si deve soffermare ampiamente sul melanoma.

È un tumore maligno della pelle. L'esposizione frequente al sole può accrescere il rischio di formazione di questo tumore, non a caso l'incidenza maggiore di questa malattia è stata riscontrata in Australia. Sono inoltre più esposti i soggetti con capelli biondi o rossi, gli occhi chiari, la pelle che si arrossa facilmente al sole e non si abbronza.
Dopo i trent'anni è difficile che si sviluppino nuovi nei sulla pelle, pertanto la comparsa di nuove macchie dopo questa età deve far suonare il campanello d'allarme. Il melanoma si manifesta ed è riconoscibile quando un neo preesistente cambia colore, aumenta di dimensioni. Oppure quando compare una macchia che tende a cambiare colore su una zona di pelle prima indenne.

Si consiglia un controllo all'anno per la diagnosi del melanoma poiché se non viene asportato esso diventa invasivo. Compaiono dei noduli e vengono attaccati i linfonodi. Attraverso il sistema linfatico, inoltre, esso può generare metastasi.

Nei centri specializzati è disponibile la skinview: è ua tecnica non invasiva che permette la diagnosi in fase iniziale. Nei casi dubbi però non va tralasciata nessuna strada e si deve procedere alla biopsia. Alcune tipologie di melanomi possono rimanere innocue per anni e poi diventare pericolose, altre in breve tempo diventano letali. Per questo, come già detto, la prevenzione è una formidabile arma e molto facile da utilizzare.
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ESAMI DA FARE NEL CASO DI :

esami per malattie APPARATO RESPIRATORIO

SINTOMI

dispnea,(difficoltà del respiro) dolore toracico, espulsione di sangue dopo un colpo di tosse, tosse violenta oppure improvvisa (tosse secca oppure umida)

ves; esame emocromocitometrico con forma leucocitaria; esame macroscopico e microscopico e antibiogramma.

esame per malattie APPARATO CARDIOVASCOLARE

SINTOMI
dispnea a riposo con respirazione frequente; colorito cianotico; cardiopalmo e dolore precordiale.

ast; alt; ck mb; glucosio; sodio; potassio; trigliceridi; colesterolo; proteine e tracciato elettroforetico; esame urine.

esami ALTERAZIONI METABOLICHE

SINTOMI

poliuria( emissione di grandi quantità di urine), polidpsia(sete intensa), dimagrimento, attacchi dolorosi alle articolazioni, dolori addominali, obesità.

sospetto diabete: urine; glicemia a digiuno e post- prandiale.
sospetto dislipidemia: colesterolo totale; colesterolo hdl e ldl;trigliceridi. sospetto di iperucemia e gotta: uricemia; uricuria arco delle 24 ore.

esami per le MALATTIE DEL SANGUE

SINTOMI
anemia; palpitazioni cardiache ; vertigini; astenia fisica; sonnolenza; irritabilità.

esame emocromocitometrico con strisce; tempo di emorragia; tempo di tromboplastina parziale o PTT; tempo di protrombina o PT; elettroforesi sieroproteica.

esami per MALATTIE DEL FEGATO E DELLE VIE BILIARI

SINTOMI
disturbi della digestione; diminuzione dell'appetito; nausea; coliche, le malattie del fegato comportano anche prurito alterazioni ematologiche.

transaminati ALT; transaminati AST; gamma GT fosfatasi alcalina, bilirubina totale e frazionata; hbs AG; anticorpi anti HCV; elettroforesi sieroproteica; esami urine.

esame malattie GASTROINTESTINALI E PANCREATICHE

in caso di malattie dell'esofago i SINTOMI sono difficoltà nell'ingoiare e bruciore a livello toracico fino al collo, mentre in quelle gastrointestinali sono : nausea; senso di gonfiore; sensazione di bruciore; vomito diarrea; stipsi, dolori colici e addominali.

esame feci funzionale e parassitologico; emocromocitometrico; ricerca sangue occulto; amilasi; coprocultura( in caso di diarrea) ; lipasi.

esami per malattie APPARATO URINARIO

esame delle urine; creatinina; ves; acido urico; emocromocitometrico; urinocultura; antibiogramma; urea.

esami per sospetta calcolosi renale

SINTOMI
colica renale; lombalgia; dolori sovrapubico; difficolta nell'urinare.

analisi del calcolo; esame microbiologico e microscopico dell'urina; determinazione del calcio e del fosforo; determinazione delle proteine totali; determinazione della creatinina; sodio e potassio; ph urinario e volume; calciuria, creatininuria, uricuria, ves; emocromocitometrico.

esami per malattia della TIROIDE

SINTOMI
ingrossamento del gozzo; occhi sporgenti; vampate di calore; tachicardia; tremori; astenia muscolare, estrema nervosità. viso tipo luna piena; dita a salsicciotto; gesti lenti e goffi; sonnolenza e freddolosità.
dosaggio tiroxina libera ( FT4) e triodotironina libera(FT3); dosaggio dell'ormone tireotropo(TSH); esame emocromocitometrico; colesterolo; mineralogramma (in caso di carenze) .

esame per malattie ALLERGICHE

SINTOMI
orticaria; rinite allergica; congiuntivite allergica; asma; arrossamento; gonfiori locali; prurito al naso; starnutazione;eccessiva lacrimazione; difficoltà respiratoria; ricerca di aria.

conteggio dei globuli bianchi eosinofili; strisci della secrezione nasale o congiuntivale; prove allergiche cutanee; dosaggio immunoglubine ige totali(PRIST); dosaggio delle ige specifiche contro allergeni sospetti(RAST).

esame per sintomi di MALASSORBIMENTO

SINTOMI
perdita di peso; anemia; stomatiti e glossiti; ematomi; petecchie emorragiche; sonnolenza; affaticabilità; mancanza di appetito;dolori addominali; meteorismo; deficit b12; deficenza di vitamina D.

esame emocromocitometrico; ferro; proteine totali e albumina; calcio; fosforo; tempo di protrombina; esame delle feci per la ricerca di parassiti e residui alimentari.
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L'ESAME DEL SANGUE

L’analisi del sangue è un esame veloce e indolore. Il prelievo viene solitamente effettuato da una vena alla piega del gomito, sull’avambraccio o sul dorso della mano. La quantità di sangue estratto dipende dal numero di analisi che si devono eseguire, ma in ogni caso si tratta sempre di una quantità molto piccola; il prelievo, in genere, viene eseguito a stomaco vuoto, di preferenza alla mattina, per evitare che le sostanze contenute nel cibo ingerito alterino il normale equilibrio del sangue. La conservazione del campione va fatta in provette sterili, di vetro o di plastica, che possono essere trattate con sostanze conservanti o anticoagulanti.
Dovrebbero essere eseguite almeno due volte all'anno, meglio se trimestralmente.
Non bisogna eseguire gli esami il giorno dopo un sforzo fisico prolungato, come un allenamento, perché molti valori potrebbero essere falsati. Per esempio la creatinfosfochinasi, che svolge un ruolo fondamentale nelle funzioni energetiche cellulari, avrebbe valori falsati.
Ricordatevi che la lettura delle analisi va fatta dal vostro medico.
Il sangue è costituito da una parte liquida, chiamata plasma, e da una parte cellulare o corpuscolata. Nel plasma è presente una vasta gamma di sostanze quali enzimi, minerali, lipidi, ormoni, zuccheri, vitamine, proteine ecc. La parte corpuscolata è costituita dai globuli rossi o eritrociti, da globuli bianchi o leucociti e dalle piastrine. È probabilmente l’esame più diffuso e più richiesto perchè, attraverso il sangue, non solo si riescono ad individuare le sostanze che circolano nel corpo, ma si riesce anche a capire se un organo sta funzionando bene o se invece ha qualche difetto.

Emoglobina (Hgb) - È la proteina che trasporta l'ossigeno dai polmoni ai tessuti ed è presente nei globuli rossi. Nell suo viaggio di ritorno nel sangue venoso l’emoglobina trasporta invece anidride carbonica ai polmoni dai quali questa viene espulsa con l’aria espirata. La sua formazione avviene nel midollo osseo simultaneamente a quella degli eritrociti immaturi; in un globulo rosso esistono circa 350 milioni di molecole di emoglobina, ciascuna delle quali in grado di trasportare quattro molecole di ossigeno
Valori normali
Sono considerati valori normali quelli compresi fra 14-18 g/100 ml per gli uomini e 12-16 g/100ml per le femmine
Cause di valori superiori alla media
Valori superiori a quelli considerati normali possono essere causati da diarrea, da disidratazione, da enfisema, da policitemia, da poliglobulia, da shock, da ustioni, da trasfusioni ripetute
Cause di valori inferiori alla media
Valori inferiori a quelli ritenuti normali possono essere causati da aplasia midollare, da collagenopatie, da deficit di ferro, da deficit di vitamina B12, da emorragie, da epatopatie, da infezioni gravi, da insufficienza renale cronica, da leucemie, da morbo di Cooley, da morbo di Crhon, da metrorragia, da neoplasie maligne, da ulcera peptica, da morbo di Hodgkin.
Per gli sportivi gli intervalli normali possono essere diminuiti di un'unità.
Globuli rossi (RBC) - Sono cellule del sangue (detti anche eritrociti o emazie) a forma di disco appiattito, prive di nucleo, che trasportano l'ossigeno, fissato tramite l'emoglobina in esse contenuta, fino alle cellule dei tessuti e riportano ai polmoni parte dell'anidride carbonica prodotta. Il valore normale nell'uomo è di 4,5-6 milioni/mm3, nella donna 4-5,5 milioni/mm3; anche in questo caso per gli atleti di discipline di resistenza si devono diminuire tali valori di circa 0,5 milioni/mm3. Il loro numero influenza i valori di emoglobina e di ematocrito.
Globuli bianchi (WBC) -I globuli bianchi, cellule del sangue, sono detti anche leucociti; hanno l'aspetto di piccole masse gelatinose incolori, sono più piccoli dei globuli rossi ma più grossi (10-12 micron di diametro ) e sono provvisti di nucleo. In generale, i globuli bianchi svolgono funzioni difensive, contro i microrganismi. Alcuni di essi accorrono nei tessuti dove siano penetrati batteri o sostanze estranee e li circondano emettendo dei prolungamenti e poi li distruggono. Altri producono delle sostanze, dette anticorpi, che neutralizzano l'azione nociva dei virus e batteri eventualmente penetrati nell'organismo. Possono essere suddivisi in:
Neutrofili. Servono per difendere l'organismo dalle infezioni, specie se causate da batteri. Contengono diverse proteine e sostanze chimiche in grado di danneggiare irreversibilmente le membrane dei microorganismi patogeni.
Eosinofili. La loro funzione la difesa dell'organismo dai parassiti. Gli eosinofili aumentano anche nelle malattie allergiche (asma bronchiale, rinite allergica, orticaria ecc.) e possono essere responsabili di alcuni sintomi caratteristici di queste malattie.
Basofili. La loro funzione non è molto ben conosciuta. Anch'essi aumentano nelle allergie: contengono istamina che, se liberata in eccesso nel sangue e nei tessuti, provoca sintomi fastidiosi (come il prurito o la comparsa di pomfi cutanei) per combattere i quali si usano spesso farmaci chiamati antiistaminici.
Linfociti. In realtà i linfociti comprendono diversi sottotipi: i principali sono i linfociti B, T, Natural Killer. Queste sottopopolazioni hanno funzioni diverse: I linfociti B producono anticorpi, molecole importanti nella difesa dell'organismo dalle infezioni; i linfociti T non producono anticorpi ma elaborano altre molecole importanti nella difesa dalle infezioni, soprattutto virali. Essi inoltre sono in grado di riconoscere in modo specifico cellule estranee e svolgono un ruolo essenziale nella difesa dell'organismo dai tumori e nel rigetto dei trapianti. Le cellule Natural Killer (NK) sono simili ai linfociti T.
I diversi sottotipi di linfociti non sono riconoscibili al microscopio ottico o con i comuni contatori elettronici. Per studiarli bisogna ricorrere a metodiche sofisticate disponibili solo in laboratori specializzati.
Monociti. Sono importanti nella difesa dell'organismo da alcuni tipi di batteri, come quello che causa la tubercolosi.
Se aumentano i granulociti molto probabilmente è in corso un'infezione provocata da batteri, mentre se aumentano i linfociti, l'infezione dovrebbe dipendere da un virus. Valori normali sono: da 4.000 a 7.000 per mm3 nella donna e da 5.000 a 8.000 per mm3 nell'uomo. I neutrofili costituiscono il 40-75%, gli eosinofili lo 0-7%, i basofili lo 0-2%, i linfociti il 18-50% e i monociti il 2-9%. I globuli bianchi possono aumentare se si assumono determinate sostanze (arginina) o in particolari periodi (gravidanza, mestruazioni). Una loro diminuzione è generalmente relazionabile a una diminuzione delle difese immunitarie.
Ematocrito (Hct) - È la percentuale di parte corpuscolata del sangue (globuli rossi, piastrine e globuli bianchi). I suoi valori vanno da 37 a 46 nella donna, mentre nell'uomo variano da 42 a 50. Per gli atleti di discipline di resistenza i valori più probabili sono da 40 a 45 per l'uomo e da 36 a 41 per la donna. Volume corpuscolare medio (MCV) - Indica la grandezza dei globuli rossi ed è importante perché serve nella diagnosi delle anemie: i globuli rossi possono essere più piccoli del normale (anemia microcitica) o più grandi (anemia macrocitica). Si ricava da (ematocrito*10/numero di globuli rossi) e i valori normali vanno da 80 a 100 femtolitri (indicati con fl). Negli sport di resistenza l'allenamento aumenta il valore dell'MCV (alcuni atleti keniani arrivano anche a valori di 110).
Contenuto emoglobinico corpuscolare medio (MCH) - È la quantità di emoglobina contenuta in media in un globulo rosso. Si ricava da (emoglobina*10/numero di globuli rossi in milioni/ml) e i valori normali vanno da 27 a 34 picogrammi.
Concentrazione emoglobinica corpuscolare media (MCHC) - Indica se i globuli rossi a seconda della loro grandezza contengono poca o molta emoglobina. Si ricava da (emoglobina*10/ematocrito) e i valori normali espressi in percentuale vanno da 31 a 37. Valori inferiori si riscontrano nelle anemie ipocromiche, valori superiori negli stati emolitici (configurazione sferocitica dei globuli).
Red-cell Distribution Width (RDW) - Misurato in percentuale (da 11 a 16) o in assoluto (da 39 a 50 fl), indica una misura dell'ampiezza della curva dei volumi dei globuli rossi, permettendo di riconoscere i casi di anisocitosi (RDW elevato).
Piastrine (PLT) - Dette anche trombociti, sono corpi del sangue senza nucleo, di forma discoidale, che giocano un ruolo essenziale nei processi di coagulazione. Valori normali vanno da 150 a 440 migliaia/microlitro. I valori sono alterati in caso di forti emorragie, circolazione rallentata del sangue, problemi alla milza, leucemie o lesioni del midollo osseo. Molti farmaci (fra cui pillola anticoncezionale e aspirina) influiscono sui valori.
La diminuzione del numero delle piastrine, detta trombocitopenia, si riscontra in seguito a trasfusioni di sangue, oppure dopo una cura prolungata a base di particolari farmaci, quali antibiotici, barbiturici, diuretici, sulfamidici, ipoglicemizzanti. Può inoltre essere il segnale di varie malattie organiche, tra cui:
anemia
carenza di vitamina B12 e acido folico
mononucleosi infettiva e altre infezioni virali
leptospirosi
linfomi
malaria
rigetto del rene in seguito a trapianto
ipertiroidismo
porpora
endocardite batterica (per esempio, conseguente a un’infezione da streptococco)
tifo
scarlattina.
L'aumento del numero delle piastrine, definito trombocitosi, può essere conseguenza della prolungata assunzione di preparati a base di vitamina B12 e acido folico, oppure può essere in relazione con lo svolgimento di un’intensa attività sportiva o con la gravidanza: in questi due casi è considerato fisiologico, ossia naturale e quindi non significativo dal punto di vista medico. Può, però, essere segno di una delle seguenti malattie:
morbo di Crohn
anemia emolitica
tumore.

Sideremia - È la concentrazione del ferro nel sangue (da 60 a 160 mcg/dl per l'uomo e da 20 a 140 mcg/dl per la donna); ovviamente nell'anemia sideropenica si hanno valori inferiori. Se i valori di sideremia, di ferritina e di transferrina sono corretti è del tutto inutile assumere ferro per correggere un quadro anemico anche lieve.
Transferrinemia - È la concentrazione della transferrina nel sangue (da 250 a 400 mg/dl); la transferrina è responsabile del trasporto del ferro dai depositi al sangue. Nell'anemia sideropenica (da mancanza di ferro) si eleva, rappresentando un meccanismo di compensazione della mancanza di ferro.
Ferritinemia -Indica il ferro presente a livello del fegato, cioè la riserva in ferro
Valori normali
Sono considerati valori normali 5 - 177 ng (nanogrammo, 1 ng = 1 miliardesimo di grammo) /100ml.
Cause di valori superiori alla media
Valori superiori a quelli ritenuti normali possono essere determinati da eccessiva introduzione di ferro, da emacromatosi, da leucemia, da neoplasie maligne, da trasfusioni
Cause di valori inferiori alla media
Valori inferiori a quelli considerati normali possono essere causati da poca introduzione di ferro, da emorragie, da gravidanza.
La ferritina rappresenta i depositi di ferro dell'organismo (insieme all'emosiderina); pertanto una diminuzione di ferritina predispone all'anemia.
Glicemia - La glicemia è la presenza di glucosio nel sangue. È regolata da un complesso di meccanismi neurormonali e metabolici che ne impediscono forti oscillazioni in difetto o eccesso. Aumenta nei soggetti diabetici e si abbassa nel digiuno prolungato. In genere con l'allenamento la glicemia si abbassa rispetto ai valori normali che vanno da 65 a 110 mg/dl.
Una diminuzione del glucosio rispetto a valori normali si riscontra nel corso di diete povere di zuccheri o in seguito a digiuno prolungato, oppure può essere conseguenza dello svolgimento di un’attività fisica molto intensa.
Può, inoltre, dipendere dall' assunzione prolungata di particolari farmaci (salicilati, antitubercolari), oppure può essere anche il segnale di varie malattie tra cui:
alterazioni a carico del fegato
ipotiroiclismo
intolleranza al fruttosio.
Un aumento del glucosio è sempre il segnale di diabete mellito, la malattia caratterizzata dallo scorretto utilizzo degli zuccheri da parte dell’organismo.

Transaminasi - Come dice il nome sono enzimi che intervengono nella transamminazione, nella trasformazione cioè di un amminoacido in un altro. Normalmente sono presenti sia nel fegato che nei muscoli, dove partecipano alla trasformazione degli amminoacidi in energia, soprattutto se l'impegno fisico è lungo e impegnativo. Avere valori alti di transaminasi non necessariamente vuol dire avere problemi epatici. Nel caso di dubbio conviene eseguire nuovamente l'esame a riposo. Valori normali sono inferiori a 40 mU/ml (GOT e GPT) e inferiori a 18 mU/ml (SGOT).

CPK - La creatinfosfochinasi è un enzima che interviene nel meccanismo energetico associato alla creatina; è presente nei muscoli (tipo MM), nel cuore (MB) e nel cervello (BB). Nel sangue non è rilevabile la forma BB, mentre è rilevabile quella MM (fino a 50mU/ml) e quella MB (fino a 10 mU/ml). A prescindere da altre cause (in vero facilmente escludibili perché gravi, come l'infarto o le malattie polmonari), la CPK può indicare il grado di affaticamento muscolare: quando il suo valore (che raggiunge il massimo 15 ore dopo lo sforzo) è superiore a 300 mU/ml sarebbe opportuno qualche giorno di riposo.
Elettroliti - Il controllo di sodio (valore normale 135-145 mEq/l), potassio (da 3,5 a 5,2 mEq/l), calcio e magnesio (da 1,7 a 2,3 mEq/l) purtroppo non è effettuato con la dovuta frequenza. In genere la carenza di questi minerali provoca problemi come crampi, tremori, astenia e nel caso del potassio anche aritmie. È quindi evidente come possano essere penalizzanti per una buona qualità della vita, anche se troppo spesso si tende a ricondurre vaghi problemi di salute (irritabilità, stanchezza ecc.) a carenze minerali senza fare i necessari esami.
Elettroforesi proteica -L’elettroforesi del siero analizza le proteine presenti nel siero del sangue. Le proteine del siero sono importantissimi valori, che possono mettere in luce un gran numero di malattie. La maggior parte di queste proteine viene prodotta dal fegato e alcuni tipi di proteine vengono rilasciate nel sangue da cellule del sistema immunitario, cioè il sistema delle difese naturali dell’organismo. È un esame che deve essere effettuato a digiuno. L’uso di antibiotici può dare dei risultati non corretti.
In un campo elettrico le proteine migrano a distanze differenti, formando raggruppamenti che possono essere espressi con una curva che presenta picchi in corrispondenza dei cinque tipi di proteine: albumina (valore di riferimento percentuale 55-70%), alfa-1-globulina (1,5-4,5%), alfa-2-globulina (5-11%), betaglobuline (6,5-12%), gammaglobuline (10-20%). Sono numerose le patologie correlate a un'alterazione dei valori: lesioni del tessuto renale, cirrosi, diabete, tumori, ustioni ecc.
Azotemia - La quantità d'urea nel sangue è importante per verificare sia la funzionalità renale sia il giusto apporto proteico della dieta. In caso di azotemia alta (ed escludendo una patologia renale) si dovrebbe limitare l'apporto di proteine ed evitare l'uso di integratori proteici per evitare un inutile sovraccarico renale. Anche in questo caso un pesante impegno fisico può influire (a causa del catabolismo proteico) sui valori riscontrati. I valori normali vanno da 16 a 60 mg/dl. Il limite superiore è stato elevato (normalmente è 50), considerando che chi pratica attività fisica intensa spesso si assesta fra 45 e 60.
Una diminuzione dell’urea rispetto ai valori normali può essere conseguenza di una dieta troppo povera di proteine (formaggio, latte, carne, pesce, uova) e troppo ricca di carboidrati (pane, pasta, dolciumi), oppure si riscontra in varie malattie tra cui:
ipotiroidismo
alterazioni della funzionalità del fegato
ritardo gestazionale (gravidanza oltre il termine).
Un aumento rispetto ai valori normali può essere conseguenza di un digiuno prolungato, oppure si riscontra in tantissime malattie tra cui:
insufficienza renale
disidratazione
emorragia
ipertensione
diabete
pielonefrite
arteriosclerosi
calcoli renali
ipertrofia prostatica
ipertiroidismo
traumi con schiacciamento
malattie febbrili
malattie infettive
disidratazione
insufficienza cardiaca
epilessia e altre malattie che interessano il sistema nervoso centrale.

Uricemia - La presenza di acido urico nel sangue è detta uricemia. E’ un prodotto di scarto del metabolismo e dovrebbe essere espulso dal corpo, attraverso i reni, nell’urina. Se ciò non avviene, nel sangue aumenta il tasso di acido urico
Valori normali
Valori di riferimento : maschi 3,2-8,1 mg/100 ml; femmine 2,2-7,1 mg/100 ml .
Cause di valori superiori alla media
Valori superiori a quelli di riferimento possono essere determinati da alcolismo, da diabete mellito, da digiuno, da eclampsia, da emolisi, da gotta, da insufficienza renale cronica, da leucemia, da linfomi, da policitemia, da psoriasi, da citostatici.
Cause di valori inferiori alla media
Valori inferiori a quelli di riferimento possono essere determinare da anemia, da epatite acuta, da gravidanza, da morbo di Hodgkin, da malattia di Wilson, da mieloma, da sindrome di Fanconi, da uso di farmaci antinfiammatori non cortisonici, da steroidi, da antimicetici. (farmaci).
Creatinina - Si forma durante il lavoro muscolare e viene espulsa tramite le urine; se i reni non funzionano bene il suo valore nel sangue resta elevato. Alcuni antibiotici ne abbassano il valore, mentre la pillola anticoncezionale e un danno muscolare o un duro allenamento lo alzano. Valori normali (dipende dalla massa muscolare): donne fino a 0,9 mg/dl, uomini fino a 1,3 mg/dl.
Colesterolo - E’ un grasso; importante costituente delle cellule dell’organismo. Può avere origine dal cibo (latte e derivati, carne, uova ecc.), ma la maggior parte è fabbricata dal fegato a partire da una vasta gamma di sostanze. La ricerca di questa sostanza nel sangue concorre, con la ricerca dei trigliceridi, a valutare i grassi nell’organismo. Può essere eliminato (tramite la sintesi degli acidi biliari) per via epatica (fegato) o per via intestinale.
Viene differenziato in due gruppi:
colesterolo "buono" o HDL perchè se la maggiore parte del colesterolo presente nel sangue è sottoforma di lipoproteine a elevata densità (High Density Lipoproteins, HLD) sembra avere un effetto protettivo nei confronti della malattia arteriosa, perchè le molecole HDL hanno una struttura molto grande e tali dimensioni consentono loro di "spazzare" fisicamente le arterie e di ripulirle dai depositi arteriosclerotici; inoltre le HDL hanno la funzione di riportare il colesterolo nel fegato, quindi di sottrarlo al sangue; quindi il colesterolo HDL è molto utile ed è importante che il suo livello sia alto, maggiore di 35 mg/dl; una persona che ha un colesterolo totale alto ma un HDL a un livello maggiore di 35 non è a rischio, quanto una persona che insieme a un colesterolo totale alto, presenta un livello di HDL basso, inferiore a 35;
colesterolo "cattivo" o LDL perchè se la maggiore parte del colesterolo è sottoforma di lipoproteine a bassa densità (Law Density Lipoproteins, Ldl) aumenta il rischio di sviluppo di aterosclerosi. Il colesterolo è una sostanza essenziale, che rappresenta la base chimica per la sintesi di alcuni ormoni ed entra in gioco anche come "mattone" nella formazione di tutte le membrane delle cellule.

Valori normali
Sono considerati valori normali 120 - 220 mg/100 ml per il colesterolo totale, 40 - 80 mg/100 ml per l’HDL, 70 - 180 mg/100 ml per l’LDL
Cause di valori superiori alla media
Valori superiori a quelli considerati normali possono essere causati da diabete, da epatite cronica, da uso di contraccettivi, da intossicazione, da ipoproteinemie, da ipotiroidismo, da lupus eritematoso, da morbo di Cushing, da obesità, da pancreatite acuta, da sindrome nefrosica
Cause di valori inferiori alla media
Valori inferiori a quelli considerati normali possono essere causati da anemie croniche, da epatopatie terminali, da ipertiroidismo, da morbo di Addison, da malnutrizione, da sepsi, da malassorbimento, da malattie neoplastiche.
Fondamentale è il calcolo dell'indice di rischio cardiovascolare dato dal rapporto fra colesterolo totale e colesterolo HDL. Tale valore dovrebbe essere inferiore a 5 per gli uomini e 4,5 per le donne. Visto che il colesterolo svolge funzioni comunque positive, è da guardare con sospetto anche un valore troppo basso del colesterolo totale.
Trigliceridi - sono sostanze grasse prodotte nel fegato o introdotte con gli alimenti. Insieme all’aumento del colesterolo, l’innalzamento dei trigliceridi costituisce un fattore di rischio perchè danneggia le arterie. I trigliceridi hanno la sola funzione di "scorta" dei grassi per l’organismo, cioè non forniscono immediatamente energia (come il glucosio) ma vengono utilizzati solo nei momenti di emergenza, cioè quando l’organismo ha bisogno di energia. Essi entrano nell’organismo insieme ai cibi (soprattutto burro, insaccati e formaggi grassi) e non appena l’intestino li assorbe, vengono catturati da particolari proteine, i chilomicromi, e trasportati al fegato e al tessuto adiposo per essere immaganizzati. Nel momento in cui l’organismo ha bisogno di energia, altre proteine (chiamate Vldl) intaccano le scorte e trasportano i trigliceridi in circolo
Valori normali
sono considerati valori normali 40-170 mg/100 ml; i valori sono molto influenzabili dall’alimentazione immediatamente precedente al prelievo; se si mangiano cibi grassi nei giorni che precedono l’esame, è possibile che il loro livello si alzi; anche l’alcol sortisce questo effetto
Cause di valori superiori alla media
valori superiori a quelli considerati normali possono essere determinati da alcolismo, da diabete mellito, da epatopatie, da insufficienza renale, da ipotiroidismo, da obesità, da pancreatite acuta. Se un loro aumento si associa a forte diminuizione dei valori del colesterolo HDL (vedere), rappresentano anch’essi fattore di rischio per infarto e ictus
Cause di valori inferiori alla media
valori inferiori a quelli considerati normali possono essere determinati da anemia, da contraccettivi orali e gravidanza, da ipertiroidismo, da digiuno prolungato, da malnutrizione, da senilità (alterazioni delle capacità mentali che si verificano in conseguenza dell’invecchiamento), da ustioni
I valori normali per chi pratica attività sportiva vanno da 40 a 150 mg/dl; per un sedentario si può arrivare fino a 200 mg/dl.
VES - sigla che sta per "velocità di eritro sedimentazione"; in pratica calcola il tempo necessario perchè la parte solida del sangue (globuli rossi) si separi da quella liquida (plasma)
Valori normali
donne -> 6-11 mm (un'ora), 6-20 mm (due ore) e sopra i 50 anni fino a 30 mm in due ore; uomini -> 3-10 mm (un'ora), 5-18 mm (due ore) e sopra i 50 anni fino a 20 mm in due ore. Non si tratta di valori molto precisi in quanto la VES può essere normale anche se l’infezione è già in atto, oppure può risultare elevata quando ormai si è già guariti e quindi è più che mai necessario il parere del medico
Cause di valori superiori alla media
valori superiori a quelli di riferimento possono essere determinati da artrite reumatoide, da epatopatie, da gravidanza, da infarto cardiaco, da infezioni, da infiammazioni, da insufficienza renale, da leucemie, da morbo di Hodgkin da neoplasie maligne, da shock, da TBC, da tiroidite di Hashimoto, da toxoplasmosi
Cause di valori inferiori alla media
valori inferiori a quelli di riferimento possono essere determinati da allergie, da microcitemie, da neoplasie terminali, da policitemie, da uso di steroidi e anticoagulanti
FT3 e FT4 - Ormoni T3 e T4 liberi. La triiodotironina (T3) e la tiroxina (T4) si alterano in caso di malattie della tiroide, ma anche nel caso di alimentazioni particolarmente ricche di iodio o di regimi alimentari ipocalorici. Valori normali sono per l'FT3 2,3-5 pg/ml e per l'FT4 0,9-2 ng/dl.
TSH - Ormone tiroidostimolante. Come dice il nome, stimola la tiroide e la formazione degli ormoni T3 e T4. Il meccanismo di equilibrio fa sì che elevate concentrazioni di T3 e T4 nel sangue blocchino la formazione di TSH. È ovviamente indicativo di malattie della tiroide. Per gli adulti il valore normale va da 0,1 a 3,5 mU/l.
Dhea - Il valore di tale ormone è significativo solo per persone che hanno superato la quarantina e secondo alcuni autori fornirebbe il grado d'invecchiamento. Valori normali del Dhea solfato vanno da 0,8 a 5,6 mg/ml per l'uomo e da 0,35 a 4,3 mg/dl per la donna. Provate un semplice test d'invecchiamento: a temperatura standard (20 °C) pizzicatevi il dorso della mano sollevando la pelle per circa cinque secondi, poi rilasciate: il tempo che impiega la pelle per tornare nella posizione originaria fornisce la vostra età biologica; se ci impiega cinque secondi avete un'età biologica di 50 anni e l'impiego di DHEA potrebbe essere giustificato.
Tas Titolo Antistreptolisina
U
E' un'analisi mirata al dosaggio degli anticorpi prodotti dall'organismo nei confronti della streptolisina-O prodotta da batteri Streptococchi beta-emolitici di gruppo A responsabili di una serie di infezioni tra cui le comuni tonsilliti. Tali anticorpi, oltre ad agire contro i batteri, reagiscono anche contro antigeni autologhi delle cellule muscolari cardiache causando una patologia nota come febbre reumatica e caratterizzata da dolori articolari, endocardite, miocardite ed alterazioni neurologiche.

Un titolo elevato non è automaticamente indice di infezione in atto o recente: può essere considerato tale solo se risulta ancora alto in un secondo esame ripetuto 2-3 settimane dopo il primo.
Contrariamente a quanto in genere si crede, titoli alti non segnalano la malattia reumatica, però dimostrano che il rischio di contrarla è alto.
Le cure a base di penicillina, che devono essere effettuate in caso di infezione da streptococco, non portano a una normalizzazione del titolo che, una volta innalzatosi, rimane elevato per sempre.
VALORI NORMALI: minore di 200.
Un aumento compreso tra 500 e 5000 si riscontra in caso di:
febbre reumatica
alterazioni del rene dovute a un’infezione da streptococco.
Un aumento modesto, ossia compreso tra 200 e 500 si riscontra in caso di:
scarlattina
tonsilliti da streptococco
faringiti da streptococco
eritema nodoso
piodermiti.
Testosterone - Ormone maschile prodotto dal testicolo, dall’ovaio e dai surreni. Regola i caratteri sessuali primari e secondari (esempio, la barba) nell’uomo e stimola il desiderio sessuale
Valori normali
sono considerati valori normali 5-12 ng/ml nell’uomo adulto e 0,1-1,2 ng/ml nella donna adulta
Cause di valori superiori alla media
valori superiori a quelli considerati normali possono essere determinati da iperplasia surrenale, da neoplasie dell’ovaio, del surrene, del testicolo, da sindrome di Stein-Leventhal, da uso di androgeni e contraccettivi, da virilizzazione femminile
Cause di valori inferiori alla media
valori inferiori a quelli considerati normali possono essere determinati da cardiopatie congenite, da castrazione, da criptorchidismo, da insufficienza epatica e renale cronica, da ipogonadismo maschile, da ipotiroidismo, da irradiazioni, da mongolismo, da obesità, da parotite, da sindrome di Klinelfeter, da sindrome di Turner, da traumi, da uso di estrogeni
Gamma Globuline
VALORI NORMALI: 0,77-1,64 grammi per decilitro di sangue.
La diminuzione delle gamma globuline rispetto ai valori normali può essere dovuto a:
malnutrizione
alterazione della funzionalità dei reni
ustioni
cure a base di farmaci immunosoppressori (impiegati nella cura delle malattie autoimmuni).
L’aumento delle gamma globuline può invece essere in relazione con moltissime malattie, tra cui:
epatite cronica
cirrosi epatica
infezioni batteriche sia acute sia croniche
malattie causate da parassiti (per esempio il "verme solitario")
malattie autoimmuni
tumori

HBSAG E’ l’esame con cui si ricerca il virus dell’epatite B. In genere, il virus si trova nel sangue per i 2-5 mesi successivi all’infezione, dopodiché scompare. Se persiste per oltre 6 mesi dalla comparsa dell’epatite, segnala lo stato di portatore cronico di epatite B (la persona può trasmettere la malattia senza essere ammalata).
VALORE NORMALE: negativo
Se il risultato è positivo significa che il virus è presente nel sangue.
HCV AB E’ l’esame attraverso cui si ricerca il virus responsabile dell’epatite C.
VALORE NORMALE: negativo. Un risultato positivo segnala che il virus è presente nell’organismo. Indica che l’epatite di tipo C è stata contratta in epoca precedente; oppure è in atto. In quest’ultimo caso, le transaminasi risultano aumentate.
HAV IGG-IGM E’ l’esame attraverso cui si ricercano nel sangue gli anticorpi, detti IgM e IgG, contro il virus responsabile dell’epatite A.
VALORE NORMALE: negativo. Se l'IgG è positivo significa che l’organismo è venuto semplicemente a contatto con il virus dell’epatite A.
Se le IgM sono positive vuol dire che l’epatite di tipo A è in atto.
BALBUZIE

La balbuzie è uno dei più diffusi disturbi del linguaggio. Consiste in un insieme di alterazioni nel ritmo e nella fluenza dell'espressione verbale e rappresenta un grandissimo disagio per chi ne è colpito, anche perché il rallentamento nel parlare non riguarda assolutamente il pensiero: il paziente sa benissimo ciò che desidera dire, ma fatica a dirlo. Il periodo più critico per la comparsa della balbuzie è fra i 3 e i 5 anni; la patologia colpisce circa il 5% dei bambini in età scolare (più spesso i maschi delle femmine), può regredire temporaneamente e poi ricomparire nell'adolescenza e protrarsi fino all'età adulta. Può anche comparire più avanti negli anni, a causa di uno shock affettivo o emotivo. Vi sono due forme di balbuzie. Una è la forma clonica, caratterizzata dalla ripetizione continua e involontaria della stessa sillaba, solitamente la prima di una frase. L'altra è la forma tonica, che consiste nel blocco dell'emissione vocale, protratto per un certo periodo di tempo.
Le cause della balbuzie non sono chiare. Secondo alcuni studi la causa va fatta risalire a un deficit neuromuscolare a livello faringeo oppure a un'imperfetta dominanza cerebrale o, ancora, a fattori genetici, mentre secondo altri ha origine psicologica. Le persone che balbettano hanno alcuni tratti di personalità caratteristici: ansia, aggressività, impulsività, introversione. Inoltre il grado del difetto può variare, anche notevolmente, a seconda delle situazioni in cui il soggetto si trova, fino a scomparire completamente. Benché le persone balbuzienti siano assolutamente normali sotto tutti gli aspetti, tuttavia il loro disagio nel comunicare può creare problemi anche gravi nella vita quotidiana.
Come detto, la balbuzie spesso si attenua con l'età, per poi scomparire definitivamente. In caso contrario è utile ricorrere a una terapia rieducativa. Nelle forme più recenti si procede come per i ritardi semplici del linguaggio, mentre per le forme presenti da più tempo è necessario ricorrere a metodi di decondizionamento. I trattamenti consistono in una rieducazione ortofonica per recuperare il controllo dell'articolazione della parola, con esecuzione di esercizi sistematici, rieducazione dell'atto respiratorio, del ritmo della fonazione, della ripetizione sillabica e dell'impostazione della voce. L'obbiettivo è quello di far sì che il balbuziente riesca a sincronizzare i movimenti articolari e quelli respiratori. Possono anche essere adottate terapie miste, a carattere rieducativo e psicoterapeutico, quando si ritiene che la balbuzie sia connessa a un quadro più generale di disadattamento alla vita di relazione. Nel caso in cui il paziente sia un bambino, è spesso opportuno attivare una terapia familiare, coinvolgendo i genitori per incoraggiarli a comprendere le difficoltà del figlio e a individuare vie alternative di interazione.

Farmaci
Aloperidolo, Haldol, Serenase.

Indicazioni
Sotto forma di compresse e gocce orali nei casi agitazione psicomotoria da stati maniacali, demenza, oligofrenia, psicopatia, schizofrenia acuta e cronica, alcolismo, disordini di personalità di tipo compulsivo, paranoide e istrionico. Deliri e allucinazioni in caso di schizofrenia acuta e cronica, paranoia, confusione mentale acuta, alcolismo (sindrome di Korsakoff), ipocondriasi, disordine di personalità di tipo paranoide, schizoide, schizotipico, antisociale, alcuni casi di tipo borderline. Movimento coreiformi, agitazione, aggressività e reazioni di fuga in soggetti anziani, turbe caratteriali e comportamentali dell'infanzia, tic e balbuzie, vomito e singhiozzo, sindromi da astinenza da alcool. Fiale: forme resistenti di eccitamento psicomotorie, psicosi acute deliranti e o allucinatorie, psicosi croniche. L'impiego del prodotto ad alte dosi va limitato alla terapia delle forme resistenti di eccitamento psicomotorie, psicosi acute deliranti e o allucinatorie, psicosi croniche. Nel trattamento dei dolori intensi generalmente in associazione con analgesici stupefacenti.

Controindicazioni
Controindicato nei casi di ipersensibilità individuale verso il prodotto, in gravidanza accertata o presunta, durante l'allattamento e nei bambini di età inferiore ai tre anni.stati comatosi, pazienti fortemente depressi dall'alcool o da altre sostanze attive sul sistema nervoso centrale, depressioni endogene senza agitazione, morbo di Parkinson, astenie, nevrosi e stati spastici dovuti a lesioni dei gangli della base (emiplegia, sclerosi a placche, ecc.).

Interazioni
Sono conosciute le interazioni con alcool, antistaminici, antiipertensivi, ipnotici, sedativi, anestetici, analgesici maggiori, barbiturici, metildopa, levodopa, antidepressivi triciclici, carbamazepina, litio, adrenalina e altri simpaticomimetici, agenti adrenergici ad azione ipotensiva (per esempio guanetidina), anticolinergici, fenilbutazone, derivati tiouracilici ed altri agenti mielotossici, antiacidi.

con prodotti naturali come fiori di tiglio, fiori di lavanda, foglie di menta rametti di vischio non ci sono controindicazioni, ma bisogna munirsi di pazienza per la preparazione in questo caso basta rivolgersi presso una Vostra erboristeria di fiducia.

Iridologo Bioterapeuta
Ventura Renato
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Meningite e antibiotici
La meningite può essere provocata da una vasta gamma di batteri e virus, ma il microbo meningococcus di solito è il responsabile delle forme epidemiche della patologia. J.M. Stuart e i suoi colleghi di diversi centri epidemiologici in Inghilterra, Galles, Austria e Germania, hanno vagliato una serie di studi sulla diffusione della patologia in gruppi di pazienti trattati con antibiotici e in gruppi non trattati. L'analisi dei dati ha rivelato che un'opportuna terapia antibiotica riduce grandemente il rischio di contagio (fino all'11%). Secondo Stuart, nel caso di contatti con persone affette dalla patologia trattate con antibiotici, il livello di contagio è nettamente inferiore, pari a circa l'89%. Stuart ritiene che si tratti di dati molto significativi; gli autori mettono anche in evidenza la carenza di prove circa la validità delle terapie antibiotiche preventive per l'infanzia. Attualmente il gruppo di ricerca sta esaminando l'incidenza di questo tipo di trattamento a livello ospedaliero, in particolare considerando le differenze fra le varie procedure operative e le loro conseguenze per la salute pubblica in Europa.
La meningite è una infiammazione delle membrane che avvolgono il cervello e il midollo spinale (le meningi). La malattia generalmente è di origine infettiva e può essere virale o batterica. La forma virale, detta anche meningite asettica, è quella più comune, solitamente non ha conseguenze gravi e si risolve nell'arco di una decina di giorni. Uno degli agenti più diffusi della meningite virale è un virus appartenente al gruppo degli enterovirus, gli stessi che danno influenza gastrica.
La forma batterica, invece, è più rara ma estremamente più seria e può avere conseguenze fatali. Gli agenti della meningite batterica sono diversi, Solitamente l'infezione batterica origina in un altro punto del corpo, da cui i batteri possono raggiungere le meningi attraverso il flusso sanguigno. La meningite può però anche svilupparsi da otiti o sinusiti o direttamente da un'infezione a livello cerebrale derivata da una frattura del cranio.
La meningite batterica può insorgere in modo improvviso, accompagnata da febbri molto alte, mal di testa acuto e vomito. L'infiammazione provoca un accumulo di cellule infiammatorie nel liquor cerebrospinale, quindi un aumento della pressione all'interno del canale spinale e della scatola cranica. La diagnosi si effettua con un'analisi del contenuto del liquor e con una coltura batterica. Un intervento tempestivo può costituire l'unica possibilità per salvare la persona malata.

Sintomi e diagnosi
I primi sintomi della meningite possono facilmente essere confusi con quelli dell'influenza. Solitamente i sintomi peggiorano nell'arco di un paio di giorni, ma in qualche caso la decorrenza della malattia è estremamente rapida, con il rischio per il malato di subire un danno cerebrale o addirittura di morire.
La malattia si manifesta con: irrigidimento del collo
febbre alta, mal di testa acuto, vomito o nausea con mal di testa, senso di confusione, sonnolenza
convulsioni, fotosensibilità, inappetenza.
Nei neonati può esserci un pianto continuo, irritabilità e sonnolenza al di sopra della norma, e scarso appetito. A volte si nota l'ingrossamento della testa, soprattutto nei punti non ancora saldati completamente (dette fontanelle).
Cause e agenti patogeni
La meningite può essere causata sia da batteri che da virus e funghi. Gli agenti batterici sono i più pericolosi e comprendono diverse specie. L'identificazione della specie batterica causa dell'infezione, tramite isolamento del ceppo dal liquido spinale, è l'unico metodo per agire in modo adeguato sia con il trattamento che con la prevenzione del contagio ad altri individui. I batteri principalmente responsabili per la meningite sono appartenenti a tre specie: Neisseria meningitidis(meningococcus). Neisseria è un ospite frequente delle prime vie respiratorie. Dal 2 al 30% dei portatori sono asintomatici, e questa presenza non è correlata a un aumentato rischio di meningite o altre malattie gravi. Evidenze indicano che la malattia insorge generalmente in persone che sono state infettate in tempi recenti.
Esistono 13 diversi diversi sierogruppi di meningococco, ma solo 5 (denominati A, B, C, W135 e Y) causano meningite e altre malattie gravi; i sierogruppi B e il C sono i più frequenti in Europa. La trasmissione avviene per via respiratoria e i pazienti sono infettivi per circa 24 ore dall'inizio della terapia con un periodo di incubazione di 1-10 giorni. I sintomi non sono diversi da quelli delle altre meningiti batteriche, ma nel 10-20% dei casi la malattia è rapida e acuta, con un decorso fulminante che può portare al decesso in poche ore nonostante una terapia adeguata. Proprio per la sua alta infettività, meningococco può dare origine a vere e proprie epidemie nelle scuole e in altre comunità.
Streptococcus pneumoniae (pneumococcus). Uno degli agenti più comuni della meningite, pneumococco arriva al cervello tramite il flusso sanguigno da altre parti del corpo. Tipicamente, può infettare i polmoni dove causa polmonite o essere associato a un'infezione dell'apparato acustico.
Haemophilus influenzale (haemophilus). Fino agli anni '90 Haemophilus influenzale type b (Hib) era un agente molto comune della meningite. trovato il vaccino i casi di meningite causati da questo batterio si sono ridotti moltissimo. L'infezione da Hib origina dall'apparato respiratorio, come infezione dell'apparato uditivo o come sinusite.
Anche Listeria monocytogenes (listeria), un batterio ubiquitario che si trova nell'ambiente e può contaminare gli esseri umani attraverso il cibo dando la listeriosi, può causare meningite.
Esistono poi altre forme, più rare, di meningite. La meningite cronica, ad esempio, è data da microorganismi che si riproducono molto più lentamente nell'organismo umano. I sintomi sono gli stessi di quella acuta, ma si sviluppano nell'arco di tre-quattro settimane. La meningite di origine fungina si manifesta invece su persone immunodeficienti, come per esempio i malati di Aids, e può rappresentare comunque un pericolo per la vita. Infine, la meningite può derivare anche da forme allergiche, da qualche tipo di cancro e da malattie infiammatorie come ad esempio il lupus.
Fattori di rischio e possibili complicazioni
Tra i fattori di rischio per lo sviluppo della malattia vanno elencati in età: la malattia colpisce soprattutto i bambini sotto i 5 anni, i giovani tra i 18 e i 24 anni, e le persone anziane.
vita di comunità: le persone che vivono e dormono in ambienti comuni, come gli studenti nei dormitori universitari o i militari in caserma, hanno un rischio più alto di essere infettati da meningococco
la gravidanza: la donna in fase di gravidanza è più soggetta di altri alla listeriosi, una delle possibili malattie che degenera in meningite
La malattia può avere complicazioni anche gravi. Se la terapia non viene attuata tempestivamente, il soggetto colpito da meningite può subire danni neurologici permanenti, come la perdita dell'udito, della vista, della capacità di comunicare, della capacità di apprendere, problemi comportamentali e danni cerebrali, fino alla paralisi.
Tra le complicazioni di natura non neurologica possono esserci danni renali e alle ghiandole surrenali, con conseguenti squilibri ormonali.
Il trattamento tempestivo della meningite batterica viene effettuato con cura antibiotica, che può essere più efficace se il ceppo agente dell'infezione viene caratterizzato e identificato.
Nel caso delle meningiti di origine virale, non c'è cura antibiotica, ma solitamente i sintomi si risolvono da soli nel corso di una settimana senza necessità di alcuna terapia al di là delle tipiche cure applicate alle sindromi influenzali.
Prevenzione e vaccinazione
Alcuni ceppi batterici agenti della meningite sono contagiosi e possono quindi essere trasmessi da una persona all'altra attraverso la tosse, gli starnuti, il contatto diretto, la condivisione di spazzolini da denti o delle posate durante i pasti. Le persone a contatto con un malato di meningite sono ad alto rischio. Per questo è necessario identificare immediatamente i contatti avuti da una persona colpita da meningite per avviare adeguate profilassi antibiotiche preventive. Un adeguato sistema di sorveglianza è quindi una delle strategie più efficaci per prevenire la diffusione e il contagio da meningite. Maggiori informazioni sul sistema di sorveglianza italiano e sulle pratiche di prevenzione sono disponibili in un contributo di Marta Ciofi degli Atti e Stefania Salmaso del Cnesps.
Dagli anni '90 è ormai comune la vaccinazione contro Haemophilus influenzale tipo B (Hib), che nel nostro paese rientra tra quelle obbligatorie per i neonati. Sono disponibili sul mercato anche una serie di vaccini contro molti ceppi di pneumococco e alcuni ceppi di meningococco.
Per quanto riguarda pneumococco, sono disponibili il vaccino coniugato PCV7, raccomandato in alcuni paesi per l'immunizzazione di tutti i neonati, e il vaccino polisaccaridico PPV, raccomandato ad esempio dai Cdc americani per tutti i soggetti immunodepressi.
Sul fronte della lotta al meningococco, sono attualmente disponibili vaccini contro i sierogruppi A, C, Y e W135, mentre non esistono vaccini per prevenire le meningiti da gruppo B. Solo il vaccino contro il gruppo C è efficace già nel primo anno di vita, e in alcune nazioni a elevata incidenza è stata introdotta la vaccinazione per tutti i nuovi nati. La valutazione della sua efficacia è difficile da stimare data la rarità dei casi, anche se c'è una raccomandazione a utilizzarlo quando l'incidenza è superiore a 10 casi per 100.000 abitanti nell'arco di tre mesi.
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Tubercolosi
La tubercolosi (anche detta Tbc o tisi) è una malattia infettiva dovuta al Mycobacterium Tubercolosis (bacillo di Kock). La malattia colpisce i polmoni, ma può interessare qualsiasi organo.
Il bacillo tubercolare si trasmette per contagio interumano, cioé da una persona ammalata ad una sana. Chi è affetto da tubercolosi polmonare o laringea fintanto che non viene adeguatamente curato può emettere bacilli nell'aria circostante con la tosse, gli starnuti o semplicemente parlando. I familiari, i colleghi di lavoro e chiunque si trovi per molto tempo negli stessi ambienti con un ammalato "bacillifero" può inspirare il bacillo e acquisire l'infezione tubercolare.
L'agente infettivo è un batterio Gram positivo a forma di bastoncino e la via d'infezione più comune è quella aerogena, per inalazione polmonare; i micobatteri si depositano negli alveoli dando origine alla patologia primaria. Ci sono però anche altre vie d'infezione, benché meno frequenti, se non rarissime: per ingestione di latte contaminato, per contaminazione del sangue dopo ingestione del batterio, attraverso il tessuto linfatico (passando per le tonsille), per via congenita (i batteri passano attraverso la placenta), per contatto con materiale infetto. La tubercolosi è oggi una malattia piuttosto rara nei paesi sviluppati, ma ci sono comunque alcuni individui che risultano positivi al Tine-test (tubercolino-positivi); questo significa che sono venuti in contatto con il batterio senza però avere sviluppato la malattia. Nei paesi in via di sviluppo invece la tubercolosi è tutt'ora una patologia diffusa, spesso con esito fatale.
La Tbc primaria è la malattia provocata dal primo contatto fra batterio e soggetto colpito, mentre la secondaria è quella che insorge in soggetti che siano già sensibilizzati nei confronti di questo agente infettivo e che, perciò, hanno acquisito meccanismi di immunità. La tubercolosi primaria spesso non viene diagnosticata; per la scarsità o la poca rilevanza dei sintomi (febbre bassa, sudorazione, astenia, tosse secca insistente) si attribuisce lo stato patologico ad altre cause, come la febbre influenzale, il deperimento organico, la tosse secca. Nel caso della Tbc primaria il batterio scatena un'infiammazione polmonare e dei linfodi ilari, provocando calcificazioni localizzate. A volte i batteri possono rimanere per anni nelle aree di infezione primaria, per poi iniziare una fase di crescita e causare forme di Tbc secondarie; le cause di questo comportamento non sono ancora note. A seconda dell'area dell'organismo colpita per la prima volta dalla patologia si possono distinguere la tubercolosi polmonare e quella extrapolmonare (soprattutto intestinale). Fra le forme secondarie vi sono la tubercolosi scheletrica, urogenitale, delle tonsille e la meningite tubercolare. Si ha tubercolosi miliare (acuta o cronica) in presenza di Tbc diffusa nelle vie linfatiche ed ematiche. Per diagnosticare la tubercolosi si ricorre a diversi esami, fra cui radiografia del torace, allergometria tubercolinica (Tine-test), esami batteriologici, esame dell'espettorato, esami sierologici, diagnosi molecolare (Pcr; consente di rilevare quantità anche minime di Dna batterico).
La terapia antitubercolare si basa sull'utilizzo di battericidi efficaci contro i batteri resistenti agli antibiotici. Generalmente si utilizza una combinazione di tre antibiotici (etambutolo, isoniazide, rifampicina), somministrati quotidianamente per diversi mesi. Nei casi in cui la terapia farmacologica non dia esito si procede a quella chirurgica, con l'asportazione delle lesioni polmonari, il drenaggio del materiale purulento e interventi eventualmente a carico di altri organi interessati. Le persone a più alto rischio di contrarre l'infezione TBC sono i soggetti a stretto contatto con ammalati di TBC bacillifera in fase contagiosa (non curati) gli anziani, i bambini
i diabetici, i pazienti trattati con cortisonici ad alto dosaggio o altri farmaci immunosoppressori
le persone con deficit immunitario in generale
i tossicodipendenti, le persone che vivono in ospizi, istituti di correzione, e in tutti gli ambienti affollati e poco arieggiati,le persone che possono essere esposte alla TBC sul posto di lavoro come gli operatori sanitari.
In Italia la tubercolosi è una patologia che va denunciata al servizio sanitario nazionale.
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Reflusso gastroesofageo

Per reflusso gastroesofageo s'intende il ritorno verso l'esofago di materiale acido proveniente dallo stomaco. La sintomatologia è rappresentata da un bruciore retrosternale che può arrivare fino alla gola con o senza rigurgiti acidi: In genere il soggetto avverte i sintomi piuttosto frequentemente (almeno settimanalmente), associati ad altri meno caratteristici (raucedine, deglutizione dolorosa, problemi dentali ecc.); poiché il 7% della popolazione soffre di bruciori retrosternali tutti i giorni, il sintomo in sé può non essere indicativo di reflusso; per determinare l'esistenza della patologia si ricorre all'endoscopia o alla pHmetria. Il reflusso trascurato evolve spesso in esofagite, ulcere fino all'evoluzione nell'esofago di Barrett, lesione che può evolvere in tumore. Le cause meccaniche del reflusso sono lo scarso tono della muscolatura esofagea, dello sfintere esofageo inferiore e l'ernia iatale; recenti studi hanno dimostrato la familiarità della patologia e si sta cercando il gene responsabile. Le cure consistono in farmaci per la riduzione della secrezione acida e procinetici per aumentare il tono della muscolatura; nei casi più gravi si può ricorrere alla plastica antireflusso.
ACUFENI
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La percezione di un rumore in assenza di qualunque sorgente sonora viene definita acufene (acuféne) o acufeni (in inglese: "tinnitus"). Si tratta di un fenomeno estremamente frequente, descritto con caratteristiche variabili (sibilo, ronzio, fischio, rombo, fruscio…). Con il termine di iperacusia definiamo, invece, la ridotta tolleranza nei confronti dei rumori esterni di elevata intensità che spesso si associa all'acufene stesso e generalmente riconosce le stesse cause e le stesse possibilità di trattamento. Tutto quello che diremo sull'acufene è valido anche per questo sintomo. L'acufene può essere l'unico sintomo presente o può accompagnarsi, nel tempo o sin dall'inizio, a riduzione dell'udito (ipoacusia), vertigini ricorrenti o disequilibrio soggettivo, senso di ovattamento o pressione nell'orecchio, tutti sintomi da alterazioni dell'orecchio interno che se tutti associati e presenti nello stesso paziente permettono di usare la definizione di malattia o sindrome di Meniere.



L'acufene soggettivo, ovvero la percezione di un rumore bioelettrico, deve essere ben distinto dalla percezione dei ben più rari rumori endoauricolari o periauricolari di tipo meccanico, vibratorio, intermittente o puslante. Si tratta in questo caso di veri "rumori" effettivamente generati a livello dell'orecchio o di strutture in prossimità dell'orecchio, che riconoscono (ad eccezione forse dell'acufene pulsante, sincrono con il battito cardiaco, per il quale è possibile vi sia una causa simile) generalmente tutt'altro meccanismo (muscolare, articolatorio ecc). Spesso, erroneamente, sono stati per anni definiti "acufene oggettivo" per distinguerli dall'acufene vero e proprio, fenomeno bioelettrico generabile solo a livello dell'orecchio o delle vie uditive, non percepibile o registrabile come rumore da un esaminatore esterno o da un particolare accertamento diagnostico, in quanto esperienza "privata" (ma reale, non certo immaginata o inventata) tra l'orecchio ed il cervello del paziente stesso.



In molti casi la comparsa e la persistenza di un acufene soggettivo, con o senza sordità associata, come è emerso dalla nostra esperienza con migliaia di pazienti già seguiti nel nostro Centro negli ultimi anni per tali disturbi e studiati con particolari accertamenti diagnostici, è direttamente determinata, in parte o in tutto, da una disfunzione idromeccanica reversibile nell'orecchio interno, causata da un eccesso di liquidi labirintici (endolinfa e/o perilinfa) o idrope labirintico, per la quale esistono valide possibilità di trattamento in tempi brevi. Anche qualora l'acufene sia in effetti espressione di alterazioni irreversibili (il che è davvero molto meno frequente di quanto non si creda e comunque mai davvero dimostrabile con assoluta certezza), mediante altri trattamenti (in particolare mediante specifici trattamenti farmacologici sul sistema nervoso centrale o con la Tinnitus Retraining Therapy - TRT una terapia ormai nota anche in Italia, oggi però molto da ridimensionare in quanto richiede però una accurata selezione dei pazienti da trattare e presenta numerosi limiti di applicazione) è comunque possibile ridurre o eliminare, nella maggior parte dei pazienti questo fastidioso disturbo, nonostante ancora non sia possibile assicurare l'assenza di possibili recidive comunque trattabili. Oltre al trattamento specifico di una disfunzione reversibile causata dai liquidi labirintici, alle terapie farmacologiche con neurofarmaci ed eventualmente alla TRT non esistono a tutt'oggi altre terapie realmente efficaci nonostante quanto è spesso possibile reperire in Internet.

A dispetto di quanto i pazienti si sentono ancora dire da molti medici specialisti e non, grazie alle maggiori conoscenze sugli acufeni e sulle cause sottostanti, sono disponibili protocolli di trattamento che si sono rivelati già da tempo estremamente efficaci, in grado di ottenere la riduzione e spesso perfino la scomparsa dell’acufene nella maggior parte dei casi, oltre che accertamenti diagnostici particolari, che ci permettono, quasi sempre, di studiare in modo accurato i meccanismi sottostanti e le cause di insorgenza e persistenza di tali fenomeni. Nella maggior parte dei casi più che l'espressione di un danno paermanente a carico di cellule ciliate o nervi, imputati a priori senza alcuna ragione da molti specialisti con un atteggiamento disfattista, il sintomo, di per sé molto frequente deriva da un aumento della pressione dei liquidi cocleari (idrope) che comprimendo e deformando le cellulel ciliate determina la loro stimolazione autonoma e quindi l'acufene stesso.

A cura del Dr. Andrea La Torre, specialista ORL, Roma
(Pubblicato su consenso dell’autore)

Vi invitiamo a consultare il sito www.otorinolaringoiatria.it per eventuali aggiornamenti.
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SPASMOFILIA

la spamofilia non è altro che una distonia neurovegetativa, collasso nervoso, depressione ed altre malattie psichiche.
le statistiche sostengono che un 50%-60%delle persone soffrono di spamofilia.
dal punto di vita biologico potrebbe derivare da un disturbo costituzionale metabolico cellulare del calcio.
l'improvviso aumento della concentrazione intracellulare causa la contrazione delle miofibrille all'interno della cellula del muscolo, per la muscolatura liscia la contrazione avviene alla stessa maniera , ma il procedimento che innesca la contrazione è differente, non attivato dallo stimolo dei nervo volontari ma bensì da quelli del sistema neurovegetatitvo e da ormoni.
la spamofilia non si intende soltanto un disturbo neuromuscolare e meccanica, ma il soggetto colpito spesso è per il 90% più stanco la mattina che la sera, può soffrire di bulimia, anoressia, difficoltà digestiva, stitichezza, nervosismo, irritabilità, tremori, fobie, insonnia inoltre si aggiungono lipotimie, crampi muscolari, formicolii, cefalee, dolori precordiali, colite psicosomatica, fragilità dei capelli, eiaculazione precoce, impotenza improvvisa nell'uomo, frigidità nella donna.
se un soggetto accusa almeno 5-6 di questi sintomi elencati, con probabilità soffrirà di spasmofilia.
spesso le cause non vengono scoperte con i normali esami di laboratorio per questo non viene ne compreso ne aiutato .

la spasmofilia, la ipoglicemia e l'ipertiroidismo hanno tanto in comune e spesso sono presenti nello stesso soggetto .
il sistema neurovegetativo è responsabile dell'ordine del nostro organismo , alimenta non soltanto tutti gli organi ma tutto ilsistema ghiandolare, la muscolatura liscia, il miocardio, l'innervazione della muscolatura striata dello scheletro e delle mucose.

bioterapeuta

Renato Ventura
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SOFFIO AL CUORE

L'aumento delle visite di prevenzione (i cosiddetti check-up) ha reso estremamente comune la scoperta di soffi cardiaci. Una percentuale elevata di soggetti adulti (sicuramente vicina al 50% di coloro che eseguono controlli periodici) evidenzia un soffio cardiaco temporaneo o permanente durante la propria vita.
Per capire cos'è un soffio cardiaco occorre esaminare il ciclo cardiaco. Il ciclo del cuore può essere suddiviso in fasi caratterizzate meccanicamente dall'apertura e dalla chiusura di atri (le cavità superiori del cuore), ventricoli (le due cavità inferiori) e valvole. All'inizio della sistole (contrazione) ventricolare, la contrazione dei ventricoli chiude le valvole atrioventricolari (mitrale e tricuspide) e, poiché le valvole polmonare e aortica sono ancora chiuse, il ventricolo è una cavità chiusa. La pressione sale e fa aprire le valvole aortica e polmonare e il sangue fuoriesce. La pressione diminuisce e le valvole aortica e polmonare si richiudono, terminando la sistole (che va dunque dalla chiusura delle valvole mitrale e tricuspide alla chiusura delle valvole aortica e polmonare). Inizia la diastole (rilasciamento) in cui i ventricoli sono chiusi, ma vuoti, con il sangue che fluisce negli atri aumentandovi la pressione finché si aprono le valvole mitrale e tricuspide che fanno affluire il sangue nei ventricoli, flusso aumentato dalla sistole (contrazione) atriale. Il ciclo è così completo. In corrispondenza del ciclo cardiaco vengono normalmente percepiti tre toni, prodotti dalla vibrazione delle valvole. Il primo coincide con la chiusura delle valvole mitrale e tricuspide (inizio della sistole), il secondo con la chiusura delle valvole aortica e polmonare (inizio della diastole), il terzo è associato alla fine del riempimento rapido della diastole ventricolare. Quest'ultimo tono è rilevato normalmente nei bambini e nei giovani fino ai 30-40 anni o in gravidanza, ma può essere associato anche a condizioni patologiche (ed è allora chiamato galoppo ventricolare diastolico). Un quarto tono (galoppo atriale) è in genere anomalo. I soffi cardiaci sono suoni estranei di durata maggiore rispetto a un tono fisiologico, prodotti dalle vibrazioni delle pareti ventricolari, delle valvole cardiache o delle pareti vasali. Possono nascere da flussi anomali o semplicemente aumentati. Si differenziano per tempo di comparsa (diastolici, sistolici o continui), frequenza (alti o bassi), intensità (si classificano in sei gradi, da 1 a 6 con il primo grado non sempre udibile e il sesto così intenso da essere percepito anche da uno stetoscopio di poco sollevato dal torace), durata, punto di massima intensità (punta, spazi intercostali ecc.), trasmissione (verso il collo, il margine sternale ecc.). Anche la postura, la respirazione, lo sforzo fisico e l'esecuzione di certe manovre (di Valsalva, di Muller) possono rendere percettibili o modificare i soffi cardiaci. Sfortunatamente nessuna delle caratteristiche sopradescritte consente di determinare se un soffio è fisiologico o patologico (rendendo così superflue ulteriori indagini).
È importante sottolineare soprattutto le condizioni che possono condurre a soffi cardiaci che nulla hanno a che vedere con una patologia cardiaca. Fra tali condizioni da ricordare, citiamo:
a) l'aumentata gittata cardiaca (per esempio negli sportivi)
b) febbre
c) anemia
d) gravidanza e inizio del puerperio (soffio mammario)
e) ansia
f) ipertiroidismo
g) costituzione (pectus excavatum, sindrome della schiena dritta)
h) fistola arterovenosa periferica
i) ronzio venoso (flusso rapido attraverso le vene, frequente in giovani adulti sani e in gravidanza)
Si deve poi rilevare che la causa di un soffio cardiaco può essere una situazione cardiaca di per sé in genere benigna come il prolasso della mitrale.
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SCOMPENSO CARDIACO

Lo scompenso cardiaco è una condizione che si ha quando il cuore, e in particolare il ventricolo sinistro, perde la sua normale capacità di pompare sangue per mantenere le funzioni vitali dell'organismo e, quindi, lavora con sempre minore efficienza. Si verifica sempre quando il miocardio è danneggiato e sovraffaticato. Vengono così a crearsi diverse alterazioni nella circolazione arteriosa e venosa, che aggravano ulteriormente lo stato del cuore, danneggiandolo in modo irreversibile. Inizialmente la quantità di sangue pompata dal cuore al resto dell'organismo risulta ridotta, mentre quella che torna dall'organismo al cuore incontra una resistenza superiore al normale. Di conseguenza, l'aumento della pressione venosa provoca un'uscita del sangue dai vasi e causa edema ai polmoni o agli arti inferiori (tipica la formazione di edema declive, caratterizzato dall'ingrossamento delle caviglie). Generalmente non si manifesta in modo improvviso, ma tende a svilupparsi lentamente; così possono trascorrere anni prima che emergano sintomi chiari e si possa intervenire. L'insufficienza funzionale cronica del cuore può avere anche esito fatale.
I sintomi principali dello scompenso cardiaco sono edema (accumulo di liquido nell'addome, nei polmoni, nelle gambe, nei piedi); insufficienza respiratoria (causata da un eccesso di liquido nei polmoni, si presenta generalmente come un'asfissia da annegamento); tosse secca persistente, con respiro affannoso; stanchezza (causata dal carente rifornimento di ossigeno ai muscoli e ai tessuti, con possibili danni a vari organi); inappetenza (per la ridotta efficienza dell'apparato digerente); confusione mentale (perdite di memoria, disorientamento); aumento della frequenza cardiaca (il cuore aumenta i battiti per compensare la perdita della capacità di pompa muscolare, fino alla comparsa di palpitazioni).
Si ritiene in genere che lo scompenso cardiaco sia una conseguenza di altre patologie, che danneggiano in vario modo il sistema cardiovascolare. La cause principali dello scompenso sono l'aterosclerosi (l'ispessimento delle pareti arteriose, in particolare delle coronarie, causa la diminuzione dell'afflusso di sangue al miocardio, danneggiandolo); l'infarto (la zona più sofferente dopo l'infarto è il ventricolo sinistro); l'ipertensione arteriosa (livelli elevati di pressione costringono il cuore a pompare più del normale per consentire una circolazione di sangue normale nell'organismo, con un graduale affaticamento del miocardio); diabete mellito (la condizione metabolica più a rischio per la salute delle arterie); patologie polmonari (che provocano una carenza nel rifornimento di ossigeno al cuore, costretto a un superlavoro); patologie specifiche del miocardio (per varie ragioni, fra cui l'abuso di alcol o sostanze stupefacenti e infezioni virali o batteriche); patologie valvolari (diverse malattie possono causare un malfunzionamento delle valvole cardiache, con conseguente affaticamento del cuore, costretto a lavorare più del normale).
Il trattamento dello scompenso cardiaco varia sulla base della gravità della malattia. Si interviene con diversi tipi di farmaci, a seconda delle circostanze. I diuretici favoriscono l'eliminazione del sodio e dei liquidi in eccesso, ma sono controindicati nei casi di diabete, gotta e livelli elevati di grassi nel sangue. I beta-bloccanti agiscono su recettori specifici diffusi in tutto l'organismo, e dunque anche nei vasi sanguigni, ma non possono essere presi da chi soffre d'asma, di insufficienza cardiaca, di depressione, di problemi gravi alla circolazione nelle gambe. Gli ace-inibitori infine agiscono su un sistema di controllo della pressione situato nei reni e non hanno particolari controindicazioni, se non durante la gravidanza.
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SALMONELLOSI

La salmonellosi è un insieme di malattie infettive causate da Salmonelle, batteri presenti nell'apparato gastrointestinale di molti animali (insetti, rettili, uccelli e mammiferi) che vengono escreti con le feci. Generalmente si tratta di batteri che non arrecano danni all'organismo; infatti esistono circa 2.000 varietà di Salmonelle, ma solo poche sono patogene per l'uomo (fra queste, la Salmonella Typhi, che provoca la febbre tifoide).
Nell'uomo, la salmonellosi ha un tempo di incubazione che varia fra le 12 e le 72 ore; la gravità dei sintomi è variabile. Si va da semplici problemi intestinali che si risolvono nell'arco di 24 ore a forme gravi di diarrea con disidratazione, febbre elevata, crampi, fino a giungere a un esito fatale. Le fonti di contagio sono rappresentate dall'ingestione di alimenti contaminati (soprattutto carne, uova, cibi precotti), dal contatto con portatori e dalla permanenza in ambiente ospedaliero. La via più comune d'infezione è quella orale (ingestione di cibi o liquidi contaminati), ma l'infezione si può verificare anche attraverso ferite, tagli o ulcere, per contatto di materiale contaminato negli occhi, per inalazione. Si deve inoltre tenere presente che anche i rettili possono trasmettere la salmonellosi (si calcola che il 90% dei rettili sia portatore sano di Salmonelle). Ad esempio, negli Stati Uniti all'inizio degli anni Settanta vi furono circa 300.000 casi di salmonellosi causati dal contatto con le tartarughe da compagnia.
In ogni caso, per un adulto sano le possibilità di ammalarsi a seguito di un contatto con Salmonelle sono piuttosto basse, grazie alle difese immunitarie. Sono invece a rischio tutti i soggetti più deboli, come i neonati e i bambini con meno di 6 anni, le donne in gravidanza (per i rischi al feto), gli anziani e gli ammalati, chi soffre di immunodepressione. La terapia si basa sulla somministrazione di antibiotici. A causa della grande varietà di Salmonelle esistenti non è stato ancora possibile mettere a punto un vaccino.
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TALASSEMIA

La talassemia (dal greco, significa anemia del mare, poiché è diffusa nelle regioni costiere) è una malattia ereditaria causata da un difetto genetico di formazione dell'emoglobina. In realtà si tratta di un gruppo di anemie ereditarie, comuni nei paesi del Mediterraneo (da qui il nome di anemia mediterranea), del Sud-Est asiatico e di alcuni paesi dell'Africa equatoriale, anche se, in seguito agli spostamenti migratori, è attualmente presente in quasi tutto il mondo. Nelle regioni più colpite il 10% della popolazione è talassemico. I globuli rossi dei talassemici sono più piccoli (da qui il termine microcitemia per indicare il quadro clinico).
La storia - La maggior diffusione sulle coste è dovuta al fatto che nelle zone paludose vicino al mare imperversava la malaria; poiché il ciclo di vita del plasmodio passa attraverso i globuli rossi, i talassemici portatori sani offrivano un habitat meno accogliente al parassita e pertanto vivevano di più, aumentando la percentuale della popolazione portatrice del male.
La malattia - La talassemia si manifesta in due forme cliniche. Molti soggetti hanno ereditato la talassemia da uno solo dei genitori e sono portatori sani (talassemia minor o talassemia eterozigote). Chi invece eredita il difetto da entrambi i genitori sviluppa una grave patologia (talassemia major o morbo di Cooley dal nome del pediatra americano che la descrisse per primo). Se i genitori sono entrambi portatori sani, la probabilità di avere un figlio con talassemia major è del 25%, quindi molto alta. È pertanto fondamentale la prevenzione attraverso un'indagine accurata.
Mentre la talassemia minor è asintomatica (il soggetto si accorge di essere portatore sano solo con accertamenti ad hoc, molto spesso è presente una lievissima anemia e globuli rossi leggeremente più piccoli), la talassemia major si manifesta come una grave anemia nell'età pediatrica. Il bambino per sopravvivere deve essere sottoposto a continue trasfusioni che garantiscano la sopravvivenza (una ogni venti giorni). Purtroppo la terapia trasfusionale ha vari effetti collaterali come il rischio di infezioni virali e il sovraccarico marziale che obbliga a una terapia deferrizzante per evitare i danni che l'abbondanza di ferro genera nell'organismo. Da alcuni anni viene praticato il trapianto di midollo emopoietico. Il trapianto può avere controindicazioni e richiede un donatore compatibile. Per il futuro si stanno studiando il trapianto di midollo in utero (cioè il trattamento del feto durante la gravidanza) e farmaci che migliorerebbero la produzione di emoglobina.
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LEUCEMIE

Con questo termine si indica un vasto gruppo di forme tumorali delle cellule del sangue e del sistema omopoietico. A seconda del tipo di cellula coinvolta si differenziano in leucemie mieloidi e leucemie linfoidi. Entrambe sono caratterizzate dall'eccessiva emissione nel sangue di globuli bianchi e interessano in un caso le popolazioni granulocitarie e monocitarie del sangue e nell'altro elementi della serie linfoide. Un'altra possibile classificazione è data dall'aggressività e dalla durata che permette di distinguere le leucemie acute da quelle croniche.
La leucemia è una delle grandi scommesse della medicina dei prossimi venti anni: si suppone che nel 2020 il 90% delle leucemie sarà guarito. Non mancano gli scettici e la loro posizione è pienamente giustificata perché se per alcune forme leucemiche si sono fatti molti passi avanti, per altre la situazione è in fase di stallo. Vediamo come si agisce oggi contro la leucemia.
Leucemia acuta promielocitica - È abbastanza rara (100 casi all'anno in Italia) e fino a qualche anno fa era letale per otto malati su dieci. Gli studi di P. G. Pellicci hanno evidenziato il guasto genetico (la fusione di elementi cellulari che normalmente vivono separati) alla base della leucemia; successivamente l'impiego di acido retinoico, della chemioterapia e la realizzazione di un anticorpo monoclonale per la diagnosi veloce (qualche ora) permettono di guarire il 70% ca. di pazienti con meno di sessanta anni.
Leucemia linfatica acuta - Esiste in varie forma ed è quella dove si sono registrati i minori progressi terapeutici. Nella variante legata al cromosoma Filadelfia (25% degli adulti e fino al 35% degli anziani malati) si stanno sperimentando le stesse vie terapeutiche della leucemia mieloide cronica; nella variante Burkitt una terapia d'urto breve, ma molto intensa guarisce il 70% dei casi.
Leucemia linfatica cronica - In Italia sono 1.200 ca. i casi annui. Una volta colpiva di preferenza gli ultrasessantenni; attualmente la soglia si è abbassata e si registrano casi anche di giovani sotto ai trent'anni. A. Cerutti (2001) ha scoperto che l'indebolimento del sistema immunitario è dovuto all'intervento di una molecola (Cd30), bloccando la quale si potrebbero evitare le infezioni, causa prima di morte in questo tipo di leucemia. È una patologia molto diversificata: da casi di pazienti malati che non necessitano di terapie e conducono una vita paranormale a casi molto aggressivi. Lo stadio intermedio è quello più comune. Oltre al trapianto da donatore (che attualmente è l'unico mezzo di guarigione totale) o all'autotrapianto, si ricorre a farmaci specifici (come la fludarabina).
Leucemia mieloide acuta - Regredisce facilmente nel 75% dei casi in seguito alla terapia d'urto iniziale. Purtroppo dopo qualche anno recidiva con esito spesso mortale. Si stanno sperimentando anticorpi monoclonali capaci di veicolare sulle cellule tumorali farmaci chemioterapici efficaci, altrimenti tossici se assunti per via generale.
Leucemia mieloide cronica - In Italia sono 600 i casi annui. Causata da un guasto genetico, il cromosoma Filadelfia che produce un enzima capace di trasformare le cellule sane in malate, è una delle leucemie per le quali si stanno sperimentando farmaci intelligenti (come l'STI571, sviluppato dal gruppo di C. Gambacorti-Passerini) in grado di riparare i problemi genetici. Terapia principale è il trapianto di midollo che assicura una guarigione nel 60% dei casi; per gli altri malati la sopravivenza è di sei anni ca. Terapie particolari che usano l'interferone sembrano promettere un miglioramento della sopravvivenza anche in assenza di trapianto. In pazienti anziani si utilizza il miniallotrapianto, un trapianto normale, ma con chemioterapia non aggressiva che non distrugge tutte le cellule tumorali, ma prepara l'attecchimento del nuovo midollo. Nel 2002 in Italia è iniziata la sperimentazione dell'imatinib (nome commerciale Glivec) che ha ottenuto risultati positivi nel 90% dei casi.
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CALCOLOSI BILIARE

La calcolosi biliare è una patologia provocata dalla presenza di calcoli all'interno della colecisti (colelitiasi) o del coledoco (coledocolitiasi), il dotto in cui la bile scorre dal fegato al duodeno. Nella colecisti viene immagazzinata la bile secreta dal fegato; la bile è composta da colesterolo, acidi biliari e lecitine. Se la concentrazione del colesterolo aumenta oppure diminuisce quella degli acidi biliari, il colesterolo precipita formando cristalli, che a loro volta costituiscono il primo nucleo per la formazione dei calcoli. Questa patologia colpisce più frequentemente soggetti di sesso femminile, in sovrappeso, che consumano molti grassi.
I sintomi nel caso della calcolosi della colecisti sono difficoltà nella digestione, stitichezza, cefalea e, soprattutto, colica biliare. La colica è un dolore che compare dopo i pasti e tende ad aumentare progressivamente; può essere accompagnato da vomito biliare. Nel caso della calcolosi al coledoco, possono presentarsi dolore, febbre e ittero. La calcolosi biliare può causare varie complicanze, fra cui colecistite acuta, pancreatite acuta, perforazione della colecisti, angiocolite, papillite, colangite sclerosante.
Alla diagnosi si arriva mediante palpazione dell'addome e ispezione delle sclere (parte dell'occhio), che permette di rilevare presenza di ittero (causato da un eccesso di bilirubina nell'organismo), esami di laboratorio (Ves, emocromo completo, bilirubinemia, transaminasi, colesterolemia ecc.), indagini strumentali (ecografia epato-biliare, radiografia alla colecisti e al coledoco, Tac, Rmn).
Le terapie sono farmacologica e chirurgica. Quella chirurgica prevede l'asportazione completa della colecisti e dei suoi calcoli e determina la guarigione completa e definitiva della patologia. Attualmente si procede con tecnica tradizionale ma anche mediante intervento laparoscopico, senza apertura dell'addome. Un tempo si utilizzavano anche metodiche parachirurgiche, con l'obbiettivo di frantumare i calcoli dall'esterno, utilizzando un'onda meccanica; questo tipo di terapia è attualmente in disuso per la calcolosi biliare, sia per il rischio di provocare pancreatite acuta, sia perché l'eliminazione dei calcoli richiede tempi molto lunghi. Le terapie farmacologiche consistono nella somministrazione di acidi biliari (in grado di solubilizzare i calcoli) e di solventi da contatto (introdotti nella colecisti). Il ricorso ai farmaci richiede tempi molto lunghi e non elimina la possibilità che si riformino calcoli, che anzi si ripresentano con percentuali comprese fra il 35% e il 50% dei casi dopo due anni dal trattamento. L'unica terapia risolutiva rimane perciò quella chirurgica.
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ERNIA

L'ernia è costituita dalla fuoriuscita totale o parziale di un viscere o di un altro organo dalla cavità in cui si trova normalmente. Le ernie più comuni sono quelle che riguardano la cavità addominale con rottura dell'orifizio inguinale (nei soggetti maschi) e della fascia della coscia (nelle femmine), ma esistono anche ernie crurali, ombelicali e diaframmatiche. Possono essere provocate da tre meccanismi: la persistenza dopo la nascita di un orifizio embrionale, l'indebolimento della parete addominale oppure una lesione della parete per trauma o per intervento chirurgico.
L'ernia inguinale è più frequente negli uomini che nelle donne (di un fattore dieci) per l'anatomia del canale inguinale, la struttura ove passa il funicolo spermatico che arriva ai testicoli, ove è più probabile la discesa di una parte dell'addome. Tale "discesa" prelude quindi alla fuoriuscita dalla parete addominale (l'ernia vera e propria) in un punto in cui, per debolezza o particolari fattori aggravanti (sforzi, tosse cronica, stitichezza), la parete cede.
I sintomi sono un senso di pesantezza all'inguine e un rigonfiamento che scompare in posizione sdraiata ma che si mostra evidente sotto sforzo o in piedi. Il rigonfiamento può quindi crescere di volume, fino a portare alla complicanza più grave dell'ernia, la sua strozzatura: in questo caso l'orifizio attraverso il quale si protende l'ernia opera uno strangolamento dei vasi sanguigni dell'intestino, provocando fortissimi dolori e vomito. La strozzatura dell'ernia si verifica statisticamente nel quattro per cento dei casi ma è un'eventualità grave per cui l'intervento chirurgico diventa urgentissimo.
La tecnica chirurgica si è perfezionata nel tempo, fino ad arrivare all'applicazione di moderne protesi biocompatibili (piccole reti) su misura per riparare la parete che ha ceduto. L'intervento può prevedere la sutura sui muscoli dell'addome oppure, per eliminare il dolore e il fastidio delle trazioni dei punti interni, può sfruttare la spinta dall'interno dell'addome che finisce per incorporare la protesi nella sua parete. Una tecnica ibrida (tecnica di Valenti) è stata messa a punto dal 1992 da ricercatori italiani: essa prevede l'uso di due reti, una posizionata verticalmente e una orizzontalmente e saturate solo lungo un lato, mentre dall'altro sono lasciate libere. Questa tecnica consente alle reti di meglio adattarsi in base alla conformazione dell'ernia e minimizza le recidive oltre che a migliorare i tempi di recupero e il confort del paziente. Con la tecnica laparoscopica invece si introduce la rete arrotolata attraverso piccole incisioni; essa viene distesa all'interno della cavità con l'aiuto di sonde con microtelecamera, e fissata con punti metallici. Quest'ultima tecnica, meno invasiva, è però più soggetta a recidive e viene usata solo in casi particolari di ernia bilaterale o nel caso di ernie precedentemente trattate chirurgicamente con intervento tradizionale o per chi pratica sport.
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COLITE E COLON IRRITABILE
Colite è un termine che indica una generica infiammazione del tratto di intestino denominato colon. La genericità del termine porta con sé grande confusione perché in realtà si confondono sintomi con patologie.
Dal punto di vista patologico si possono identificare:
a) sindrome del colon irritabile o colite spastica. È la colite più comune e meno grave, causata da un colon facilmente irritabile con sintomi banali, ma spesso molto fastidiosi (dolori addominali, stitichezza o, al contrario diarrea).
b) Coliti infettive. Sono quelle provocate da un agente esterno: tifo, paratifo, tubercolosi addominale, yersinia, sighella, ameba, Cytomegalovirus, schistosomiasi ecc.
c) Coliti ischemiche, causate da un deficit dell'apporto di sangue al colon.
d) Colite da antibiotici o di origine chimica (mercurio).
e) Morbo di Crohn e rettocolite ulcerosa. Sono patologie serie le cui cause non sono ancora note.
Sindrome del colon irritabile - Poiché si tratta di una malattia dell'apparato digerente, molti ritengono che sia collegata a cause alimentari. In realtà non è affatto così, anzi, il più delle volte è legata a stress psichici e/o (più raramente) fisici. Una cattiva alimentazione o determinati alimenti possono aggravarla, ma il consiglio migliore è migliorare la propria vita dal punto di vista psicologico.
Ciò che è importante notare è che gli alimenti "negativi" non sono gli stessi per tutti i soggetti; il che comporta che è necessario un esame individuale della dieta proposta, in quanto indicazioni generali spesso falliscono. Il paziente può cioè adottare una strategia simile a quella indicata per le intolleranza alimentari, escludendo e/o inserendo l'alimento incriminato e verificando la reazione personale.
Gli alimenti a rischio
Latte
Dolcificanti (sorbitolo, fruttosio ecc.)
Marmellata
Frutta: pesche, pere, prugne
Verdura: cavoli, carciofi, spinaci, cipolla, rucola, cetrioli, sedano
Fibre e cibi integrali (in alcuni soggetti migliorano la situazione, in altri la peggiorano)
Spezie
Caffè, tè, Coca Cola e bevande contenenti caffeina
Bibite gassate
Altri alimenti sono a rischio indiretto, come per esempio tutti quelli ricchi di sale (dadi per brodo, insaccati) perché inducono a bere più del dovuto.
La preferenza va poi a piatti semplici, non elaborati, da gustare in perfetta tranquillità. L'attività fisica (dapprima moderata, poi a intensità crescente) può essere utile ad allenare l'intestino a una certa motilità fisiologica. La limitazione dei fattori di stress o una loro migliore gestione è poi una delle armi migliori contro la colite.
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IPERTENSIONE

Durante il ciclo cardiaco la pressione è massima in sistole (pressione sistolica) e minima in diastole (pressione diastolica); quando si parla di pressione arteriosa è quindi logico (e noto a tutti) definire due valori, ognuno indicativo di una certa condizione. I valori di normalità sono leggermente influenzati dall'ora del giorno: più alti al mattino, appena svegli, si riducono durante la giornata e tendono a rialzasi verso sera. I valori aumentano in seguito a uno sforzo fisico o per uno stress emotivo: non di rado i valori rilevati dal medico sono maggiori di quelli rilevati dal paziente quando effettua la misurazione da solo. Un ulteriore dato statistico è l'aumento della pressione con l'età. Questo fenomeno, una volta considerato del tutto normale, si deve oggi considerare come comunque patologico. L'aumento è dovuto all'aumentata rigidità dei vasi arteriosi, ma è decisamente più limitato per gli anziani che sono invecchiati "bene".
L'aumento della pressione arteriosa con l'età si può pertanto considerare come uno degli indicatori di invecchiamento biologico.
Tradizionalmente la pressione si misura con lo sfigmomanometro (inventato nel 1896 dall'italiano Scipione Riva-Rocci); oggi esistono dei comodi strumenti elettronici che consentono una rilevazione della pressione da parte del paziente seguendo poche e semplici istruzioni. Se da un lato hanno semplificato il controllo, evitando l'intervento del medico, per alcuni soggetti sono diventati una vera e propria ossessione. A meno di stati veramente patologici, è errato attribuire ogni malessere a un innalzamento o a un abbassamento della pressione ed è inutile diventare schiavi delle continue misurazioni.
I valori normali della pressione arteriosa sono da considerarsi 140 mm Hg per la pressione sistolica (la cosiddetta massima) e 90 mm Hg per la pressione diastolica (la minima). Si parla di ipertensione in presenza di un aumento permanente della pressione arteriosa oltre i valori normali. Ovviamente il grado dell'ipertensione può essere lieve, moderato o severo (uguale o superiore a 180/110). Negli Stati Uniti il 20% della popolazione soffre di ipertensione ed è in cura con farmaci; in Italia probabilmente la percentuale è simile, anche se è minore la percentuale di chi ricorre al medico, probabilmente perché l'ipertensione non dà sintomi evidenti, a meno che non sia grave e prolungata nel tempo.
L'ipertensione può essere un sintomo di uno stato patologico, come nelle malattie cardiovascolari o endocrine, o può essere una patologia indipendente di cui non si conoscono le cause (ipertensione essenziale). È quest'ultima l'oggetto di questo articolo in quanto è una delle patologie più gravi della maturità e dell'età avanzata. Poiché l'aumento della pressione provoca un danno alle arterie con ispessimento e depositi di grassi all'interno delle pareti, l'ipertensione causa danni in diversi organi: dall'ictus cerebrale (occlusione o rottura di un'arteria del cervello), all'infarto (occlusione di una coronaria), all'insufficienza renale (occlusione di un vaso del rene), a cardiopatia (per il superlavoro che il cuore deve svolgere per pompare il sangue), a disturbi visivi (occlusione dei vasi della retina).
Purtroppo la cura è spesso affidata ai farmaci, facendo diventare l'iperteso un vero e proprio laboratorio in cui si cercano di bilanciare certi valori. Il ricorso ai farmaci non sempre è giustificato perché l'ipertensione è aggravata da una serie di fattori che sono comunque un rischio per la salute: curandola con i farmaci s'induce il paziente a perseverare nella sua condotta di vita errata. I principali fattori da eliminare, prima di ricorrere ai farmaci, sono:
- il sovrappeso
- il fumo
- l'inattività fisica
- lo stress
Sul ruolo del sale il discorso non è così chiaro, anche se tutti i medici consigliano agli ipertesi di moderare il cloruro di sodio (consiglio valido anche perché il sale è assunto comunque in dosi non necessarie). Da recenti ricerche risulta che l'abuso di sodio (la cui principale risorsa nell'alimentazione è il sale) aggravi un'ipertensione esistente, ma che non sia in grado di causarla.
Se dopo aver eliminato i fattori sopraccitati la pressione resta ancora alta, allora si deve intervenire con i farmaci. Sicuramente assumere farmaci per il controllo della pressione arteriosa (diuretici, beta-bloccanti, calcio-antagonisti, Ace-inibitori, inibitori dell'angiotensina - alfa1-bloccanti ecc.) provoca effetti collaterali che sono però di gran lunga inferiori ai rischi dell'ipertensione. La cura farmacologica deve essere condotta in stretta collaborazione con il medico, con continuità e senza interventi autonomi (come la riduzione delle dosi quando la pressione si riduce).
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ICTUS

L'ictus cerebrale (o apoplessia, o colpo apoplettico) è un danno cerebrale che compare più o meno rapidamente, provocato da un'alterazione della circolazione sanguigna nel cervello, che può essere provocata da varie cause: ostruzione di un'arteria cerebrale, emorragia, diminuzione temporanea del flusso sanguigno. Se la carenza nell'apporto di sangue al cervello ha una durata e un'estensione ridotte, le conseguenze sono lievi e consentono un ottimo recupero al soggetto colpito; diversamente vi saranno ripercussioni inevitabili e notevolmente più gravi, fino ad arrivare a esiti fatali anche dopo poche ore.
Gli ictus cerebrali hanno diverse cause. Innanzitutto esiste una predisposizione genetica, ma anche le abitudini di vita incidono notevolmente. Infatti diversi studi hanno dimostrato molti dei soggetti colpiti da ictus soffrono di ipertensione, obesità, patologie cardiache, o sono fumatori. Nel caso di ictus di piccola entità compaiono instabilità e stato confusionale, che possono anche scomparire; tuttavia una serie di ictus anche non gravi può provocare conseguenze gravi a lungo termine. Se invece l'emorragia è più estesa, il paziente perde conoscenza e può cadere in coma e manifestare convulsioni. Le conseguenze che si presentano in questi casi sono di carattere motorio e cognitivo. Spesso si ha una paralisi a carico di una metà del corpo, mentre le difficoltà cognitive possono colpire la memoria, la capacità di ragionamento, il linguaggio, l'orientamento.
Per la diagnosi si ricorre a indagini strumentali (Tac, Rmn, arteriografia cerebrale, esame Doppler delle arterie cervicali) e neuropsicologiche, per la valutazione dei danni cognitivi causati dall'ictus e il loro sviluppo futuro. Le terapie sono di carattere farmacologico e neurochirurgico, a seconda dei casi, ma prevedono anche altri tipi di interventi, come la riabilitazione neuropsicologica (recupero delle funzioni cognitive), la riabilitazione logopedica (recupero delle funzioni linguistiche), la riabilitazione fisioterapica (recupero dalle difficoltà motorie), il supporto psicologico, sia al paziente sia ai suoi familiari.
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DOLORI CERVICALI

Queste patologie sono molto frequenti e possono essere definite nevralgie cervicali.

Quando l'età supera i 46-50 anni questi dolori compaiono e sono più frequenti nelle donne. Addirittura alcuni autori danno la causa a queste patologie per le variazioni ormonali durante la menopausa ed ad alcuni problemi prostatici.

Si può però costatare che, anche se con una minore frequenza, questa radicolalgia che è presente in persone dell'età superiore a 30 anni in forma traumatica.

Ci sono molte cause che provocano questa patologia fra cui:
Un trauma. Si trova frequentemente nell'adulto-giovane come conseguenza di un incidente, un colpo, una caduta che interessi la testa o la nuca ed anche uno sforzo fisico anomalo che sia durato una o più settimane. In ogni caso è sempre un banale movimento che mette in moto poi la crisi dolorosa.

Un processo artrosico sia banale, per lo più legato all'età (50 anni) sia accentuato per altre condizioni patologiche esistenti.

La lunghezza della clavicola superiore a 14 cm nelle donne e 17 cm negli uomini. E' comunque più frequente nelle persone longilinee.

Due elementi uniti portano l'avvio della crisi di dolore: uno meccanico, un movimento falso, anche leggero, e quello infiammatorio che interessa la regione cervicale.

L'importanza rispettiva di questi due elementi è molto variabile: quello meccanico è senz'altro il più importante, ma, da solo, non è sufficiente per l'instaurazione della patologia.

I dolori alla regione cervicale sono molto diversi l'uno dall'altro, però circa il 90% deriva da contrattura muscolare o da dislocazione, di conseguenza il 60% è guaribile con una sola applicazione, un buon altro 30% è guaribile con 2-3 applicazioni.

La terapia è molto efficace e nel 90% dei casi, breve e, nella stessa percentuale di casi, risolutiva in UNA seduta.

Si tratta di un massaggio indolore su alcuni punti di agopuntura eseguito con la punta delle dita, punti che si trovano sul collo e sulla prima parte della schiena. Naturalmente non vengono utilizzati nè farmaci nè l'agopuntura.
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MALATTIE DELLA PELLE

Dermatiti

Le dermatiti sono malattie cutanee di tipo infiammatorio, causate da agenti di vario genere. La dermatite eczematiforme è una varietà di eczema, causata normalmente da agenti esterni, spesso di origine professionale. La dermatite da contatto è una dermatite acuta provocata dal contatto con sostanze di varia natura (animali, vegetali, inorganiche). Le dermatiti blastomicetiche sono causate dai blastomiceti, che sono funghi patogeni causa anche di patologie più gravi, come la malattia di Gilchrist. La dermatite erpetiforme del Duhring è una malattia le cui cause non sono chiare, ed è caratterizzata da eruzioni recidivanti di bolle e di altre lesioni; è simile al pemfigo volgare e richiede lo stesso trattamento terapeutico.


Eczema

Gli eczemi costituiscono dal 30% al 50% di tutti i problemi di tipo dermatologico e comprendono un insieme di dermatiti a carattere infiammatorio, non contagioso, che colpiscono la superficie della pelle. I sintomi sono molti e diversi e le varie reazioni eczematose sono altrettanto differenti; si è comunque adottata una suddivisione generale basata sulle cause scatenanti e sulla componente immunologica. Le forme più importanti sono l'eczema da contatto, l'eczema atopico (dermatite atopica) e l'eczema seborroico. Generalmente la malattia comprende una fase acuta (infiammazione violenta, essudativa, con eritema, edemi, vesciche, secrezioni), una subacuta (con sintomi di infiammazione cronica, come papule e papulo-vescicole) e una cronica (i processi infiammatori diminuiscono e si ha un ispessimento della superficie cutanea e dello strato corneo, con conseguenti screpolature). Un sintomo sempre presente è rappresentato dal prurito, che induce il malato a grattarsi provocando escoriazioni sanguinanti, che provocano ulteriore prurito e sono un terreno fertile per la comparsa di infezioni virali e batteriche.
L'eczema da contatto è la forma più diffusa, ed è provocato da una reazione della pelle a sostanze esogene di varia natura (chimica, chimico-fisica, biologica). I meccanismi che provocano l'insorgenza degli eczemi da contatto sono due. Nel primo caso, il contatto con la sostanza provoca un'irritazione della cute e un danno cellulare, e in questo caso si ha una dermatite da contatto irritante. Nel secondo caso si ha una sensibilizzazione allergica verso sostanze specifiche e si è in presenza di una dermatite da contatto allergica. Per la prima è sufficiente anche un singolo contatto cutaneo, mentre la seconda richiede un periodo di almeno 6-10 giorni per la comparsa dei sintomi. La dermatite da contatto provoca la comparsa di eritemi, edemi e vesciche, con la successiva formazione di croste e, infine, desquamazione. Le lesioni iniziali sono localizzate nella zona della cute che è stata esposta alla sostanza sensibilizzante, ma possono anche propagarsi ad altre aree cutanee, nel caso in cui l'esposizione alla sostanza irritante continui. Le sostanze in grado di provocare questo genere di patologia sono molte e di tipi diversi: metalli (cobalto, cromo, nichel), farmaci (antibiotici, antistaminici), tessuti, cosmetici (deodoranti, smalti per unghie, tinte per capelli), prodotti utilizzati in casa (saponi, detersivi ecc.). Alla diagnosi si giunge mediante test allergologici cutanei; la terapia ha lo scopo di ridurre i sintomi, specialmente il prurito, e accelerare la fine della malattia. È ovviamente di fondamentale importanza individuare la sostanza che ha scatenato la reazione ed evitarla, anche ricorrendo a indumenti protettivi (guanti, tute) o creme apposite.
L'eczema atopico è un'infiammazione superficiale della pelle, cronica, pruriginosa, spesso correlata a una storia personale o familiare di patologie allergiche (asma allergico, rinocongiuntivite allergica). Le cause di questa patologia non sono note, ma si ritiene che possa essere scatenata da sostanze respirate o ingerite. Sono probabilmente implicati vari fattori di carattere genetico, immunologico e ambientale. Si presenta generalmente nei primi mesi di vita, meno frequentemente fra gli adulti. Le manifestazioni cutanee dipendono dall'età del malato; nei soggetti molto giovani le lesioni compaiono sul cuoio capelluto, sul volto, sugli arti, sul tronco. L'evoluzione della malattia è varia: in alcuni casi scompare entro il secondo anno di vita, in altri alla pubertà, mentre in alcuni casi dura per tutta la vita, con andamento ciclico, localizzandosi soprattutto dietro le ginocchia, al collo, ai polsi sulle palpebre, sulle dita delle mani. La diagnosi richiede un'attenta anamnesi familiare e personale, oltre alla misurazione delle immunoglobuline E nel sangue. La terapia ha come scopo il controllo della malattia, più che la guarigione, e prevede la somministrazione di antistaminici e cortisonici, oltre all'esclusione di una serie di sostanze nocive, sia dal contatto sia dall'alimentazione.
L'eczema seborroico è caratterizzato dalla comparsa di vaste chiazze eritematose ricoperte di squame grasse, giallastre, e colpisce soprattutto il cuoio capelluto, il viso e il torace.

Erisipela
Infiammazione acuta della pelle (a livello del derma) e anche delle mucose, determinata dallo streptococco e caratterizzata da arrossamento che si sposta e tende a diffondersi, a mano a mano che regredisce nella zona iniziale: può manifestarsi in seguito a ferite o altre lesioni cutanee, talora di minima entità. Il cuoio capelluto, la faccia, gli arti inferiori sono le regioni più spesso colpite, quelle che restano più predisposte alle recidive per fenomeno di latenza microbica. L'erisipela che fu una tra le più temibili infezioni per la sua facilità a propagarsi è oggi, con l'avvento degli antibiotici, facilmente curabile. Ladermatite streptococcica si diffonde attraverso i vasi linfatici e clinicamente si manifesta oltre che con vivo rossore, con più o meno lieve tumefazione dell'area arrossata, che si presenta calda e dolente: coesistono sintomi generali quali febbre, spesso elevata, tachicardia, cefalea. Accanto alla forma classica eritematosa, si hanno diverse varietà: ecchimotica: flittenulare, suppurativa, flemmonosa, cancrenosa (specialmente nelle regioni a cute sottile quali le palpebre, la vulva, lo scroto). L'erisipela può, in rari casi, evolvere in flebite e l'infezione generalizzarsi(batteriemia, piemia). La cura è a base di chemioterapici (sulfamidici) o antibiotici (penicillina, eritromicina, novomicina, macrolidi) e il paziente deve essere isolato.

Herpes
È una malattia infettiva provocata da un virus che a volte si presenta in concomitanza di malattie infettive febbrili ma spesso senza un motivo apparente. Si manifesta con eruzione di vescichette sulla cute (in greco herpes significa "eruzione"), in genere sulle labbra (herpes labialis) e sui genitali (herpes genitalis). I trattamenti dell'herpes, in particolare le sostanze antivirus e il vaccino antierpetico, sono stati migliorati in modo da ottenere in alcuni casi anche guarigioni complete.
Chi è il responsabile - I virus che causano l'herpes appartengono all'herpesvirus, un gruppo di virus a struttura icosaedrica con DNA a doppia elica e avvolti da una capsula lipoproteinica. Al gruppo appartengono l'Herpes simplex, il virus della varicella-zoster o V-Z e i citomegalovirus (che colpiscono le ghiandole salivari e il rene provocando mononucleosi infettiva; nel neonato possono causare inclusione citomegalica).
Herpes simplex - È una dermatite vescicolare dovuta a un virus (Herpes homini, HSV) che vive nell'uomo allo stato latente. Le lesioni vescicolare riguardano le cellule epiteliali della mucosa di bocca, labbra o volto; può interessare anche l'apparato genitale e provocare in determinati casi encefalite e meningite. L'herpes simplex è considerato un segno di diminuzione delle difese organiche.
Herpes zoster (fuoco di Sant'Antonio) - È una varietà di herpes, a decorso acuto, dovuta allo stesso virus che provoca la varicella, che si annida nei gangli nervosi spinali producendo una particolare manifestazione, con dolori e bruciori localizzati e, dopo uno o due giorni, con lesioni vescicolari nella regione dei nervi intercostali, del plesso brachiale, del trigemino e del nervo sciatico. Le vescicole sono raggruppate su un solo lato del corpo e si rompono una settimana dopo la loro comparsa lasciando una macchia bruna. Esiste anche una forma oftalmica che è la più rara, ma anche la più grave a causa delle complicazioni oculari che si creano. In genere il risveglio del virus in chi è stato colpito dalla varicella è dovuto a condizioni particolari (sforzo fisico, terapie cortisoniche, esposizione al sole ecc.). Attualmente si interviene tempestivamente con antivirali (aciclovir) che, fra l'altro, possono diminuire le probabilità di una nevralgia successiva.
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RINITE ALLERGICA E ASMA

Secondo quanto riferito da alcuni ricercatori nella rivista Chest, un'efficace gestione dell'asma richiede una terapia corretta per la sensazione persistente di "naso tappato" o "rinite allergica". È necessario trattare la rinite nell'ambito della terapia per l'asma dal momento che siamo in grado di tenere sotto controllo l'asma con una dose ridotta di steroidi per inalazione, ha dichiarato R. Stelmach (Università di San Paolo, Brasile). La terapia per l'infiammazione associata alla rinite allergica influenza il controllo dell'asma. Tuttavia, non sono numerosi gli studi che hanno osservato l'effetto della terapia della rinite sull'asma persistente e viceversa. Stelmach e colleghi hanno valutato gli effetti del trattamento con assunzione per inalazione o locale nasale di beclometasone diproprionato, uno steroide, somministrato singolarmente o in combinazione, su vari gradi di asma in 74 pazienti con asma da lieve a moderato e da riniti allergiche. Secondo quanto riferiscono gli autori, i pazienti di tutti i gruppi di trattamento hanno riscontrato miglioramenti significativi nei sintomi della rinite e dell'asma. L'applicazione nasale di beclometasone diproprionato ha prodotto una riduzione più intensa nei sintomi dell'asma rispetto alla riduzione dei sintomi della rinite ottenuti con la somministrazione per inalazione, hanno osservato i ricercatori. Tutti i gruppi di trattamento hanno mostrato un incremento significativo nei valori di FEV1, una misurazione della funzione polmonare, e non sono state riscontrate differenze negli effetti collaterali tra i diversi gruppi. Sono state registrate riduzioni significative del numero di visite al pronto soccorso, risvegli notturni causati dall'asma e periodi di assenza dal lavoro dovuti all'asma per i gruppi di trattamento combinato. I ricercatori concludono che la mancata considerazione del trattamento della rinite come componente essenziale della gestione dell'asma potrebbe pregiudicare il controllo clinico dell'asma. Inoltre, i dati suggeriscono che in alcuni pazienti l'asma e la rinite possano essere tenuti sotto controllo esclusivamente tramite l'uso di farmaci nasali. In genere rinite e asma vengono trattati da specialisti diversi, ha dichiarato Stelmach. Quest'abitudine sembra essere fondata su un concetto errato, dal momento che sono due facce della stessa malattia.
Lenzuola, coperte e asma nei bambini
Alcuni ricercatori australiani hanno pubblicato sull'American Journal of Public Health la notizia secondo cui l'uso di biancheria da letto priva di materiali sintetici sembra ridurre il rischio dello sviluppo della dispnea nei bambini. Questi dati, secondo l'autore principale della ricerca, L.F. Trevillian, sottolineano il ruolo importante dell'ambiente per la qualità del sonno del bambino e per evitare l'insorgere dell'asma. Indicano inoltre la necessità di un maggiore sforzo di sanità pubblica per garantire ambienti ottimali per il sonno dei bambini e capaci di contribuire alla prevenzione della patologia. Trevillian (Australian National University, Canberra) e colleghi sono giunti a questa conclusione dopo avere studiato i risultati relativi a 883 bambini che, neonati nel 1988, erano stati inclusi in un sondaggio e avevano quindi preso parte a uno studio sull'asma nel 1995. Appoggiandosi al lavoro già svolto, i ricercatori hanno sviluppato un modello teorico di esposizione agli acari della polvere delle abitazioni in base alla composizione della biancheria da letto. La biancheria meno ospitale per gli acari è quella composta da materiali naturali, che non contiene alcun materiale sintetico né, come è assai comune in Australia, pelle di pecora. La categoria successiva era la biancheria che conteneva un tipo di materiale sintetico, pelle di pecora o entrambi. Il materiale legato alla maggiore esposizione agli acari della polvere delle abitazioni è risultato essere quello con almeno due tipi di materiale sintetico, con o senza pelle di pecora. Circa il 64% dei bambini sono stati esposti a un unico materiale sintetico, il 27% a biancheria da letto in fibra naturale e il resto a biancheria sintetica composita. A 7 anni, i bambini esposti alla biancheria composita avevano evidenziato una probabilità doppia, rispetto ai bambini con biancheria naturale, di soffrire di problemi di dispnea o di dispnea notturna. È anche emersa una relazione tra l'aumentata esposizione a questo genere di biancheria e una dispnea più acuta. Trevillian ha concluso che questi dati confermano le raccomandazioni attualmente diffuse secondo cui è bene utilizzare biancheria da letto a basso tenore di allergeni per i neonati.
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TUMORE ALLO STOMACO

Con questo termine si identifica un gruppo di patologie neoplastiche che colpiscono lo stomaco; si tratta soprattutto di adenocarcinomi, mentre sono meno frequenti linfomi, leiomiomi e liomiosarcomi. È la quinta causa di morte per cancro nei paesi occidentali, benché la sua incidenza sia in calo; inoltre, incidenza e mortalità di queste patologie, che colpiscono maggiormente i soggetti oltre i quarant'anni, sono due volte maggiori negli uomini rispetto alle donne.
Attualmente non si è giunti a identificare con sicurezza le cause dei tumori dello stomaco. È stata però individuata una serie di fattori di rischio, sia legati ad altre patologie, sia ad abitudini di vita, sia all'ambiente, sia a caratteristiche individuali. Fra le patologie che sembrano favorire l'insorgenza del cancro dello stomaco vi sono la gastrite cronica, la gastrite cronica atrofica, l'anemia perniciosa, i polipi gastrici, l'ulcera peptica, una precedente gastroresezione (soprattutto per il reflusso duodenale di sali biliari). Per quanto riguarda le abitudini, vi sono fattori legati all'alimentazione (consumo di cibi ricchi di nitrati e nitriti, consumo di alcol) e l'abitudine al fumo (per i fumatori il rischio è pari a circa una volta e mezzo rispetto ai non fumatori). Fra i fattori ambientali, si è notata una maggiore incidenza di questa patologia fra i lavoratori di particolari settori (estrazione del carbone, raffinerie di nichel, industria del legno e dell'amianto). Per quanto riguarda le caratteristiche individuali, esiste un rischio maggiore per gli obesi e per chi ha il gruppo sanguigno A; inoltre pare che in alcuni gruppi familiari la patologia sia maggiormente presente, ma non sono finora stati individuate precise anomalie genetiche.
Non vi sono sintomi specifici e quelli presenti sono spesso sottovalutati, sia dal malato sia dal medico. Compaiono disturbi nella zona sotto lo sterno, senso di sazietà anche dopo avere mangiato poco, nausea nei confronti di particolari alimenti. Sintomi più specifici sono anoressia, perdita di peso, disturbi della digestione, vomito con presenza di sangue (ematemesi) ed emissione di feci scure e fetide (melena) per la presenza di sangue digerito proveniente da emorragie del tubo digerente, anemia, difficoltà a deglutire. Per arrivare alla diagnosi si ricorre a diversi tipi di esami: quello radiologico, la gastroscopia (il più importante; consente anche di effettuare una biopsia), la biopsia (permette la diagnosi definitiva per la lesione tumorale), gli esami di laboratorio (si possono controllare alcuni marcatori che sono utili ma non sufficienti alla diagnosi). Dopo avere verificato la presenza del tumore, si procede a definirne con precisione l'estensione nell'organismo.
La terapia chirurgica è l'approccio che dà il migliore esito. L'intervento consiste nell'asportazione della parte colpita. A seconda della gravità del tumore si procede a una gastrectomia totale (asportazione di tutto lo stomaco) o subtotale (viene asportata solo una parte dell'organo). Viene sempre praticata anche una linfoadenectomia, cioè l'asportazione dei linfonodi. L'intervento può presentare complicazioni; la principale è la cosiddetta dumping sindrome, con crampi, nausea, vomito, diarrea, causati dal passaggio del cibo direttamente nel piccolo intestino, senza la fase digestiva normalmente effettuata nello stomaco. In questo caso il paziente deve fare pasti frequenti e poco abbondanti. Può anche presentarsi una carenza di vitamina B12, ovviata mediante la somministrazione della proteina carente. Nei pazienti che non sono operabili, spesso si effettua un intervento di derivazione, collegando lo stomaco a una parte dell'intestino, il digiuno (digiunostomia), o all'esterno (gastrostomia). La chemioterapia viene adottata nelle fasi più avanzate della malattia (5-fluoracile, epirubicina, adriamicina, cisplatino), ma non ha finora dato risultati di efficacia certi. La sopravvivenza di chi si ammala di tumore allo stomaco è di circa il 20% dei casi a 5 anni dalla diagnosi; il tumore riprende più spesso a livello locale e peritoneale, ma anche in altre sedi (fegato, polmone, osso). È quindi necessario seguire attentamente il paziente negli anni successivi alla prima diagnosi.
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SARS - POLMONITE ATIPICA

La SARS (dall'inglese, severe acute respiratory syndrome, sindrome respiratoria severa acuta) è una polmonite interstiziale. A differenza di altre polmoniti che sono alveolari, la SARS colpisce il tessuto fra un alveolo e l'altro, ostacolando gli scambi gassosi con il sangue.
I sintomi - Come per tutte le patologie, non basta una vaga somiglianza con i sintomi della SARS per allarmarsi inutilmente. I sintomi sono abbastanza chiari:
febbre sopra i 38 °C
tosse secca e difficoltà a respirare
A questi possono associarsi mal di testa, malessere, inappetenza ecc. È importante però capire che non sono questi sintomi secondari che devono allertare (sono comuni a moltissime patologie, anche banali), ma i due sintomi principali.
Il contatto con malati o permanenza nelle zone dove la SARS è stata rilevata aumenta notevolmente il sospetto di aver contratto la patologia.
Il responsabile - La causa è stata identificata in un Coronavirus (il nome deriva dalla corona formata dalle proteine sulla superficie del virus, corona che serve per agganciarsi alle cellule aggredite); a questa famiglia appartengono anche i virus responsabili del comune raffreddore e di alcune forme di gastroenterite. Si tratta di un Rna virus (una sola catena virale di acido ribonucleico); questi virus possono evolvere e commettere errori di copiatura nella fase di duplicazione e possono anche cambiare il materiale genetico.
Il contagio - Il periodo di incubazione varia fra 1 e 11 giorni. Attualmente si pensa alla trasmissione per contatto (secrezioni respiratorie, contatto con la pelle o oggetti di un malato che poi arrivi alla bocca, al naso o agli occhi senza che ci si sia lavati le mani) o a quella aerea come quelle più probabili; meno accreditata, ma degna di nota, quella da animali (scarafaggi). Contrariamente alle ipotesi iniziali, il virus sembra possa resistere su superfici plastiche a temperatura ambiente oltre 24 ore. La mascherina di protezione è consigliata solo al personale medico (modello monouso N95), ma non è certo il grado di protezione che può offrire (per averlo massimo occorrerebbe usare maschere antigas o almeno quelle antiamianto, come consigliato dalle autorità australiane). Come disinfettante l'OMS ha segnalato l'efficacia della normale candeggina (ipoclorito di sodio).
La mortalità - Partita dalla Cina, si è estesa a Honk Kong e ad altri paesi dell'Estremo Oriente. Nell'epidemia del 2003 (terminata a fine giugno) sono stati colpiti oltre 35 gli Stati. La percentuale di mortalità è aumentata (per una migliore identificazione della malattia) dall'originario 3% fino ad assestarsi sul 10-13% (oltre 800 decessi) con un picco del 50% per i pazienti con oltre 60 anni. Non esiste ancora un test per la diagnosi e non esiste una cura specifica.
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ALZHEIMER COME PREVENIRLO

Le cause che scatenano il morbo di alzheimer non sono ancora tutt’ora chiare, solo una piccola percentuale 3-5% e di causa genetica, e di conseguenza, non esiste ancora una cura che riesca a combatterla in modo definitivo.
Comunque esistono diversi farmaci che, se presi tempestivamente, al primo segnale sono in grado di contrastarla, e rallentarne l’evoluzione riducendone anche i sintomi.
La ricercatrice Rita Levi Montalcini consiglia di dare continuamente stimoli nuovi al cervello con delle letture, dei giochi dove utilizzare la memoria, amicizie, ginnastica fisica e mentale ed impegni vari.
Sembra che questo comporterebbe una riduzione di rischio dell’insorgere della malattia.
I segnali di allarme spesso sono ; una perdita di memoria, difficoltà nell’occuparsi di alcuni impegni, problemi di linguaggio, disorientamento, capacità di espressione, sbalzi di umore.
La malattia spesso colpisce la donna, (da una ricerca risulta una percentuale del 20% in più degli uomini) si presume che la causa sia una carenza di estrogeni, che in fase di menopausa aumenti l’effetto delle lesioni cerebrali.
La terapia consiste nell’utilizzare degli inibitori della colinesterasi, farmaci che bloccano la distruzione dell’acetilcolina, un neurotrasmettitore importante per il funzionamento della memoria, del ragionamento e dell’attenzione.
Poi c’è la memantina, inibitore di un altro neurotrasmettitore, il glutammato, che se iperattivo causa una degenerazione dei neuroni.
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EMORROIDI

Le emorroidi sono presenti sotto forma di cuscinetti di vasi sanguigni in ogni individuo. Quando diventano sintomatiche con sanguinamento, dolore, bruciore e altri fastidi definiscono il quadro della malattia emorroidaria. In presenza di trombosi emorroidaria si ricorre a interventi in anestesia locale La tecnica operatoria è in continua evoluzione per evitare le sofferenze postoperatorie. Per esempio con l'impiego della radiofrequenza è possibile evitare l'uso del tampone interno, la formazione di aree necrotiche e l'apposizione di dolorosi punti di sutura. Le emorroidi esterne si sviluppano vicino all'ano e sono coperte da pelle molto sensibile. Se in una di loro si sviluppa un coagulo di sangue (marisca o ematoma), può manifestarsi un gonfiore doloroso. Al tatto le emorroidi esterne si presentano come un grumo duro, sensibile. Sanguinano solo se si rompono. Le emorroidi si curano ambulatorialmente senza anestesia con l'applicazione di un anellino elastico che blocca la circolazione sanguigna e che si stacca insieme al gavocciolo emorroidario dopo 7-10 giorni. I casi più gravi richiedono l'ablazione chirurgica dei tre gavoccioli emorroidari.
Le emorroidi interne si sviluppano nell'ano sopra la linea dentata. Emorragie indolori e prolasso durante l'evacuazione sono i sintomi più comuni. Comunque, un'emorroide interna può causare dolore severo se si prolassa o siano associate a ragadi (sporge dal orifizio anale e non può essere più spinto all'interno). Inizialmente le emorroidi si curano con l'alimentazione (aumento di acqua, di fibre ecc.) e con l'igiene anale
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ARTRITE

L'artrite è un'infiammazione a carico dei tessuti molli delle articolazioni del corpo umano dovuta a diverse cause (infezioni, un attacco di gotta, problemi nel sistema immunitario ecc.). Quando l'artrite è causata dall'azione di microrganismi, questi possono introdursi dall'esterno, attraverso ferite, oppure possono giungere all'articolazione colpita per via circolatoria sanguigna provenendo da un altro punto di infezione. Le artriti possono essere suddivise in artriti acute e artriti croniche. Le prime, assai diffuse, sono per lo più causate da batteri piogeni e provocano gonfiore e rigidità di movimento; le seconde includono forme aspecifiche degenerative che costituiscono il processo evolutivo dell'artrite acuta, e forme specifiche, più frequenti, quali quelle da brucellosi, tubercolosi, sifilide ecc. Il trattamento consiste nell'utilizzo di antimicrobici, antibiotici o sulfamidici per quanto riguarda le artriti acute e di antinfiammatori (soprattutto gli inibitori della Cox-2 che presentano meno effetti collaterali di quelli classici) e cortisonici per le artriti croniche. Ginnastica, integratori dietetici, fisioterapia, massaggi, dieta, cure termali e chinesiterapia sono utili supporti. Dubbio è invece il ruolo della chiropratica (da evitare in presenza di infiammazione, di danni ai legamenti e di osteoporosi) e delle medicine alternative che non hanno dato risultati scientificamente attendibili.
Artrite reumatoide - Infiammazione cronica a carico del tessuto connettivo, di causa ancora poco conosciuta, che può interessare anche il sistema nervoso, l'apparato respiratorio (pleurite), l'apparato cardiocircolatorio (pericardite e miocardite) e il sangue (anemia). Alla base c'è un errore del sistema immunitario che attacca i tessuti articolari, producendo infiammazioni che li danneggiano. L'infiammazione parte dalla membrana sinoviale che muta le sue forme fino a diventare il cosiddetto panno sinoviale che invade lo spazio circostante impedendo i movimenti e danneggiando la cartilagine, attaccata anche dagli enzimi prodotti durante l'infiammazione. La patologie inizialmente colpisce le mani, si manifesta con la tipica rigidità mattutina, con elezione simmetrica dell'articolazione (sono colpite entrambe le mani, le ginocchia ecc.). Le articolazioni si presentano tumefatte, arrossate, calde e dolenti. Con il tempo i sintomi peggiorano, arrivando anche a deformazioni e a un coinvolgimento diretto delle ossa (osteoporosi). Sono possibili anche tendiniti e comparsa di noduli sottocutanei. La diagnosi è confermata da esami coma VES, PCR e dalla ricerca del fattore reumatoide (un anticorpo presente nel 75% dei malati). In genere le donne sono più colpite degli uomini. La terapia si avvale di cortisonici (per bocca, per infiltrazione locale o per via sistemica, in genere per via endovenosa per pochi giorni) e di antinfiammatori (soprattutto gli inibitori della Cox-2). Per intervenire sui meccanismi della malattia si usano diversi farmaci, alcuni dei quali hanno purtroppo effetti collaterali. Fra i meno tossici sono da citare la sulfasalazina e gli antimalarici (clorochina e idrossiclorochina), utilizzati nelle forme lievi. I sali d'oro, la penicillamina e la ciclosporina possono dare problemi renali. Il farmaco forse più usato è il methotrexate, somministrato settimanalmente, a volte associato all'assunzione quotidiana di azatioprina. Un nuovo farmaco (leflunomide, nome commerciale Arava) disattiva i linfociti attivati contro le articolazioni e inibisce la produzione di sostanze che danneggiano la cartilagine e le articolazioni; le sue controindicazioni sono la gravidanza, le malattie epatiche e gli stati di immunodeficienza. I principali effetti collaterali di questi farmaci sono all'apparato digerente, al fegato e al sangue. Le ricerche stanno studiando farmaci che inibiscono il TNF (Tumor Necrosis Factor), implicato nel processo infiammatorio. Agli inizi del 2002 è stata chiesta l'autorizzazione agli enti europei (EMEA) e americani (FDA) per la registrazione del primo anticorpo monoclonale derivato dall'uomo. Il farmaco si chiama D2E7 e blocca l'attività del TNF alfa che gioca un ruolo fondamentale nei processi di distruzione delle articolazioni.
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LE VULVOVAGINITI

le infezioni vulvo - vaginali sono di frequente riscontro ginecologico e la paziente giunge all'osservazione dello specialista pe le manifestazioni cliniche, spesso fastidiose o sgradevoli,
che tali patologie comportano.
la candida albicans è tra i miceti patogeni che sono responsabili di molte vulvo - vaginiti caratterizzati da perdite vaginali biancastre, dense, presenza di prurito e rossore a livello vulvare e vaginale che può estendersi con le sue chiazze biancastre ad interessare la parte uterina.

la terapia consiste nella somministrazione di ECONAZOLO per uso topico sotto forma di ovuli vaginali e lavande, FLUCONAZOLO da somministrare per bocca anche al partner onde evitare un fastidioso pin pong di trasmissione della patologia.

il tricomonas vaginalis è un'altro agente patogeno di frequente riscontro nelle vaginiti ed è caratterizzata da perdite giallo verdastre maleodoranti, molto caratteristica e la terapia che anche in questo caso da attuare per via topica con un farmaco attivo contro i protozoi al quale il tricomonas vaginalis appartiene, si presentano sotto forma di candelette vaginali, anche in questo caso e opportuno stendere la terapia al partner sempre per via orale.

per evventuali informazioni e assitenza nel campo ginecologico e sessuologico
contattare il Dr. Esposito Maurizio al numero 347 / 665 26 65, oppure via E-Mail : coci40@msn.com
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STATINE E RISCHIO TUMORALE

Le statine sono attualmente i farmaci maggiormente consumati al mondo e vengono utilizzate per ridurre il livello del colesterolo e il rischio di attacco cardiaco, ma la loro supposta efficacia nella prevenzione dei tumori è stata ultimamente smentita. Alcuni studi preliminari avevano indicato una riduzione nella comparsa di tumori al seno, alla prostata e al colon fra i soggetti sottoposti a terapia con statine. Tuttavia, un'analisi effettuata su 26 studi (che hanno complessivamente coinvolto 87.000 pazienti) ha portato alla conclusione che questa classe di farmaci non ha alcun impatto positivo sull'insorgenza dei tumori. Secondo M. White (University of Connecticut), lo scopo dell'indagine era quello di confermare l'effetto antitumorale delle statine, ma l'esito è stato negativo. Un altro studio, condotto dall'American Cancer Society su dati relativi a oltre 130.000 pazienti, non ha individuato alcuna differenza nei livelli di rischio per il cancro al colon in rapporto alle terapie con statine. Secondo White, gli studi che hanno indicato l'efficacia antitumorale delle statine erano stati impostati in modo non adeguato. Al contrario, il suo team di ricerca ha analizzato i dati relativi a studi in cui si confrontava l'efficacia delle statine contro placebo per il trattamento delle patologie cardiache; in questi studi era anche tenuta in considerazione la comparsa di tumori, a causa delle preoccupazioni iniziali secondo cui questa classe di farmaci potesse favorirne l'insorgenza. Se è evidente che le statine non aumentano il livello di rischio per i tumori, è altrettanto chiaro che non svolgono alcuna funzione preventiva contro quel tipo di patologie. E. Jacobs (American Cancer Society) è giunto alle stesse conclusioni analizzando dati differenti, relativi a uno studio iniziato nel 1992 che ha coinvolto più di 130.000 soggetti. Secondo Jacobs, le ricerche sulla relazione fra statine e tumori continueranno, ma non ritiene che potranno dare esiti significativi.

Tumore al polmone

Quello del polmone è il tipo di tumore più frequente nei maschi, ed è la prima causa di morte per cancro. Attualmente questa patologia in Italia è in calo nella popolazione maschile e in aumento in quella femminile. I principali fattori di rischio sono il fumo di sigaretta, attivo e passivo (statisticamente, un fumatore ha 23 volte più probabilità di ammalarsi di un non fumatore), l'esposizione a prodotti industriali, all'inquinamento ambientale, alle radiazioni.
I tumori del polmone si distinguono in diversi gruppi: il carcinoma a cellule squamose (il più diffuso negli uomini e circa un terzo dei casi totali), che si sviluppa nelle cellule che rivestono le vie respiratorie; l'adenocarcinoma, più frequente nelle donne, che si sviluppa nelle cellule che secernono il muco e spesso è associato a infiammazioni croniche o fibrosi polmonari; il carcinoma a grandi cellule, che colpisce circa il 15% dei malati; il carcinoma a piccole cellule (microcitoma, circa un quarto dei casi), dalle caratteristiche diverse rispetto agli altri tipi. Si può dunque operare un'ulteriore distinzione dei tumori del polmone: tumori a piccole cellule e non a piccole cellule.
I sintomi più comuni sono la tosse, secca o con emissione di catarro, la fatica a respirare e il dolore toracico. Segni e sintomi variano comunque molto a seconda della sede colpita e del tipo di tumore. In caso di sviluppo interno ai bronchi, si hanno difficoltà respiratoria, tosse persistente, dolore al torace, broncopolmoniti e versamenti pleurici. Nel caso di coinvolgimento della pleura può comparire dolore toracico, più o meno intenso. Uno dei segni più caratteristici è la presenza di sangue nell'espettorato, a seguito dell'erosione dei vasi sanguigni da parte della neoplasia. Nelle forme tumorali con sviluppo extrabronchiale può non esserci comparsa di sintomi; quando il tumore invade la parete toracica può causare dolori costali e versamenti pleurici. La crescita del tumore nel mediastino (l'area del torace compresa fra polmoni e cuore) può originare un ampio gruppo di sintomi noti come “sindrome mediastinica”: singhiozzo e paralisi del diaframma (per il coinvolgimento del nervo frenico), disfonia o afonia (coinvolgimento del nervo laringeo ricorrente), disfagia (coinvolgimento dell'esofago), aritmia (coinvolgimento del pericardio). Nel caso di propagazione verso le catene nervose all'apice della spalla si può produrre la sindrome di Bernard-Horner (miosi, ptosi palpebrale, esoftalmo, per la lesione delle fibre nervose simpatiche). In caso di ostruzione vascolare intratoracica può generarsi la sindrome della vena cava. Inoltre, ci può anche essere il coinvolgimento del sistema linfatico polmonare. Il microcitoma può dare origine a una serie di sindromi paraneoplastiche, di tipo endocrino-dismetabolico, scheletrico, neurologico, vascolare, cutaneo ecc.
L'approccio terapeutico ai tumori del polmone dipende strettamente dallo stato della malattia e del paziente al momento della diagnosi; si basa su chirurgia, radioterapia e chemioterapia. Bisogna dire innanzitutto che le possibilità di sopravvivenza sono basse: a 5 anni dalla diagnosi, a prescindere dallo stadio di sviluppo del tumore, sopravvive infatti solo il 13% dei malati, mentre si passa al 33% nel caso di tumori localizzati. Nei casi meno gravi, si interviene con chemioterapia ad alto dosaggio (i farmaci utilizzati, in varie combinazioni, sono cisplatino, etoposide, ciclofosfamide, adriamicina, vincristina), a volte associata a radioterapia esterna toracica. Se la malattia è diffusa, la risposta alla terapia è minore. Nel caso di pazienti che non sono in grado di sopportare chemioterapia ad alte dosi, si effettuano trattamenti chemioterapici a basso dosaggio, oppure brevi cicli di radioterapia, ma solo a scopi palliativi. Nel caso dei tumori non a piccole cellule si può scegliere la via chirurgica, nel caso in cui il paziente sia in condizioni di sopportare l'intervento e il tumore sia asportabile, tenendo anche conto della riduzione del tessuto polmonare dovuta all'intervento. In ogni caso, il trattamento chemioterapico si è dimostrato efficace almeno nel controllo di una parte dei sintomi legati alla patologia, come il dolore, le difficoltà respiratorie, la tosse e l'astenia.

Tumore al seno

I tumori al seno sono di vario tipo e richiedono trattamenti diversi. Proprio a causa della varietà, l'evoluzione può essere lenta o rapida con metastasi. Una grossa suddivisione prevede tumori in situ (in cui la zona malata è circoscritta) e tumori invasivi (in cui esiste una proliferazione cellulare anche al di fuori della mammella; il più comune tumore al seno è proprio il carcinoma duttale invasivo che aggredisce i dotti lattei). La formazione di metastasi ad altri organi avviene attraverso i sistemi linfatico e sanguigno. La scoperta di un tumore al seno avviene attraverso la rilevazione di masse palpabili (molte delle quali sono fortunatamente benigne) o di cambiamenti del seno (ispessimenti, gonfiori, increspature, secrezione, problemi ai capezzoli ecc.); la diagnosi viene fatta normalmente avvalendosi di una mammografia, un esame che se fatto periodicamente (anche in assenza di sintomi) può ridurre la mortalità del tumore di un 30%, permettendo un intervento in una fase precoce della patologia.
n Europa il tumore al seno rappresenta il 22% dei tumori maligni femminili e colpisce maggiormente le donne fra i 55 e i 65 anni. In Italia ne sono colpite 30.000 donne ca. con una mortalità di un terzo ca. Sono stati identificati alcuni fattori di rischio: l'ereditarietà (circa il 10% dei casi; geni potenzialmente responsabili sono il BRCA1 e il BCRA2 che innalzano il rischio complessivo di circa dieci volte la norma), il numero dei figli e l'età del primo parto (il rischio è minore quanti più sono i figli e quanto prima si è partorito), una menopausa tardiva o un menarca precoce, l'obesità, il fumo e le radiazioni. Dai fattori di rischio è facile stilare un comportamento preventivo: autopalpazione mensile, visita al seno periodica dopo i 20, ma soprattutto dopo i 50 anni, mammografia ogni due anni dopo i 40 e ogni anno dopo i 50 anni, alimentazione corretta evitando l'alcol, attività fisica regolare. La cura più efficace resta la via chirurgica (demolitiva nei casi più gravi con l'asportazione di tutta la mammella o conservativa con l'asportazione delle zone interessate), la terapia radiante (per evitare recidive), la chemioterapia (per controllare metastasi o per far regredire il tumore prima dell'intervento chirurgico), il blocco degli estrogeni (per evitare l'alimentazione del tumore da parte degli ormoni sessuali).

Tumore alla cervice (utero)

I tumori alla cervice sono neoplasie che colpiscono l'utero; possono essere di natura benigna o maligna. La cervice può essere interessata dai papillomi (spesso durante la gravidanza) e dal cancro del collo, il tumore più diffuso a carico dell'apparato genitale femminile.
Le cellule sulla superficie della cervice a volte possono presentare cambiamenti di natura non cancerosa. Si ritiene che queste modifiche atipiche siano il primo passo verso la formazione di un cancro; ossia, sono situazioni di tipo precanceroso. Quando queste cellule si diffondono nella cervice allora si è in presenza di un tumore. Questo tipo di lesione precancerosa (displasia) viene facilmente individuata mediante l'esame pelvico e il Pap-test, che è uno strumento fondamentale di prevenzione. Il trattamento di queste lesioni dipende da molti fattori (estensione e gravità, condizioni della paziente, future gravidanze) e si basa sulla criochirurgia, sulla cauterizzazione (diatermia), sulla chirurgia laser, sulla conizzazione. Nel caso in cui le cellule atipiche vengano individuate anche nell'apertura della cervice e se la paziente non intende più avere figli, si può procedere a isterectomia (asportazione dell'utero).
Se non si interviene preventivamente, si può sviluppare un carcinoma cervicale; il sintomo più comune è la perdita ematica anomala, presente anche al di fuori del ciclo mestruale oppure dopo un rapporto sessuale o una lavanda vaginale; inoltre il flusso mestruale può risultare più abbondante e prolungato. Per la diagnosi si ricorre alla colposcopia, con asportazione di una porzione di tessuto (biopsia), o alla conizzazione (si rimuove un campione di tessuto più esteso, di forma conica). In seguito si procede a esami ulteriori per valutare posizione e dimensioni del tumore (cistoscopia, proctosigmoidoscopia, Tac, Rmn).
Il carcinoma cervicale viene trattato con chirurgia, radioterapia, chemioterapia e terapia biologica. La chirurgia agisce localmente con l'obbiettivo di rimuovere le parti di tessuto colpite. Si può procedere come per le lesioni precancerose, nei casi meno gravi, oppure si asporta il tumore risparmiando utero e ovaie, ma in alcuni casi si deve ricorrere all'asportazione dell'intero utero, delle tube di Falloppio e dei linfonodi. Il trattamento radioterapico viene applicato localmente e può essere esterno (i raggi sono erogati da una macchina) o interno (una capsula con il materiale radioattivo viene collocata nella cervice); in alcuni casi si effettuano entrambi i tipi di trattamento. I cicli di chemioterapia sono utilizzati nel caso in cui il tumore si sia diffuso ad altri organi; si ricorre a uno o più farmaci in combinazione. Nella terapia biologica, spesso effettuata in associazione alla chemioterapia, si utilizzano farmaci (come l'interferone) che hanno lo scopo di stimolare il sistema immunitario a combattere la malattia.

Tumore alla prostata

La prostata è una ghiandola acinosa dell'apparato urogenitale maschile. Di forma triangolare con la base rivolta in alto, è divisa in due lobi mediante un solco mediano. Produce un secreto liquido, dovuto alle ghiandole del suo parenchima, che si mescola allo sperma.
L'adenocarcinoma della prostata è uno dei tumori più frequenti nei soggetti maschi di età superiore ai 60 anni (su cento maschi entro i 74 anni, dieci hanno o avranno un tumore alla prostata). La neoplasia si sviluppa lentamente, diffondendosi facilmente alle ossa e al midollo osseo; l'evoluzione è così lenta che molti malati muoiono per cause differenti dal tumore. Se tempestivamente diagnosticato (tumore localizzato), è possibile procedere alla prostatectomia (asportazione chirurgica della prostata) e successiva radioterapia e brachiterapia. Tra le possibili conseguenze dell'intervento chirurgico ci sono l'incontinenza urinaria e l'impotenza. Nelle forme già metastatizzate, l'intervento terapeutico può solo ritardare l'esito letale della malattia. La prevenzione è dunque fondamentale e può avvenire con visite urologiche periodiche, soprattutto per chi ha già avuto familiari con la stessa patologia. La semplice misurazione del PSA (antigene prostatico specifico) consente di valutare l'ingrossamento della prostata (che non necessariamente è sinonimo di tumore). Il PSA si verifica in genere dopo i 40 anni. I valori normalmente variano fra 0 e 4,0 ng/ml.

Tumore allo stomaco

Con questo termine si identifica un gruppo di patologie neoplastiche che colpiscono lo stomaco; si tratta soprattutto di adenocarcinomi, mentre sono meno frequenti linfomi, leiomiomi e liomiosarcomi. È la quinta causa di morte per cancro nei paesi occidentali, benché la sua incidenza sia in calo; inoltre, incidenza e mortalità di queste patologie, che colpiscono maggiormente i soggetti oltre i quarant'anni, sono due volte maggiori negli uomini rispetto alle donne.
Attualmente non si è giunti a identificare con sicurezza le cause dei tumori dello stomaco. È stata però individuata una serie di fattori di rischio, sia legati ad altre patologie, sia ad abitudini di vita, sia all'ambiente, sia a caratteristiche individuali. Fra le patologie che sembrano favorire l'insorgenza del cancro dello stomaco vi sono la gastrite cronica, la gastrite cronica atrofica, l'anemia perniciosa, i polipi gastrici, l'ulcera peptica, una precedente gastroresezione (soprattutto per il reflusso duodenale di sali biliari). Per quanto riguarda le abitudini, vi sono fattori legati all'alimentazione (consumo di cibi ricchi di nitrati e nitriti, consumo di alcol) e l'abitudine al fumo (per i fumatori il rischio è pari a circa una volta e mezzo rispetto ai non fumatori). Fra i fattori ambientali, si è notata una maggiore incidenza di questa patologia fra i lavoratori di particolari settori (estrazione del carbone, raffinerie di nichel, industria del legno e dell'amianto). Per quanto riguarda le caratteristiche individuali, esiste un rischio maggiore per gli obesi e per chi ha il gruppo sanguigno A; inoltre pare che in alcuni gruppi familiari la patologia sia maggiormente presente, ma non sono finora stati individuate precise anomalie genetiche.
Non vi sono sintomi specifici e quelli presenti sono spesso sottovalutati, sia dal malato sia dal medico. Compaiono disturbi nella zona sotto lo sterno, senso di sazietà anche dopo avere mangiato poco, nausea nei confronti di particolari alimenti. Sintomi più specifici sono anoressia, perdita di peso, disturbi della digestione, vomito con presenza di sangue (ematemesi) ed emissione di feci scure e fetide (melena) per la presenza di sangue digerito proveniente da emorragie del tubo digerente, anemia, difficoltà a deglutire. Per arrivare alla diagnosi si ricorre a diversi tipi di esami: quello radiologico, la gastroscopia (il più importante; consente anche di effettuare una biopsia), la biopsia (permette la diagnosi definitiva per la lesione tumorale), gli esami di laboratorio (si possono controllare alcuni marcatori che sono utili ma non sufficienti alla diagnosi). Dopo avere verificato la presenza del tumore, si procede a definirne con precisione l'estensione nell'organismo.
La terapia chirurgica è l'approccio che dà il migliore esito. L'intervento consiste nell'asportazione della parte colpita. A seconda della gravità del tumore si procede a una gastrectomia totale (asportazione di tutto lo stomaco) o subtotale (viene asportata solo una parte dell'organo). Viene sempre praticata anche una linfoadenectomia, cioè l'asportazione dei linfonodi. L'intervento può presentare complicazioni; la principale è la cosiddetta dumping sindrome, con crampi, nausea, vomito, diarrea, causati dal passaggio del cibo direttamente nel piccolo intestino, senza la fase digestiva normalmente effettuata nello stomaco. In questo caso il paziente deve fare pasti frequenti e poco abbondanti. Può anche presentarsi una carenza di vitamina B12, ovviata mediante la somministrazione della proteina carente. Nei pazienti che non sono operabili, spesso si effettua un intervento di derivazione, collegando lo stomaco a una parte dell'intestino, il digiuno (digiunostomia), o all'esterno (gastrostomia). La chemioterapia viene adottata nelle fasi più avanzate della malattia (5-fluoracile, epirubicina, adriamicina, cisplatino), ma non ha finora dato risultati di efficacia certi. La sopravvivenza di chi si ammala di tumore allo stomaco è di circa il 20% dei casi a 5 anni dalla diagnosi; il tumore riprende più spesso a livello locale e peritoneale, ma anche in altre sedi (fegato, polmone, osso). È quindi necessario seguire attentamente il paziente negli anni successivi alla prima diagnosi.

Tumori e terapie del freddo

I tumori che si sono diffusi nei tessuti ossei o in quelli molli possono provocare sofferenze acute ed essere molto difficili da trattare; un team di medici americani recentemente è riuscito a ridurre il dolore dei pazienti congelando le masse tumorali. In quattro casi di cancro in fase avanzata in cui altre terapie non avevano dato esito, la cosiddetta crioablazione ha portato a una significativa riduzione del dolore e, di conseguenza, a una ridotta necessità di assumere narcotici. Normalmente in pazienti di questo genere è necessario aumentare continuamente le dosi di farmaci, fatto che limita notevolmente le possibilità di movimento dei malati. Secondo D. Dupuy (Brown University, Usa) il ricorso ai narcotici è diminuito dopo il trattamento; il medico afferma che ridurre la quantità di narcotici migliora la qualità della vita del paziente, che non è costretto a passare la maggior parte del tempo in uno stato di sonnolenza continua. La crioablazione viene effettuata inserendo una sonda speciale nella zona da trattare; la sonda è in grado di raggiungere il tumore e congelarlo. Il primo dei pazienti trattati ha riscontrato un miglioramento immediato della sua condizione, con una cessazione del dolore che perdurava ancora dodici mesi dopo l'intervento. Secondo Dupuy, è necessario che il trattamento di questi pazienti preveda la possibilità di ricorrere alla crioablazione in una fase più precoce della terapia; attualmente, afferma il medico, questo genere di intervento viene preso in considerazione solo quando i trattamenti farmacologici si sono rivelati inefficaci. Il gruppo di ricerca guidato da Dupuy sta conducendo un'ulteriore studio sull'utilizzo della crioablazione, nella speranza che questa tecnica possa avere in futuro anche finalità più ampie, non limitate alla terapia del dolore.

Herceptin e trattamento postoperatorio del tumore al seno

Trastuzumab (Herceptin), un nuovo farmaco di Genentech Inc. per la cura dei tumori al seno in fase precoce, è in grado di migliorare le speranze di sopravvivenza delle pazienti dopo il trattamento chirurgico. L'efficacia del farmaco è emersa dopo uno studio recentemente condotto dal National Cancer Institute. Nelle pazienti trattate con Herceptin e chemioterapia tradizionale si è riscontrata una diminuzione del 52% nella frequenza di ricomparsa della patologia, rispetto a quelle trattate solo con chemioterapia. Secondo A. von Eschenbach (National Cancer Institute), si tratta di un notevole successo nel trattamento di questo tipo di tumori e costituisce l'ennesima conferma dei successi ottenuti dalla ricerca medica nella messa a punto di terapie per contrastare la sofferenza e la morte causate dalle patologie tumorali. L'analisi dei risultati ha mostrato un miglioramento generale nella sopravvivenza delle pazienti sottoposte al trattamento con il nuovo farmaco, utilizzato in particolare per i tumori alla mammella HER-2 positivi, ossia che generano la proteina HER-2; si tratta di tumori che si espandono velocemente e tendono a ricomparire con maggior frequenza rispetto ad altri. Secondo S. Desmond-Hellmann (Genentech) i risultati confermano la necessità di ricorrere a questo tipo di terapia nella fase iniziali del trattamento antitumorale. Desmond-Hellmann ritiene che sia necessario approfondire gli studi su questo farmaco; attualmente si valuta che le donne che potrebbero essere sottoposte a terapia con Trastuzumab negli USA siano circa 34.000.

Identificati nuovi geni legati ai tumori

Un gruppo di ricercatori dell'università inglese di Cambridge ritiene di avere individuato quattro nuovi geni che potrebbero essere correlati allo sviluppo del tumore al seno; esaminando in laboratorio i tessuti prelevati da 53 pazienti, gli scienziati hanno focalizzato lo studio sull'obbiettivo di individuare i geni che potrebbero costituire una base per il trattamento di questa patologia. Secondo C. Caldas, il capoprogetto, utilizzando tecniche all'avanguardia per la ricerca sul Dna i ricercatori sono riusciti a individuare quattro nuovi geni coinvolti nello sviluppo dei tumori. Caldas ritiene che questa scoperta non sia solo un progresso verso la comprensione dei meccanismi della patologia, ma che segni un passo importante anche da un punto di vista metodologico. Il tumore al seno è uno dei cancri più diffusi, con più di un milione di nuovi casi all'anno, secondo le statistiche dell'Agenzia internazionale per la ricerca sul cancro. In molti casi questa patologia è causata da danni alla struttura genetica che colpiscono le donne nel corso della loro vita; i tumori ereditari al seno e alle ovaie sono legati alle mutazioni dei geni BRCA1 e BRCA2. Il gruppo di ricerca condotto da Caldas ha utilizzato la tecnica dei Dna microarray, che consente agli scienziati di analizzare le caratteristiche di più geni contemporaneamente. Questa tecnologia dovrebbe permettere una velocizzazione delle ricerche e, di conseguenza, della messa a punto di nuove terapie. I primi risultati indicano che i tumori con copie multiple di geni sono i più aggressivi. Secondo Caldas questa ipotesi, se confermata, richiede lo sviluppo di terapie specifiche e mirate.

Mappatura dei geni tumorali

Dalla prima mappatura genetica realizzata su tumori al colon e al seno è emersa l'esistenza di circa duecento geni mutati (molti scoperti per la prima volta) che facilitano la nascita, la crescita e la diffusione dei tumori. I risultati di questa ricerca potrebbero condurre a nuove terapie, al miglioramento delle capacità diagnostiche e, in generale, a una migliore conoscenza di questo tipo di patologie. K. Kinzler (Johns Hopkins University, Baltimora), che ha partecipato alla conduzione della ricerca, ha posto l'accento sulla complessità genetica del cancro, che non era stata prevista prima della conclusione della mappatura. Kinzler afferma che la quantità di geni mutati è notevole, ed è il segno di gravi malfunzionamenti a livello cellulare. T. Sjoblom, il principale autore dello studio, ha dichiarato che i ricercatori si attendevano di individuare pochi geni che avessero subito mutazioni, certamente non duecento. I ricercatori hanno identificato 189 geni, mediamente undici per tumore, che erano chiaramente mutati nel cancro al colon e al seno. Fino a oggi non si era a conoscenza di mutazioni a carico di questi geni in presenza di tumori; si tratta di geni che influenzano una vasta gamma di funzionalità cellulari. Il gruppo di ricerca ha esaminato campioni di tessuti tumorali asportati dai pazienti colpiti da cancro al colon e cancro al seno. Sono stati scelti questi tipi di tumore per via della loro diffusione a livello globale: assieme costituiscono circa 2,2 milioni di diagnosi di cancro (il 20% del totale) e provocano circa 940. 000 morti ogni anno (il 14% delle morti causate da tumori). Questo studio potrebbe contribuire a un progetto del National Institute of Health che ha l'obbiettivo di realizzare una mappatura completa dei geni coinvolti nelle varie patologie tumorali. Secondo il direttore dell'istituto, F. Collins, con il completamento dell'atlante genetico dei tumori i medici saranno in grado di identificare la maggior parte dei cambiamenti genetici che provocano le forme più gravi e più diffuse di tumore.

Novità nel trattamento dei tumori al seno

Nel corso di una ricerca condotta dall'Istituto Europeo di Oncologia (Ieo) in collaborazione con l'istituto Nazionale dei Tumori di Milano e la Fondazione Maugeri di Pavia è stato sperimentato il Trastuzumab, un farmaco di nuova generazione per la cura del tumore al seno. Trastuzumab si è dimostrato in grado di ridurre in modo significativo la massa tumorale (oltre il 30% nel 50% delle pazienti) senza ricorrere ad altri farmaci. La nuova molecola è un anticorpo già allo studio da diversi anni (il nome commerciale è Herceptin). A. Costa (Fondazione Maugeri) afferma che il farmaco agisce in modo analogo agli anticorpi attivati spontaneamente dall'organismo per combattere altre patologie (come febbre o raffreddore); il problema è che il corpo non riconosce le cellule tumorali e dunque non le aggredisce (o non lo fa in modo efficace) mediante anticorpi. Si è perciò partiti dall'ipotesi di creare anticorpi artificiali in grado di combattere le cellule tumorali. Questo farmaco è utilizzato già da diverso tempo, ma i suoi meccanismi d'azione non erano chiari. R.Gennari (autore principale dello studio, chirurgo presso l'Ieo) ha dichiarato che il Trastuzumab è stato somministrato prima dell'intervento chirurgico, per evitare che altri trattamenti potessero confonderne l'effetto. Si è così capito che la molecola agisce legandosi a un recettore presente sulla superficie delle cellule tumorali (HER2/neu) circa nel 20% dei casi di tumore al seno. Il fatto di avere evidenziato il coinvolgimento del sistema immunitario nella risposta al farmaco, afferma S. Menard (Istituto Nazionale dei Tumori di Milano) permetterà di aumentarne l'efficacia stimolando proprio la risposta immunitaria delle pazienti; sono infatti disponibili, sempre secondo Menard, molti farmaci in grado di incrementare l'attività antitumorale dell'organismo in associazione a Trastuzumab, fino all'obbiettivo finale, che è quello di aggredire la patologia nel 100% delle pazienti sottoposte a terapia.

Novità nel trattamento dei tumori della bocca

Un gruppo di ricercatori giapponesi ha sperimentato con successo un farmaco già utilizzato nel trattamento del tumore del polmone anche per i tumori della bocca. Il farmaco (Iressa), somministrabile per via orale, funziona come inibitore di un fattore di crescita dell'epidermide (EGFR, epidermal growth factor receptor) coinvolto in molti tipi di tumore, dove stimola la proliferazione cellulare. Le sperimentazioni hanno mostrato che il suo utilizzo triplica l'efficacia della radioterapia, bloccando la capacità delle cellule tumorali di riparare i danni al Dna causati dalle radiazioni. Secondo i ricercatori, questa nuova strategia terapeutica potrebbe consentire una risoluzione della patologia neoplastica senza la necessità di ricorrere a interventi chirurgici. Nel corso dello studio si è evidenziato che da sole la radioterapia e la somministrazione del farmaco rallentano la proliferazione delle cellule tumorali, mentre una loro applicazione combinata aumenta l'efficacia complessiva del trattamento. Applicato dopo l'irradiazione, il farmaco ha un forte effetto inibitorio nei confronti dei meccanismi utilizzati dalle cellule tumorali per riparare i danni al Dna. Inoltre, in esperimenti condotti su cavie, si è registrata una netta diminuzione nella proliferazione cellulare.

Prevenzione dei tumori al colon

La colonscopia è il metodo migliore in assoluto per lo screening del tumore al colon; inoltre consente la rimozione di tessuti precancerosi o di polipi durante l'ispezione del colon. Secondo gli esperti, se questo esame fosse universalmente diffuso, si potrebbe prevenire il 90% dei tumori al colon. K. Turgeon (University of Michigan) ritiene che il tumore al colon è una patologia che dovremmo essere in grado di debellare completamente. Nonostante questo, la sua diffusione è pressoché costante ogni anno; spesso i pazienti arrivano troppo tardi a sottoporsi a questo test. Turgeon e i suoi colleghi hanno dato alcune indicazioni importanti per verificare il proprio livello di rischio. Innanzitutto la presenza in famiglia di una persona che ha avuto problemi di polipi o tumori al colon è un fattore di rischio significativo per lo sviluppo di patologie analoghe. Inoltre l'età gioca inoltre un ruolo importante; il gruppo di ricercatori guidato da Turgeon ha messo in evidenza il fatto che nel 91% dei casi questo tumore viene diagnosticato a persone che hanno superato i cinquant'anni, per cui chi appartiene a questa fascia d'età dovrebbe eseguire con regolarità il test. Vi sono anche altri test diagnostici, ma la colonscopia rimane lo strumento d'elezione per individuare questa patologia. Turgeon e i suoi colleghi stanno studiando altri tipi di test incentrati sul controllo del DNA e di alcune proteine, che forse un giorno potranno sostituire la colonscopia come metodo di screening. Tuttavia, al momento attuale, la colonscopia resta la soluzione migliore.

Terapie ormonali e rischio di tumore

Le donne che si sono sottoposte per oltre vent'anni a una terapia a base di soli estrogeni per il trattamento dei sintomi della menopausa hanno un rischio maggiore di contrarre un tumore al seno. Il rischio non è comunque significativo prima di due decenni di terapia. L'autore della ricerca, W. Chen (Brigham and Women's Hospital) ritiene che, secondo i risultati, dopo una certo periodo è opportuno adottare alternative terapeutiche all'assunzione di ormoni. Nel 2002 sono emersi risultati allarmanti circa gli effetti della terapia ormonale; in seguito vi sono state altre ricerche con esiti contradditori, a seconda dell'età della paziente, del tempo in cui sopraggiunge la menopausa e altri fattori. In generale, attualmente, la terapia ormonale viene prescritta alle dosi più basse possibili e per il periodo più breve possibile. Nella ricerca pubblicata sugli Archives of Internal Medicine, Chen ha esaminato i dati raccolti nel Nurses' Health Study, uno studio che ha inizialmente tenuto sotto osservazione 11.500 infermiere sottoposte a isterectomia; nella sua ultima fase lo studio ha riguardato 29.000 infermiere. Un'altra terapia in uso è quella a base di estrogeni e progestina, che ha lo scopo di prevenire il cancro all'utero. Questa terapia combinata aumenta il rischio di tumore al seno anche se viene seguita per periodi più brevi rispetto a quella a base di soli estrogeni. Secondo quest'ultima ricerca, il rischio di tumore al seno dopo meno di dieci anni di terapia a base di soli estrogeni è leggermente inferiore a 1,00, ossia non si discosta dalla norma in modo significativo. Dopo dieci o quindici anni di terapia, il rischio aumenta di poco (1,06), mentre sale a 1,42 dopo vent'anni di terapia. Come è emerso in ricerche precedenti, il rischio aumenta per quei tumori che coinvolgono i recettori per estrogeni e progestina.

Un nuovo marker per individuare il tumore alla prostata

Il numero di marzo del Journal of Urology riporta la possibilità di anticipare anche di cinque anni la diagnosi del tumore alla prostata mediante l'individuazione della proteina EPCA, un marker che indica le prime modifiche cellulari che intervengono nel corso dello sviluppo tumorale. Secondo gli autori dello studio, la ricerca della presenza della proteina può servire come supporto diagnostico nei pazienti in cui si rileva un livello elevato di PSA (antigene specifico della prostata). La rilevazione dei livelli di PSA viene abitualmente utilizzata per l'individuazione di tumori o altre patologie a carico della prostata. Secondo R. Getzenberg, della scuola di medicina dell'università di Pittsburgh, uno degli autori della ricerca, uno dei problemi legati al livello di PSA è la sua instabilità, che rende necessario effettuare biopsie multiple nel corso del tempo per pervenire a una diagnosi certa. Getzenberg ritiene che la presenza di EPCA, associata a livelli elevati di PSA, consenta di arrivare a una diagnosi precoce, risparmiando ai pazienti il fastidio di sottoporsi continuamente a esami e, soprattutto, permettendo di cominciare il trattamento in anticipo rispetto alle procedure attuali. Nel corso dello studio sono stati confrontati 29 campioni di tessuto prelevati da uomini con tumore alla prostata e 27 campioni da individui sani. EPCA era presente anche nelle biopsie negative di individui sani che in seguito hanno sviluppato il tumore, mentre non era presente nei campioni degli individui in cui la patologia non è comparsa. Dunque la proteina non è presente solo quando il tumore è già in atto; questo indica la possibilità di utilizzarla come marcatore per una diagnosi anticipata. Attualmente è in corso un'ulteriore ricerca per mettere a punto le metodologie che consentiranno di utilizzare EPCA come marcatore per la diagnosi di questa patologia.
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VIAGGIARE PER VOI E' UN PROBLEMA?

Questo sintomo si chiama cinetosi, ne soffrono più le donne e i bambini, quello che stimola la citosi è l’effetto del movimento rapido, che stimola il nostro sensore vestibolare situato nell’orecchio. I sintomi più comuni sono vertigini, vomito e nausea.
Come evitare questi sintomi?
Prima di partire mangiare leggeri , mangiare ogni tanto un cracker oppure un grissino evitare di bere oppure se proprio dovete non bere bevande gassate poiché queste ultime creerebbero aria nello stomaco.
Evitare di leggere durante il viaggio, tenere il finestrino aperto.
Non dovesse funzionare utilizzare dei farmaci idonei per questo scopo, oppure prodotti naturali come l’oligoelementi e gli organoelementi si sono dimostrati molto efficaci.
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ARTERIOPATIE

Le affezioni delle arterie sono attualmente raggruppate come arteriopatie obliteranti, il cui 90% dei casi può essere ricondotto all'arteriosclerosi. Quando la patologia è a uno stadio avanzato, la riduzione del flusso arterioso a valle della lesione causa in genere un dolore piuttosto vivo. Oltre a esami sul paziente e a test funzionali (prova di Ratschow o del pugno della mano, test di Allen), l'indagine diagnostica viene svolta con l'oscillografia meccanica, quella elettronica, l'ultrasonografia Doppler, l'ecotomografia e l'angiologia digitale. I sintomi iniziali dell'arteriopatia sono spesso trascurabili (parestesie, torpore, sensibilità al freddo, stanchezza e affaticabilità degli arti) e solo il dolore di una fase più avanzata porta il paziente dal medico: quando si compie un determinato sforzo (come camminare a lungo o per brevi tratti ma in salita) compare un dolore crampiforme a valle della zona patologicamente interessata. Poiché normalmente di tratta dell'arteria femorale o della poplitea, il distretto dolente è quello del polpaccio. Se il paziente cessa lo sforzo, il dolore si risolve (da qui il nome di claudicatio intermittens o di dyspraxia intermittens agli arti superiori). Le arteriopatie vengono curate con terapie fisiche (allenamento alla marcia), farmacologiche (antiaggreganti piastrinici, anticoagulanti indiretti o diretti con eparina, miglioramento della reologia ematica, vasodilatatori) e chirurgiche. I fattori di rischio delle arteriopatie sono il fumo (da 6 sigarette al giorno), l'ipercolesterolemia (oltre 260 mg/dl), l'ipertensione arteriosa (oltre 160/95), il diabete mellito manifesto, l'obesità e l'iperuricemia.
Per chi non crede che una vita sana faccia vivere più a lungo, si consideri che solo lo 0,6% dei casi di arteriopatia riguarda soggetti immuni dai sopraccitati fattori di rischio.
La prova di Ratschow è indicata per tutti coloro che hanno problemi ai polpacci, non identificano una causa chiara e sono compatibili con il quadro di un'arteriopatia, seppur lieve.
Il test si effettua sdraiandosi su una panca, sollevando le gambe a squadra con le ginocchia leggermente piegate. Si flettono ed estendono le punte dei piedi al ritmo di una flessione al secondo (si muovono cioè i piedi come se si schiacciasse e si rilasciasse l'acceleratore di una macchina) per due minuti. Durante l'esercizio la pianta dei piedi potrebbe sbiancarsi. Se si sbiancano prima di 60 secondi esiste un ostacolo all'irrorazione, tanto più grave quanto più veloce è lo sbiancamento.
Terminato l'esercizio, ci si siede poi sulla panca con le gambe penzoloni. L'esaminatore valuta la differenza fra i due piedi: non devono esistere differenze significative. Inoltre valuta in quanto tempo si riempiono le vene del dorso del piede: in stato di normalità il riempimento avviene entro i 15 secondi.
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LIPEDEMA

Molte donne lamentano un senso di gonfiore e di pesantezza alle gambe che generalmente aumenta nel corso della giornata per raggiungere il massimo verso sera. La gran parte dei casi può ascrivere i sintomi al lipedema, una sindrome le cui cause non sono ancora del tutto chiare, ma in cui sicuramente gioca un ruolo essenziale una dieta errata e una vita sedentaria, eventualmente aggravata da lavori che obbligano a posizioni erette per lunghe ore. È utile descrivere velocemente le caratteristiche del lipedema per differenziarlo da altre patologie che comunque sono talmente gravi (come l'edema cardiaco o il mixedema) che non riguardano certo la quotidianità. L'unica patologia che può essere confusa con il lipedema è il linfedema, in presenza del quale il liquido interstiziale presenta un alto contenuto in proteine, portando alla formazione di fibroblasti (fibromatosi). Il linfedema generalmente si presenta nella pubertà o subito dopo con preferenza per il sesso femminile; esiste anche una rara forma congenita (di Nonne-Milroy); il linfedema secondario (dopo il trentacinquesimo anno d'età) in genere è attribuibile a cause più o meno nascoste (filariosi, neoplasie) o a traumi.
Tornando al lipedema, in genere è sin da subito bilaterale e simmetrico (a differenza del linfedema che è originariamente unilaterale), colpisce le natiche, le cosce e le gambe, ma risparmia il piede (che invece è interessato dal linfedema) e spesso si accompagna a cellulite (mentre è tipica del linfedema la comparsa dell'erisipela, un'infezione del tessuto sottocutaneo, contagiosa, provocata dagli streptococchi, che si manifesta con rossore, gonfiore, dolore e febbre e, più raramente, con pericolose complicazioni renali e cardiache).
La cura del lipedema non è facile perché normalmente si interviene in uno stadio abbastanza avanzato. Fondamentali sono una corretta alimentazione, l'astensione dal fumo e un esercizio fisico compatibile con la patologia (bicicletta o nuoto; solo in fase di miglioramento si può passare alla marcia o addirittura alla corsa: la corsa in questo caso non è un mezzo per guarire, ma un test di avvenuta guarigione). Indicati anche i massaggi drenanti, ma solo se eseguiti da mani esperte.
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MORBO DI BASEDOW

Il morbo di Basedow (anche detto morbo di Graves o gozzo tossico diffuso) è una forma di ipertiroidismo; la tiroide produce cioè una quantità di ormoni eccessiva. L'ingrandimento della ghiandola è accompagnato dunque dai sintomi tipici di un'eccessiva funzione ormonale: aumento del ritmo cardiaco, palpitazioni, aumento della pressione arteriosa, ansia, eccitazione nervosa. La forma più acuta è definita crisi tireotossica. Si presentano inoltre disturbi agli occhi (protrusione e irritazione della congiuntiva). Questa patologia è probabilmente la malattia endocrinologica più diffusa dopo il diabete mellito e colpisce soprattutto le donne in età compresa fra i 20 e i 40 anni. Le cause sono diverse: vi è una componente autoimmune, per cui nel soggetto avviene una reazione anticorpale che colpisce ormoni e tessuti tiroidei. La terapia è in prima istanza farmacologica, con l'utilizzo di farmaci in grado di inibire l'attività della tiroide. Se la terapia medica fallisce si deve ricorrere alla soluzione chirurgica.
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MENINGITE

La meningite è un'infezione delle leptomeningi (aracnoide e pia madre, che avvolgono l'encefalo e il midollo spinale). Queste membrane (dette meningi), assieme al liquido cefalo-rachidiano (liquor), hanno lo scopo di proteggere il sistema nervoso dai traumi. Le forme più diffuse sono quella purulenta di origine batterica, quella asettica, prevalentemente virale, quella tubercolare.
Può essere provocata dall'azione di batteri, virus, miceti, parassiti o protozoi, ma può anche originare da altre infezioni (otiti, sinusiti, mastoiditi) o da lesioni del cranio (traumatiche o a seguito di interventi microchirurgici). I microrganismi possono raggiungere le meningi in seguito a fratture, punture lombari, ma anche per via ematica o linfatica, o a seguito di focolai di encefalite o mielite. Gli agenti infettivi sono moltissimi: batteri (Neisseria meningitidis, Haemophilus influenzae, Streptococcus pneumoniae, Mycobacterium tuberculosis), virus (diversi enterovirus), spirochete (Treponema pallidum), protozoi (Toxoplasma gondii), miceti (Candida, Criptococcus). La forma virale di solito è meno grave e si risolve senza trattamenti specifici, mentre quella batterica può causare danni cerebrali e anche la morte.
I sintomi sono cefalea intensa, localizzata soprattutto alla nuca, vomito a getto (senza rapporti con l'alimentazione), febbre alta, brividi, fotofobia, rigidità della nuca. Possono anche essere presenti segni vegetativi (come l'alternanza di atti respiratori profondi e periodi di pausa) e disturbi psichici (agitazione e torpore, stato confusionale), paralisi di nervi cranici, disturbi vasomotori. I neonati malati di meningite possono avere crisi epilettiche e irrequietezza e presentare vomito o inappetenza.
Per la diagnosi si utilizza la puntura lombare (rachicentesi); il liquor prelevato, in presenza di malattia, risulta infatti alterato, in modo differente a seconda della tipologia di meningite in corso. La terapia si basa sulla somministrazione di antibiotici, scelti a seconda del genere di agente infettivo e delle caratteristiche del paziente, e va condotta in condizioni di isolamento. Oltre agli antibiotici si possono utilizzare cortisonici. La tempestività nell'inizio della terapia è un fattore di fondamentale importanza.
TOXOPLASMOSI

La toxoplasmosi è un'infestione, ovvero una malattia trasmessa da un microscopico parassita, il protozoo Toxoplasma Gondii. Esso alberga nell'intestino di molti animali (circa 200 specie), tra i quali molti domestici, come i gatti, i bovini, gli ovini, gli equini; nei tessuti degli animali infetti si generano le oocisti, altamente infettive. Il contagio con l'uomo può avvenire per ingestione di carne contaminata e poco cotta, in cui sopravvivono le oocisti, o per contatto con feci dei gatti (gli unici a espellere le oocisti nelle feci) o terreno infetto. Nell'uomo il protozoo si riproduce al di fuori dell'intestino, ma il corpo umano è in grado di produrre gli anticorpi.
La malattia nell'uomo è generalmente asintomatica e non produce danni, mentre nelle donne in gravidanza è altamente pericolosa, in quanto, se contratta durante la gravidanza, può essere trasmessa al feto e provocare gravi malformazioni agli occhi e al cervello del nascituro (idrocefalo, calcificazioni endocraniche e corioretinite). Per questo motivo uno dei test di routine della gravidanza (Toxo Test) mira a rilevare la presenza degli anticorpi nel sangue della gestante. Se sono presenti gli anticorpi significa che la madre ha gia contratto in passato la malattia e il rischio per il nascituro è nullo.
La prevenzione - Nel caso di assenza di anticorpi, la madre si trova completamente indifesa nei confronti dell'infezione e deve pertanto attuare le strategie di prevenzione per evitare il contagio:
1) mangiare carne ben cotta (almeno a 70ºC);
2) lavare molto bene frutta e verdura ed evitare nei ristoranti verdura cruda;
2) nel caso di insaccati, evitare quelli artigianali (quelli industriali sono molto controllati);
3) indossare guanti se si viene a contatto con le feci dei gatti (o il terreno circostante);
4) maneggiare la carne cruda e le verdure, fiori e piante con i guanti
4) impedire che i gatti di casa si alimentino andando a caccia e alimentarli sempre con carne cotta.
Nel caso di test negativo, esso deve essere ripetuto ogni mese della gravidanza per identificare con assoluta tempestività il possibile contagio e ridurre al minimo i danno per il feto.
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MICOSI CUTANEE

Le micosi cutanee sono infezioni provocate da funghi microscopici (miceti), specializzati nell'attaccare le cheratine, proteine dure presenti nello stato corneo della pelle, ossia quello più superficiale, nei capelli e nelle unghie. Si tratta di infezioni diverse fra loro, a seconda dell'agente che le provoca. Si manifestano con caratteristiche diverse: macchie rosse, pelle macerata o squamosa, caduta di capelli da piccole porzioni di cuoio capelluto, unghie che cambiano colore e consistenza. I funghi che le provocano possono essere trasmessi da uomini e animali, altri si trovano sul terreno, altri ancora risiedono normalmente nell'organismo.
Le micosi più diffuse colpiscono le pieghe cutanee. Una delle più frequenti è il piede d'atleta (Tinea pedis), che si sviluppa fra le dita dei piedi. È provocato da un fungo del genere Trichophyton, che predilige lo spazio interdigitale e l'umidità, spesso causata, per assurdo, da un eccesso di igiene: ci si lava spesso e si aumenta così l'umidità in quella posizione. Sono poi molto diffuse le micosi della zona inguinale (Tinea cruris) e quelle fra le dita delle mani (Tinea manuum). Si tratta di forme di micosi in costante aumento, causate soprattutto da una maggiore igiene, con l'abitudine a lavaggi frequenti. I funghi che attaccano le dita dei piedi colpiscono anche le unghie, che assumono un aspetto alterato, corroso, con infiammazione del tessuto circostante. Un'altra categoria di micosi è invece in diminuzione, quelle delle tigne, causate da dermatofiti del genere Microsporum. Il calo di queste micosi (Tinea corporis) è dovuto soprattutto per il maggior controllo esercitato sugli animali, che sono veicolo d'infezione per l'uomo: cani, gatti, bovini. È in diminuzione anche la Tinea barbae, che colpisce la zona in cui cresce la barba. Un altro tipo di micosi cutanea è causato da funghi appartenenti al gruppo dei lieviti, come Candida albicans e Pityrosporum. Il Pityrosporum causa la Pityriasis versicolor, volgarmente detta fungo di mare. Quando la pelle si abbronza al sole, le colonie fungine muoiono e si staccano dalla pelle, lasciando così chiazze di colore più chiaro. Colpisce prevalentemente torace, spalle, schiena, parte superiore del tronco. Non si tratta di un'infezione contagiosa perché questo fungo è sempre presente nell'organismo, all'interno dei follicoli piliferi; solo in alcuni individui, in condizioni particolari, si sposta sulla superficie cutanea. La terapia si basa sull'utilizzo di antimicotici, locali o generali.
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CANDIDIASI

Le candidiasi sono infezioni superficiali provocate dall'azione patogena di funghi del genere Candida, soprattutto da Candida albicans ( ma anche da C. stellatoidea, C. tropicalis, C. parapsilosis, C. pseudotropicalis, C. guilliermondii ecc.). Candida albicans penetra nell'organismo generalmente attraverso ferite cutanee o alle mucose; è presente soprattutto nel cavo orale, nella vagina e nel tratto gastrointestinale.
Le condizioni per cui Candida albicans diviene infettante sono molte e diverse. Innanzitutto vi sono le situazioni di carattere fisiologico: infanzia, vecchiaia, gravidanza, mestruazioni. Anche determinate terapie mediche (antibiotici, cortisonici, immunosoppressori, citostatici, contraccettivi orali, radioterapia) e chirurgiche (cateterismi, tracheostomia, infusioni prolungate) possono favorire l'evoluzione patogena di Candida albicans, così come determinate patologie (diabete, obesità, gotta, malnutrizione, ipotiroidismo, sindrome di Down), malattie debilitanti (tumori, malattie infettive croniche) e sindromi da insufficienza immunitaria (Aids, deficienza di mieloperossidasi, sindrome di George, di Nezelof ecc.). Infine vi sono i fattori locali: traumi (ferite, ustioni), protesi.
Le conseguenze della candidiasi sono infezioni alla mucosa orale (il mughetto, caratteristica nei bambini), vulvovaginiti, eritema, fissurazioni simili alle ragadi; la malattia tende a diventare cronica e la sua diffusione nel sangue può provocare patologie gravi, come endocarditi, ascessi polmonari e cerebrali, meningiti, frequentemente causa di morte nei soggetti immunodepressi. La terapia farmacologica prevede l'utilizzo di antimicotici locali e generali.
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APNEE OSTRUTTIVE NEL SONNO E TONSILLECTOMIA

Solamente un quarto dei bambini a cui vengono rimosse chirurgicamente tonsille e adenoidi per il trattamento dell'apnea ostruttiva nel sonno hanno una risposta completamente risolutiva. D. Gozal ritiene che sia sbagliato pensare che tutti i bambini sottoposti a tonsillectomia e adenoidectomia per trattare l'apnea nel sonno avranno un beneficio terapeutico effettivo: solo una piccola percentuale dei pazienti risolverà il problema. L'apnea ostruttiva nel sonno si manifesta quando il soggetto si sveglia ripetutamente durante la notte perché le vie aeree si bloccano per brevi periodi e la respirazione si interrompe. Questa condizione può provocare stanchezza durante il giorno e una difficoltà nel mantenere la concentrazione. Gozal e i suoi colleghi (Louisville University, Kentucky), hanno pubblicato la loro ricerca nel Journal of Pediatrics: sono stati presi in esame 110 bambini utilizzando un polisonnografo, uno strumento progettato per individuare i disturbi del sonno, prima e dopo l'intervento chirurgico. Dopo l'operazione, solo il 25% dei bambini ha dormito senza alcun problema, mentre il 46% ha avuto fino a quattro episodi di interruzione del sonno all'ora e il 29% ha avuto più di cinque episodi. A causa del basso livello di esiti risolutivi, Gozal ritiene che sia necessario, specialmente nel caso di bambini obesi, ripetere lo studio del sonno dopo l'intervento chirurgico per identificare i pazienti che necessitano di ulteriori trattamenti, farmacologici o di altro tipo.
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EDUCAZIONE SESSUALE E CONTRACCEZIONE

L'educazione sessuale ha lo scopo di informare l'individuo su tutti gli aspetti della sessualità, mettendolo così in grado, da un lato, di poterne godere appieno e, da un altro, di evitare tutte le problematiche psicologiche connesse al sesso. Queste problematiche spesso sono all'origine di disturbi e disfunzioni che, nella migliore delle ipotesi, potranno essere risolti con l'aiuto dei medici ma che frequentemente, a causa della ritrosia diffusa sull'argomento, non vengono affrontati da chi ne soffre, causando una situazione di malessere destinata a durare nel tempo, con gravi conseguenze sia nella vita dell'individuo, sia nella vita di coppia. L'educazione sessuale dovrebbe essere una parte integrante dell'educazione del giovane e dunque dovrebbe avere luogo sia nell'ambito famigliare, sia in quello scolastico. Purtroppo spesso in famiglia l'argomento non viene affrontato, oppure viene affrontato in modo non idoneo. Per quanto riguarda la scuola, benché il dibattito sull'introduzione dell'educazione sessuale sia stato posto da vari decenni, solo negli anni Settanta alcuni fenomeni (istituzione dei consultori familiari, dibattiti su contraccezione e aborto, sulle tecniche di fecondazione artificiale, diffusione dell'Aids) hanno portato la questione all'attenzione generale. Questo non è tuttavia stato sufficiente a definire la questione dell'educazione sessuale a scuola. La prima proposta risale al 1975, con un testo unificato nel 1979; il testo proposto non è mai stato tradotto in legge. Ne consegue che agli insegnanti viene delegata la responsabilità di fare educazione sessuale a scuola, con ovvie conseguenze di disomogeneità. La necessità di una corretta educazione sessuale, a parte i motivi espressi inizialmente, deriva anche dal mutamento della struttura delle famiglie, dal prolungarsi della dipendenza dai genitori, dall'aumento costante e inarrestabile di stampa erotica e pornografia, ormai dilagante anche su mezzi facilmente a disposizione dei più giovani, come Internet, dalla ricerca di nuove forme di soddisfazione sessuale, dalla necessaria prevenzione dell'Aids. È evidente che l'educazione sessuale va affrontata dalla scuola e dalla famiglia nell'ambito di un progetto educativo più generale, mirato a consentire uno sviluppo armonico della personalità e delle potenzialità di ogni singolo individuo.
La contraccezione
La contraccezione è un insieme di metodi e comportamenti che consentono di avere rapporti sessuali senza incorrere in gravidanze non desiderate. I metodi contraccettivi disponibili sono diversi; è importante che la coppia scelga quello che preferisce. A proposito della scelta bisogna chiarire alcune questioni fondamentali. Innanzitutto nei rapporti sessuali occasionali bisogna utilizzare sempre il profilattico, non solo per evitare il concepimento, ma anche il contagio da malattie gravi, come epatite e Aids. In secondo luogo bisogna dire che il coito interrotto (estrarre il pene per eiaculare fuori dalla vagina) non è un metodo contraccettivo valido, perché anche prima dell'eiaculazione vengono emesse gocce di liquido che possono contenere gli spermatozoi. Infine bisogna chiarire che anche il primo rapporto sessuale è a rischio come tutti gli altri, diversamente da una convinzione molto diffusa fra i giovani.
Per quanto riguarda i vari metodi disponibili, la pillola è un farmaco composto da sostanze simili agli ormoni prodotti dall'organismo femminile (estrogeno e progesterone); crea una situazione simile a quella della gravidanza, bloccando l'ovulazione. Va presa a partire dal primo giorno delle mestruazioni, quindi si continua a prenderne una al giorno, circa alla stessa ora, per ventuno giorni. Con le pillole dell'ultima generazione l'effetto contraccettivo inizia sin dal primo giorno di assunzione. Inizialmente possono presentarsi alcuni disturbi (nausea, tensione al seno, aumento di peso, perdite di sangue al di fuori delle mestruazioni); di solito sono disturbi che scompaiono spontaneamente. Vi sono pillole di diverso tipo; la scelta sarà fatta a cura del medico a seconda dei casi. Bisogna tenere presente che determinati farmaci possono ridurre l'efficacia della pillola (antibiotici, antiepilettici, purganti ecc.).
La spirale (o Iud) è un dispositivo in materiale plastico, di forme diverse, su cui è avvolto un filo di rame. L'azione della spirale è connessa a modifiche nella mucosa uterina in grado di ostacolare il processo di fecondazione e annidamento dell'uovo, e a una riduzione della capacità di fecondazione dello spermatozoo. Va applicata e rimossa da un medico (non è necessaria l'anestesia).
Il diaframma vaginale è una coppa di gomma morbida con bordo spesso, che contiene una molla (a spirale o piatta) oppure due archetti di metallo. La misura del diaframma va stabilita dal medico: è essenziale che sia quella giusta. Il diaframma è una barriera meccanica posta tra vagina e utero; con il diaframma va utilizzata una crema spermicida. Va applicato in vagina prima del rapporto sessuale e non va rimosso prima di sei ore dopo la fine del rapporto. Si deve tenere presente che l'azione dello spermicida non dura più di cinque ore; se si vuole avere un rapporto oltre quel tempo, è necessario applicare nuovamente lo spermicida, senza togliere il diaframma. Dopo averlo tolto, va lavato con acqua fredda e sapone, asciugato con cura e riposto nella sua confezione.
Gli spermicidi chimici si trovano sotto forma di creme, gelatine, schiume, ovuli, compresse vaginali ecc. Vanno introdotti nella vagina qualche minuto prima del rapporto sessuale. Gli spermicidi uccidono gli spermatozoi ma hanno un livello di efficacia piuttosto basso; vanno più che altro utilizzati in associazione con altri metodi, come diaframma e preservativo.
Il preservativo è una guaina di gomma che va calzata sul pene in erezione, prima del rapporto sessuale, per impedire che il liquido seminale entri nella vagina. È necessario abbinare al preservativo l'uso di uno spermicida per ridurre i rischi sia in caso di rottura del preservativo, sia nel caso che si sfili nella vagina. Quando si estrae il pene dalla vagina, bisogna tenere il preservativo alla base per evitare fuoriuscite di sperma. Inoltre è importante ricordare che il preservativo è l'unico metodo attualmente valido per evitare il contagio da Aids nei rapporti sessuali a rischio.
Esistono anche altri contraccettivi di tipo ormonale, oltre alla classica pillola (iniezione a deposito, anelli vaginali, impianto di capsule sottocutanee ecc.), ma hanno un'efficacia contraccettiva inferiore rispetto alla pillola composta da estrogeno e progesterone, inoltre possono determinare vari tipi di disturbi.
Vi sono poi i metodi basati sul calcolo dei tempi del periodo fecondo della donna (temperatura basale, Ogino-Knaus, Billings), ma si tratta di metodi poco efficaci e pertanto sconsigliabili a chi desideri ottenere un elevato livello di sicurezza contraccettiva.
Anche il coito interrotto, come accennato in precedenza, è estremamente rischioso: ha una percentuale di fallimento pari al 30% ed è quindi sconsigliabile come metodo contraccettivo. Provoca inoltre una notevole tensione durante il rapporto, con inevitabili riflessi negativi sulla sessualità.
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ANEMIA APLASTICA

raro ma importante tipo di anemia, contraddistinto da un numero ridotto di globuli rossi, globuli bianchi e piastrine nel sangue,
è provocata dall'incapacità del midollo osseo di produrre le cellule capostipiti, progenitrici di tutte le cellule del sangue.
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I REUMATISMI E L'INFARTO
I reumatismi possono essere l’anticamera dell’arterosclerosi, con un grosso rischio di infarto e di ictus. Non tutti i reumatismi sonopericolosi per il cuore ma attenzione all’artrite reumatoide, all’artrite psoriasica e alle spondiloartriti.
“La raccomandazione è che chi soffre di malattie reumatiche non deve accettare la situazione con fatalismo e sopportazione ma deve chiedere, all’insorgere dei primi disturbi - come gonfiore alle articolazioni, arrossamenti e dolori persistenti- l’aiuto del medico. Quando la diagnosi è precoce, meglio se entro i primi tre mesi, la malattia grazie a farmaci mirati, sono i farmaci biologici anti TNF-alfa, si arresta. Si fermano i reumatismi e si evita il pericolo di infarto e ictus”.
“L’infiammazione alla base delle malattie reumatiche produce alcune proteine come la proteina C-reattiva che sono coinvolte nella formazione della placca dell’arteriosclerosi.
Questo significa che un paziente sofferente di artrite reumatoide o spondiloartriti, se non si cura per tempo ed oggi è possibile farlo grazie ai farmaci biologici anti TNF-alfa, è esposto in misura maggiore a patologie cardiovascolari”. “La scoperta di un rapporto fra malattie reumatiche e rischio di infarto e ictus è molto recente. Ancora non si conoscono gli stretti legami di tale rapporto. Comunque ci sono già evidenze scientifiche che stimolano la ricerca in collaborazione con le branche della medicina interna e del metabolismo che studiano proprio la patogenesi dell’arteriosclerosi”.
Questa scoperta aiuta a chiarire uno dei misteri della medicina. Infatti, pazienti sofferenti di una malattia reumatica vedono insorgere disturbi cardiovascolari che prima non si erano manifestati. Adesso si sa che ad innescarli è stato proprio il processo infiammatorio protagonista delle malattie reumatiche.
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CANCRO

Gli uomini, è noto, muoiono in media prima delle donne. E se questa non è una buona notizia per loro, è bene notare che spesso una maggiore attenzione alla propria salute potrebbe allungare di molto la vita.
Innanzitutto è importantissimo mantenere in allenamento il fisico e la mente. Se da giovani non è eccessivamente faticoso correre mezz'ora, da anziani è buona pratica fare una passeggiata tutti i giorni. Mantiene in allenamento i muscoli, ma anche il muscolo più importante: il cuore.
Dopo il cancro ai polmoni quello della prostata è la seconda causa di morte negli uomini e molto spesso esso viene riscontrato soltanto durante l'autopsia senza che in vita sia mai stato diagnosticato. Per questo motivo è estremamente consigliato fare con frequenza un emocromo per verificare la quantità di PSA contenuta nel sangue.
E che dire poi delle persistente cattiva abitudine di fumare. Insieme al colesterolo elevato è una delle principali cause di morte. Non è mai troppo tardi per smettere di fumare!
Il colesterolo elevato irrigidisce e ostruisce le arterie, può provocare l'infarto del miocardio e numerose altre malattie cardiovascolari.
Un po' di attenzione in più e una assidua frequentazione del medico possono evitare brutte sorprese.

Nuovi test per il cancro ai polmoni

Un test in grado di individuare geni danneggiati nei polmoni dei soggetti considerati ad alto rischio di cancro al polmone potrebbe consentire di prevedere la possibilità reale di sviluppare questa patologia. Il test non è ancora sufficientemente preciso da poter essere utilizzato su larga scala, ma in futuro, secondo i ricercatori, potrebbe rimpiazzare le indagini radiologiche, costose e rischiose per la salute dei pazienti. Secondo S. Belinsky, autore dello studio, attualmente non esiste nessun'altra possibilità se non continuare a sottoporre i soggetti a esami radiologici, quando si vogliono tenere sotto controllo costante i polmoni a rischio di tumore. Belinsky ritiene che il test diagnostico consentirà di identificare la presenza di tumori in uno stadio abbastanza precoce da consentirne un trattamento efficace. Il test messo a punto dal gruppo di ricerca di Belinsky e i suoi colleghi è riuscito a identificare con successo il 65% di casi di soggetti in cui si sarebbe sviluppato un tumore entro 18 mesi dal test, ma ha anche indicato come soggetti a rischio una serie di soggetti che invece non hanno sviluppato la patologia. Il test esamina il DNA presente nei tessuti polmonari; infatti, una delle caratteristiche del cancro al polmone è la "disattivazione" di determinati geni. Il test ricerca in particolare lo stato di sei geni che vengono disattivati in differenti livelli di sviluppo del tumore (P16, PAX5-beta, MGMT, DAPK, GATA5, RASSF1A). I pazienti in cui sono disattivati tre o più di questi geni hanno una possibilità 6,5 volte superiore alla media di sviluppare un tumore al polmone entro diciotto mesi, e vengono sottoposti a ulteriori test diagnostici (broncoscopia, raggi X). Questa patologia è una delle principali cause di morte a livello globale; inoltre, solo il 15% dei pazienti sopravvive per più di cinque anni, in parte perché la diagnosi è quasi sempre tardiva. Secondo Belinsky, dal momento che nella maggior parte dei casi la diagnosi avviene quando ormai il tumore è in uno stadio avanzato, le terapie disponibili (chirurgia, chemioterapia, radioterapia) non sono efficaci e, di conseguenza, la sopravvivenza media dei pazienti è di soli tredici mesi; i tumori al polmone su cui si può intervenire chirurgicamente garantiscono invece una sopravvivenza di cinque anni al 60% dei pazienti.

La mappatura dei geni del cancro

Ricercatori del governo degli Stati Uniti hanno inaugurato recentemente un progetto pilota che si propone di individuare tutti i cambiamenti genetici responsabili dell'insorgenza di tumori allo scopo di avviare una nuova era di terapie mirate contro il cancro. Gli scienziati sperano di gettare le basi per replicare il successo di alcune terapie oncologiche mirate, quali l'Herceptin di Genentech Inc, utile per combattere un tipo di cancro al seno, e il Gleevec di Novartis, un farmaco che ha rivoluzionato la terapia della leucemia mieloide cronica. Gli scienziati sanno che il cancro è una malattia genetica, causata da mutazioni o altri cambiamenti del DNA cellulare. Tuttavia nessuno ha svolto un'analisi sistematica di tutte le mutazioni dei diversi tumori. Il progetto dell'Atlante del genoma del cancro si propone di avviare un nuova era nella ricerca. La parola "cancro" descrive una serie di almeno 200 diverse patologie; anche espressioni come "cancro al polmone" o "cancro alla mammella" sono termini che comprendono diversi tipi di tumori. Il cancro è la seconda causa di morte nella maggior parte dei paesi industrializzati dopo l'infarto, e circa il 60% dei pazienti non vive più di cinque anni dopo la diagnosi. Il progetto dell'Atlante del genoma del cancro riguarda fondamentalmente i progressi necessari per riuscire a trasformare il cancro in una patologia cronica e gestibile, che non causi più sofferenza e morte ai livelli attuali, ha dichiarato durante una conferenza stampa A.V. Eschenbach (Food and Drug Administration). I ricercatori non hanno ancora deciso da quali tipi di cancro partiranno, ma sanno che sarà un numero contenuto, forse due o tre. Hanno in programma di procurarsi centinaia di campioni provenienti da centinaia di pazienti affetti dai tipi di tumori selezionati, e utilizzare quindi la mappa del genoma umano del NHGRI per tentare di individuare tutti i cambiamenti. Diverse mutazioni responsabili dell'insorgenza di tumori sono già note. Tra le più conosciute vi sono quelle che riguardano i geni BRCA1 e BRCA2 del tumore alla mammella, coinvolti anche in alcuni casi di tumore ovarico, il gene p53 che interessa molti tipi di neoplasie diverse e il gene EGFR, su cui agiscono i farmaci Iressa (AstraZeneca) e Plce Tarceva (Genentech e OSI Pharmaceutical), con significativi effetti contro una piccola percentuale di pazienti affetti da cancro al polmone. Secondo i ricercatori ne devono esistere molti altri. Questa è soltanto la punta dell'iceberg, secondo R. DePinho (Harvard Medical School): il numero di alterazioni genetiche che si verifica è sbalorditivo. DePinho ha affermato che il progetto permetterà ai ricercatori di concentrarsi sull'azione dei geni e su quali di essi possano essere un obiettivo migliore per i farmaci. Siamo di fronte a un punto di svolta nella ricerca biomedica e per la medicina, ha affermato A. Barker. È possibile che alcuni farmaci già utilizzati per una forma di tumore risultino efficaci anche per altre. La verifica genetica consentirà ai medici di accertare immediatamente questo aspetto. Possiamo fare affidamento su un numero consistente di farmaci. Un singolo farmaco può garantire un vantaggio per il paziente, ma non necessariamente la sua sopravvivenza, ha dichiarato E. Zerhouni, direttore dei National Institute of Health. Identificare le mutazioni genetiche tipiche di un tumore può facilitare l'uso di combinazioni di farmaci progettate in modo mirato, ha affermato Zerhouni.

Il cancro al polmone cambia bersaglio?

Fino a qualche anno fa il tumore ai polmoni era una patologia che colpiva molto più gli uomini che le donne; oggi i dati dimostrano che la situazione è mutata. Infatti, a partire dagli anni Novanta, l'incidenza di questa patologia è calata negli uomini mentre si è mantenuta costante fra le donne. Secondo G.P. Kalemkerian (University of Michigan) il cancro al polmone non è più una malattia tipica dei fumatori anziani maschi; se la tendenza attuale dovesse continuare, il numero delle donne colpite da questa patologia supererà quello degli uomini entro 10-15 anni. Kalemkerian e il suo gruppo di ricerca hanno analizzato le informazioni relative a circa 229.000 pazienti malati di tumore nel periodo compreso fra la metà degli anni Settanta e la fine degli anni Novanta. Fra l'altro, è emerso che le donne tendono ad ammalarsi prima degli uomini, benché le cause non siano chiare. Per quanto riguarda gli uomini, si è passati da 72,5 casi per 100.000 all'anno nel 1984 a 47 casi per 100.000 nel 1999, mentre fra le donne i valori si sono mantenuti mediamente attorno ai 30-33 casi per 100.000. Kalemkerian fa notare però che le donne hanno possibilità di sopravvivenza superiori agli uomini, a tutti gli stadi della malattia; aggiunge inoltre che il cancro ai polmoni è un enorme problema di salute a livello mondiale, con oltre 1 milione di morti all'anno. Secondo il medico americano, il miglior modo di combattere il cancro è la prevenzione, specialmente eliminando il vizio del fumo.

Geni "disattivati" e cancro alle ovaie

Due geni che risultano disattivati nelle cellule tumorali del cancro alle ovaie potrebbero consentire la messa a punto di un test rapido per l'individuazione precoce di questa malattia. Un gruppo di ricerca presso l'università di Vienna ha identificato cinque geni la cui attività è nettamente ridotta in presenza di questa patologia. In particolare, due (N33 e NFA6R) cessano completamente di funzionare. Benché il ruolo preciso di questi due geni non sia noto, M. Krainer e i suoi colleghi sospettano che possano essere collegati allo sviluppo del cancro alle ovaie, una patologia tumorale che provoca la morte di circa 114.000 donne a livello mondiale ogni anno. I ricercatori pensano che i geni vengano disattivati da un processo noto come metilazione, una forma di disattivazione dei geni, e questo potrebbe consentire di identificare i primi segnali della malattia. Secondo Krainer, in futuro si potrà mettere a punto uno strumento diagnostico specifico. Il cancro alle ovaie è anche definito il "killer silenzioso", poiché nelle fasi iniziali non presenta alcun sintomo. Molte donne non arrivano alla diagnosi se non quando il tumore si è ormai sviluppato e diffuso oltre le ovaie; a quel punto l'efficacia del trattamento terapeutico è meno marcata e il tasso di sopravvivenza a cinque anni è solo di circa il 20%. Un test diagnostico, soprattutto per i soggetti ad alto rischio, potrebbe consentire di rilevare la patologia in una fase iniziale, quando l'efficacia della terapia è nettamente superiore. Il fattore di rischio più importante per questa patologia è la storia familiare. Krainer afferma che i due geni sembrano cessare la loro attività prima della comparsa dei sintomi della patologia; dunque la metilazione avviene nelle prime fasi della comparsa del tumore e, sempre secondo il medico austriaco, dovrebbe essere facilmente individuabile mediante il prelievo di un campione di sangue e il ricorso alla polymerase chain reaction (PCR, una tecnica che consente di riprodurre milioni di volte in tempi brevi una sequenza nucleotidica selezionata dal DNA e di individuare la presenza di virus e geni delle malattie ereditarie). Secondo Krainer questo è il punto di partenza per mettere a punto un metodo specifico a livello clinico per la diagnosi della patologia.

Farmaci anticancro e artrite reumatoide

Uno studio recente ha mostrato che un trattamento antitumorale di Roche AG (MabThera) è anche efficace per i sintomi dell'artrite reumatoide. I dati dei test preliminari indicano che il farmaco allevia i sintomi dei pazienti affetti da uno stadio da moderato a grave di questa patologia. Lo studio ha rilevato un miglioramento nelle condizioni di pazienti sottoposti a due somministrazioni del farmaco in un periodo di due settimane, in associazione con metotrexato, rispetto a trattamento con placebo e metatrexato. Il farmaco è stato originariamente sviluppato per la terapia del linfoma non-Hodgkins. Oltre a MabThera, Roche sta sviluppando un preparato di seconda generazione per la stessa patologia. Lo studio è stato condotto su 465 pazienti in Europa, Stati Uniti, Canada e Australia. Il problema della sicurezza è fondamentale nell'utilizzo di farmaci di questo genere, che intervengono sugli anticorpi dell'organismo, poiché hanno meccanismi d'azione che possono generare effetti collaterali a lungo termine. Per questo motivo, i trattamenti sono di breve durata. Secondo Roche, i dati preliminari indicano una buona tolleranza del farmaco nei pazienti sottoposti allo studio.

Farmaci anticancro di nuova generazione

La FDA ha recentemente approvato la sperimentazione di un nuovo farmaco destinato al trattamento del cancro polmonare non a piccole cellule, una patologia particolarmente difficile da trattare che colpisce un gran numero di persone. Il tumore ai polmoni è il più diffuso a livello mondiale e colpisce circa 900.000 uomini e 330.000 donne all'anno, secondo l'Agenzia per Ricerca sul Cancro; il cancro polmonare non a piccole cellule costituisce circa il 75% dei casi e spesso viene diagnosticato quando ormai si trova in una fase avanzata di sviluppo. Il nuovo farmaco, Tarceva (erlotinib HCl), è stato messo a punto da Roche Holding AG, Genentech Inc. e OSI Pharmaceuticals Inc., e verrà sperimentato anche su 664 pazienti ricoverati in diversi ospedali britannici. Si tratta di soggetti che non possono essere sottoposti ad altri trattamenti. Secondo S.M. Lee, la chemioterapia convenzionale ha un'efficacia limitata contro il tumore ai polmoni in stadio avanzato, perché le cellule tumorali sviluppano rapidamente resistenza alla terapia, inoltre i farmaci utilizzati non distinguono le cellule tumorali da quelle sane, provocando effetti collaterali che molti pazienti non sono in grado di tollerare. Tarceva è uno dei farmaci anticancro "intelligenti" attualmente in fase di sviluppo. Viene somministrato con la posologia di una pillola una volta al giorno e agisce bloccando l'azione della molecola EGFR (epidermal growth factor receptor), connessa alla riproduzione cellulare. Oltre a monitorare le condizioni dei pazienti sottoposti alla ricerca, i medici analizzeranno i tumori in corso e la quantità di EGFR presente nell'organismo, per chiarirne il collegamento con l'azione del farmaco. La conduzione di indagini su larga scala è fondamentale per la valutazione dei nuovi farmaci antitumorali e la loro introduzione in ambito clinico.

Aspirina: nuova arma contro il tumore?

Un gruppo di scienziati britannici ha avviato uno studio clinico per esaminare la possibilità di utilizzare una combinazione di farmaci (aspirina e un farmaco antiulcera) allo scopo di prevenire il tumore dell'esofago. L'aspirina viene abitualmente impiegata da milioni di persone con vari obiettivi terapeutici, ma solo di recente si è ipotizzata una sua azione antitumorale. Questo studio coinvolgerà 5.000 persone a rischio di tumore per dieci anni, alle quali verrà somministrata aspirina in associazione a un farmaco antiulcera di AstraZeneca (Nexium), con l'obbiettivo di prevenire l'instaurarsi di condizioni precancerose.
Il tumore dell'esofago può svilupparsi a seguito del riflusso degli acidi dallo stomaco all'esofago; gli acidi possono provocare modifiche nelle cellule del tubo digerente e questa situazione conduce, in alcuni casi, al tumore. L'ipotesi alla base del ricorso all'aspirina è legata alla sua azione sull'enzima cicloossigenasi-2, coinvolto negli stati infiammatori e probabilmente nell'insorgenza del cancro. Poiché l'aspirina può provocare ulcera si è deciso di associare alla sua somministrazione prolungata nel tempo un farmaco specifico. L'aspirina, sintetizzata più di un secolo addietro dalla Bayer come antidolorifico, potrebbe dunque ulteriormente dimostrare la propria versatilità terapeutica.

Nuovo vaccino anticancro

Il primo vaccino per prevenire il tumore alla cervice verrà presto distribuito negli Usa. Si tratta di un'importante novità per contrastare una patologia che provoca la morte di circa 300.000 donne ogni anno in tutto il mondo. Le autorità statunitensi hanno approvato la distribuzione di Gardasil, il vaccino prodotto da Merck & Co. Inc., destinato a ragazze e giovani donne d'età compresa fra i 9 e i 26 anni. Il farmaco agisce conto determinati tipi di papillomavirus (HPV), un microrganismo che si trasmette facilmente con l'attività sessuale e che può provocare questo tipo di tumore. Secondo A. von Eschenbach (Food and Drug Administration), il vaccino rappresenta un notevole passo in avanti nella tutela della salute delle donne. Somministrato in tre dosi nell'arco di sei mesi, Gardasil colpisce quattro tipi di HPV che si ritiene siano alla base di oltre il 70% dei tumori alla cervice. HPV infetta circa la metà degli adulti sessualmente attivi, ma solitamente è innocuo. Nelle nazioni più avanzate, i controlli preventivi hanno ridotto l'incidenza di questa patologia, che invece è molto diffusa nei paesi in via di sviluppo. Secondo gli studi condotti da Merck, il vaccino è in grado di prevenire la totalità delle lesioni precancerose nella cervice, nella vagina e nella vulva. Secondo la FDA, è perciò molto probabile che il farmaco risulti efficace nella prevenzione del tumore alla cervice. Tuttavia non è ancora nota la durata dell'efficacia del farmaco nel corso del tempo. Sicuramente la somministrazione del vaccino non elimina la necessità di sottoporsi a controlli periodici. Attualmente sono in corso altre ricerche per valutare l'efficacia del farmaco sulle donne dopo i 26 anni e sugli uomini e si sta valutando l'opportunità di raccomandare la diffusione della vaccinazione contro HPV. Secondo FDA, è opportuno il trattamento precoce perché il farmaco è efficace solo se viene somministrato prima dell'infezione; inoltre la diffusione del vaccino potrebbe essere particolarmente utile nelle nazioni più povere, dove non esiste la possibilità di adottare altre metodologie di controllo. Merck si è dichiarata disponibile a fornire il vaccino a costi ridotti per la distribuzione nelle aree più disagiate del pianeta. Un vaccino analogo è in corso di sviluppo da parte di GlaxoSmithKline.

Vaccino contro il cancro per le più giovani

Secondo quanto affermato descrivendo i risultati di una prova in fase conclusiva, le ragazze di età tra i 10 e i 14 a cui è stato somministrato il vaccino di GlaxoSmithKline Plc per la prevenzione dell'infezione del virus che causa il cancro della cervice, hanno evidenziato una risposta immunitaria la cui potenza è stata il doppio rispetto a quella delle pazienti dai 15 ai 25 anni. Secondo Glaxo, i primi dati pubblicati dalla prova di fase III del vaccino Cervarix lasciano pensare che esso possa fornire la protezione più efficace e prolungata se somministrato a ragazze in giovanissima età, molto prima che incontrino il virus trasmesso per via sessuale. Le concentrazioni di anticorpi nel virus erano due volte quelle contenute nel flusso sanguigno delle ragazzine, ha spiegato G. Dubin, il ricercatore di Glaxo autore principale della ricerca. Gli anticorpi sono proteine del sistema immunitario che ricercano e distruggono batteri e virus. I vaccini, esponendo l'organismo a frammenti di microrganismi specifici, lo addestrano a produrre gli anticorpi necessari. Dubin ha dichiarato che la prova non era stata concepita per confermare l'effettiva efficacia del vaccino, dal momento che sono poche le ragazze nella fascia di età 10-14 a essere sessualmente attive. Secondo Dubin, la risposta immunitaria è il miglior indicatore della capacità potenziale del vaccino di fornire protezione contro una prolungata infezione da virus. I risultati degli esami sono stati presentati alla Interscience Conference on Antimicrobial Agents and Chemotherapy (ICAAC) a Washington, D.C. La prova finanziata da Glaxo e condotta in Europa e Russia ha coinvolto 158 ragazze sane di età compresa tra i 10 e i 14 anni e 458 donne di età compresa tra i 15 e i 25 anni, che hanno ricevuto tre dosi del vaccino su un periodo di sei mesi. Cervarix, che non è ancora stato presentato per ottenere le autorizzazioni normative, è uno dei prodotti sperimentali più importanti sviluppati dalla casa farmaceutica britannica. Si prevede che entrerà in competizione con un vaccino simile di Merck and Co., Gardasil, in attesa del responso delle autorità americane ed europee. Come Gardasil, anche il prodotto Glaxo combatte due ceppi del papillomavirus umano responsabili del 70% dei casi di cancro della cervice, che è la seconda causa di morte fra le donne.

Virus anticancro

Un comune virus innocuo per l'uomo è in grado di distruggere le cellule tumorali e potrebbe essere utilizzato per lo sviluppo di nuove terapie anticancro. Il virus (AAV-2) è presente circa nell'80% della popolazione. Secondo C. Meyers (Penn State College of Medicine, Pennsylvania) i risultati della ricerca indicano che questo virus è in grado di riconoscer e uccidere diversi tipi di cellule cancerogene senza danneggiare le cellule sane dell'organismo, dunque esiste la possibilità di trasformarlo in un agente antitumorale. La ricerca è nata da uno studio in cui è emersa una minore tendenza a sviluppare il tumore alla cervice in donne in cui era presente il virus. I medici hanno condotto una ricerca in laboratorio utilizzando vari tipi di tessuti epiteliali, rilevando l'efficacia del virus nell'attaccare e distruggere le cellule infette. Secondo Meyers, uno degli aspetti più interessanti è che il virus non sembra avere effetti patologici sulle cellule sane. Dal momento che molte terapie antitumorali hanno pesanti effetti collaterali sulla salute dei pazienti, una terapia in grado di distinguere le cellule malate da quelle sane potrebbe essere molto più facilmente sopportata dai pazienti. Il virus AAV-2 attualmente è oggetto di studio anche come vettore per terapie geniche, proprio grazie alla sua caratteristica di non causare patologie e di non indurre alcuna reazione da parte del sistema immunitario umano.
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FIBROMA

Il fibroma è un tumore (neoplasia) benigna del tessuto connettivale fibroso che si origina frequentemente nello stomaco, nell'intestino, nell'utero e nelle ovaie. Altrettanto comuni sono i fibromi ossei e quelli cutanei, che presentano una lenta crescita e possono essere completamente asportati con la terapia chirurgica. Per quanto riguarda la forma uterina, è più esatta la definizione di fibromioma, mentre per quella ovarica si parla di leiomioma, un tumore benigno che si sviluppa da fibre muscolari lisce. Quello più comune è sicuramente il fibroma uterino, che può assumere dimensioni variabili, da pochi cm fino a occupare tutto l'organo, e anche da posizioni diverse. Si distingue infatti il fibroma che si sviluppa solo sulla parete muscolare (intramurale), quello che tende a espandersi all'esterno, rimanendo attaccato alla parete con un solo filamento o peducolo (fibroma sottosieroso peduncolato), e che, dalla parete, si espande all'interno (sottomucoso). Si tratta di una patologia molto frequente nella donna in età fertile in quanto la sua crescita può essere stimolata dall'azione ormonale ovarica. Spesso in menopausa le sue dimensioni si riducono. La presenza del fibroma può essere associata a una fibromatosi uterina, ovvero la modifica della struttura del tessuto dell'organo in cui le fasce fibrose risultano prevalere su quelle muscolari.
I principali sintomi sono possibili emorragie o perdite ematiche al di fuori del ciclo, dolore da compressione sugli organi vicini, specie la vescica e l'intestino, e dolore dovuto alla torsione, nel caso di fibroma peduncolato che si attorciglia su se stesso. La diagnosi, oltre che dai sintomi che possono però essere molto lievi (non sempre è avvertito dolore) viene fatta grazie alla visita ginecologica, l'ecografia o tecniche endoscopiche (isteroscopia) in cui con un intervento esplorativo si introduce un sistema ottico per visualizzare l'interno della cavità uterina e, grazie a un sistema di trasmissione di immagini, si può avere una visione chiara della neoplasia e fare una diagnosi precisa.
La terapia farmacologica ha lo scopo di contrastare lo sviluppo del tumore e di ridurre gli episodi emorragici, molto spesso dolorosi. Si utilizzano generalmente progestinici, composti che hanno funzione o struttura analoga a quella del progesterone, l'ormone secreto dopo l'ovulazione dal corpo luteo dell'ovaia e dalla placenta.
La terapia chirurgica consiste nell'asportazione del tumore (miomectomia) o, nei casi più gravi, l'asportazione totale dell'utero (isterectomia), soluzione preferibile nel caso di dimensioni notevoli della neoplasia o per donne in età di menopausa. La tecnica chirurgica può essere più o meno invasiva, utilizzando la stessa isteroscopia usata però a scopo terapeutico e non solo diagnostico, oppure con intervento in laparoscopia o laparotomia (tecnica chirurgica tradizionale con l'apertura dell'addome). La scelta della tecnica deve essere fatta accuratamente dal medico in base al tipo di fibroma, all'età della paziente e allo stato di avanzamento della neoplasia.
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CELIACHIA

La celiachia è una patologia intestinale causata da intolleranza al glutine, un gruppo di proteine del frumento, dell'orzo e della segale. L'introduzione del glutine nell'organismo causa la produzione di anticorpi contro i villi intestinali con conseguente cattivo assorbimento dei cibi. I sintomi sono diarrea, vomito, anoressia, arresto della crescita, calo ponderale, anemia. In genere la celiachia insorge attorno ai 30 mesi o intorno ai 12-14 anni e nella donna intorno ai 35 anni. Le donne sono colpite in misura doppia rispetto agli uomini. Non esiste terapia specifica e l'unica misura efficace è l'eliminazione del glutine dalla dieta. Recentemente ricercatori finlandesi (università di Kuopio) hanno scoperto che è possibile arricchire la dieta senza glutine con moderate quantità di avena; infatti le proteine dell'avena (avenina) sono differenti da quelle contenute in frumento (gliadine) o in orzo e segale (prolamine).
Se non trattata, la celiachia può evolvere in linfomi, tumori gastrointestinali e malattie autoimmuni. I celiaci soffrono di problemi alla tiroide (ipotiroidismo e patologie autoimmuni) in misura tre volte superiore al normale. In Italia sono 35.000 i casi diagnosticati, ma si stima che rappresentino solo il 10% del totale.
Nel 2002 ricercatori australiani hanno scoperto le proteine responsabili della celiachia, ovvero l'intolleranza al glutine, aprendo la strada a un vaccino preventivo. Gli studiosi hanno individuato tra le gliadine, proteine che costituiscono il glutine, un frammento proteico capace di innescare una forte reazione da parte dell'organismo. Hanno scoperto inoltre che esiste una predisposizione genica che facilita l'inizio della reazione autoimmune ed è presente nel 90% dei malati.

CELIACHIA E RISCHIO DI DIABETE

I bambini malati di celiachia hanno una possibilità di sviluppare diabete di tipo 1 (insulino-dipendente) tre volte superiore alla media della popolazione generale, secondo i risultati di un recente studio svedese. La celiachia è causata dall'allergia al glutine, presente soprattutto nel grano. Può causare crampi intestinali, dolore, diarrea e perdita di peso. J.F. Ludvigsson (clinica universitaria di Orebro) ritiene che la celiachia predisponga i bambini al diabete di tipo 1; molti bambini vengono diagnosticati per il diabete prima dell'identificazione della celiachia, e questo suggerisce che la celiachia sia stata asintomatica ma presente per diversi anni. Un secondo studio condotto in Danimarca ha rilevato che la celiachia è diffusa fra i bambini con il diabete di tipo 1. Per la loro ricerca, Ludvigsson e i suoi colleghi hanno utilizzato il registro nazionale svedese relativo agli anni dal 1964 al 2003 per identificare 9.243 individui con una diagnosi di celiachia prima del compimento dei vent'anni; questi soggetti sono stati confrontati con un gruppo di controllo non colpito da celiachia. Ne è emerso che nei bimbi celiaci è più alta la probabilità della comparsa del diabete di tipo 1 prima del compimento dei vent'anni. Secondo i ricercatori l'associazione fra queste due patologie può essere dovuta alla produzione di autoanticorpi causata da una precoce esposizione al glutine, oppure a una predisposizione genetica. I ricercatori svedesi non hanno individuato alcuna prova che l'introduzione di un'alimentazione priva di glutine nei soggetti celiaci protegga contro il diabete di tipo 1. Molti bambini che vengono visitati per il sospetto di celiachia sono stati già sottoposti ai test del glucosio, afferma Ludvigsson, che raccomanda di effettuare analisi del sangue e delle urine prima di procedere con la diagnosi di celiachia. Ludvigsson, in assenza di aumento di livello del glucosio nel sangue o di assenza di glucosio nelle urine, non raccomanda ulteriori indagini per la diagnosi di diabete di tipo 1, ma informa i pazienti di quali siano i sintomi della malattia (sete, aumento della minzione, perdita di peso, affaticamento) e raccomanda loro di consultare subito un medico qualora compaiano.
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VARICOCELE
Il varicocèle è una patologia che colpisce circa il 20 per cento della popolazione maschile. Si tratta della dilatazione patologica e irreversibile delle vene del testicolo; nell'80 per cento dei casi si verifica nel testicolo sinistro, più raramente è bilaterale o a destra. Generalmente la patologia si "propaga" anche nel testicolo di destra, per un meccanismo auto immunitario non ben chiarito, nel giro di qualche anno, portando alla sterilità. Infatti le vene dilatate producono un ristagno di sangue nel testicolo che impedisce la produzione degli spermatozoi in misura sufficiente alla procreazione.
La causa del varicocele è un'anomalia anatomica che impedisce il ritorno del flusso sanguigno dal testicolo al cuore attraverso la vena spermatica; il sangue non riesce a risalire lungo la vena e con un reflusso tende a tornare indietro.
La diagnosi è molto facile, in quando il groviglio di vene dilatate è di solito rilevabile al tatto. Gli esami consigliati per avere un'esatta valutazione della situazione sono l'eco-color-doppler, un'indagine a ultrasuoni in grado di quantificare i danni al circolo venoso. In alternativa si pratica un esame radiologico, la flebografia, che utilizza un liquido di contrasto iniettato nella vena della coscia e che raggiunge la vena spermatica.
La cura è solitamente chirurgica e consiste nel praticare un'interruzione nella vena spermatica nel punto più alto possibile, eventualmente unendo la parte inferiore a una vena della coscia. È applicabile anche la tecnica laparoscopica (chirurgia meno invasiva che si avvale di telecamera e sistema ottico) adatta per i casi bilaterali o per i pazienti in cui le altre tecniche non risultano praticabili (obesità, presenza di altre patologie concomitanti). Inoltre, se si pratica la flebografia è possibile iniettare nella stessa seduta oltre al liquido di contrasto anche uno sclerosante che raggiunge la vena spermatica.
L'intervento risolutore permette di recuperare la fertilità da parte dell'uomo, anche se le percentuali di successo dipendono dai casi individuali. Inoltre è possibile avere una recidiva, che statisticamente interessa il 5-15% dei casi. In questa patologia risulta molto importante la tecnica e l'abilità del chirurgo nell'eseguire l'intervento e nella scelta delle modalità più adatte alla situazione individuale del paziente.
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Disturbi muscolari e scheletrici

Il nostro corpo è costruito per avere periodi di attività alternati a periodi di riposo. Lavorare a lungo sottopone alcuni muscoli ed articolazioni a tensioni.
Queste tensioni muscolari impediscono il normale afflusso di sangue ai tessuti biologici (muscoli, tendini, nervi, dischi intervertebrali). Le cellule non ricevono ossigeno e nutrimento a sufficienza e non riescono a smaltire le sostanze tossiche: nel tempo tutto ciò può causare prima delle microlesioni, poi delle vere e proprie lesioni con dolori fissi, infiammazione dei tendini, compressione dei nervi ed in alcuni casi lunghi periodi di invalidità.
la migliore forma di prevenzione e avere abitudini di lavoro corrette, esercizi fisici ed una corretta alimentazione.

ARTROSI

L'artrosi è un'alterazione cronica degenerativa delle articolazioni, essenzialmente dovuta alla vecchiaia. è infatti caratterizzata dall'usura e dall'ossificazione delle superfici cartilaginee articolari. Tuttavia essa può manifestarsi anche in individui giovani, a causa di traumi, o nelle persone obese e affette da vene varicose. Esistono vari tipi di artrosi che, nei soggetti anziani, generalmente, si evolvono in artrosi dell'anca e artrosi del ginocchio.
Oltre all’età, ci sono diverse altre cause che possono favorire l’usura delle cartilagini e quindi la comparsa dell’artrosi. Tra queste ricordiamo l’obesità, che favorisce l’insorgenza di artrosi soprattutto nelle articolazioni che più sopportano il carico del corpo (ginocchia, caviglie, anche, colonna vertebrale lombare), il superlavoro, soprattutto in coloro che svolgono determinati lavori ripetitivi (chi usa molto i polsi nei lavori manuali) o chi svolge attività sportiva in modo professionale (artrosi alle ginocchia nei calciatori, alle dita nei pugili, al gomito nei tennisti, etc.). difetto ereditario nella produzione di collagene, un costituente fondamentale della cartilagine, può fare dell’artrosi una vera malattia ereditaria. Altre cause potrebbero essere costituite da un trauma acuto, dalla predisposizione del sesso (dopo i 55 anni di età le donne hanno una maggiore probabilità di manifestare i sintomi della malattia) o anche la presenza di altre malattie reumatiche, come ad esempio l’artrite reumatoide, che potrebbe a sua volta favorire lo sviluppo di artrosi nelle articolazioni colpite.
La sintomatologia clinica è rappresentata da dolori articolari, persistenti o ricorrenti, di media intensità, che compaiono con l'esercizio e si affievoliscono con il riposo e da una rigidità dei muscoli che svanisce non appena si riprende l'attività. Questi dolori limitano il movimento della colonna vertebrale o dell'articolazione. Qualche volta si manifesta con un rigonfiamento dell'articolazione, che può essere più o meno avvertito dal paziente. Spesso accade che una persona si accorga di avere l'artrosi dopo aver eseguito un esame radiografico per motivi diversi, spesso non collegati al dolore articolare.
La terapia dell'artrosi è di solito volta alla riduzione del dolore. Come terapia gioveranno farmaci antinfiammatori non steroidei (FANS) e iniezioni intraarticolari di cortisone, oppure trattamenti di fisioterapia volti a migliorare la mobilità dell'articolazione. I timori per gli effetti negativi degli antinfiammatori sullo stomaco sono diminuiti grazie a una nuova famiglia di farmaci, i Coxib. L'efficacia di questi nuovi medicinali nella cura delle malattie reumatiche è risultata del tutto equivalente a quella dei FANS più comunemente utilizzati. Nei casi di maggiore gravità, è opportuno intervenire con provvedimenti ortopedici correttivi o chirurgici.
Comunque sia si possono ottenere solo parziali miglioramenti dell'artrosi.

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ARTROSI CERVICALE

L'artrosi è una patologia degenerativa da fattoti lesivi che agiscono nel tempo sui vari comparti delle strutture osteolegamentose, articolari e discali. Allorché le modificazioni artrosiche della colonna cervicale, limitate ad un solo livello o estese a più livelli, potendo interessare in maniera prevalente ciascuno dei vari comparti, provocano modificazioni della curvatura e della dinamica del rachide in questo caso si parla di Spondiloartrosi.

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EPICONDILITE

Aete sentito parlare di "gomito del tennista"? Bene, la patologia tecnicamente si chiama epicondilite ed è una tendinopatia inserzionale che interessa l'inserzione, sull'osso del gomito (la porzione di questo detta epicondilo), dei muscoli epicondilei delle dita e del polso (di quei muscoli cioè che permettono il piegamento all'indietro).
I colpevoli di queste tendinopatie inserzionali sono traumi oppure movimenti eccessivamente ripetuti o attuati con troppa intensità che finiscono per portare a una progressiva infiammazione della giunzione osteo-tendinea.
E se di solito si parla di "gomito del tennista". Spesso vengono riscontrati in casalinghe, pianisti o persone alle prese, a lungo, col computer oppure lavori particolari che portano il gomito in fase traumatica. Comune denominatore di tutte queste situazioni è infatti l'uso eccessivo dei muscoli estensori delle dita e del polso, spesso unitamente a processi dismetabolici o posture scorrette.
E' evidente, quindi, quanto siano basilari certe precauzioni: da una corretta posizione di lavoro (i gomiti non devono stare troppo bassi), a una pausa ogni tanto. Nello sport, una valida prevenzione può essere rappresentata da un'attrezzatura tecnica adeguata, come pure da un allenamento "oculato".
Per combattere certe patologie è comunque necessario saperle riconoscere velocemente: il sintomo principale è il dolore spontaneo, in forte aumento se si esercita una pressione sulla zona dell'epicondilo. Il dolore in questione che tende ad espandersi verso l'avambraccio e rende difficoltose anche le più semplici attività quotidiane.
Per combatterlo è cruciale iniziare in tempi veloci la terapia con prodotti farmacologici,
In ogni caso, riposo e ghiaccio (10-15 minuti per più volte al giorno) neuraldigitoterapia neuralterapia (infiltrazioni dirette sul dolore), tecarterapia , da abbinare magari a qualche seduta di laserterapia. In caso di persistenza della sintomatologia, si può ricorrere ad alcune sedute di ossigeno-ozono-terapia o di onde d'urto, spesso sono le uniche metodologie per avviare la cura, ma anche un tutore antiepicondilite a fascia, (si acquista nei negozi di sanitari oppure nelle farmacie) è utile per mettere a riposo i muscoli estensori, riducendo così la tensione sull'osso.
Fondamentale è non trascurare, una volta risolta la sintomatologia dolorosa, l'analisi delle cause che hanno portato alla patologia. E' necessario, infatti, che siano anche queste trattate, così da non incorrere in fastidiose forme recidivanti.
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LOMBOSCIATALGIE e LOMBALGIA

con questo termine si indica quel dolore che si origina nel tratto della colonna lombare e si irradia e/o si diffonde lungo uno o tutti e due gli arti inferiori, parzialmente o fino ai piedi. Il termine stesso indica l’interessamento del nervo sciatico.
Sintomi: normalmente si avverte prima il dolore lombare e poi l’infiammazione tende ad estendersi anche alle radici nervose del nervo sciatico, sia monolaterale che bilaterale. Il dolore così scende lungo la gamba, posteriormente, passa per il gluteo fino a raggiungere anche il piede.
Le cause: tale compressione o infiammazione può essere causata da uno strappo muscolare a livello dei muscoli paravertebrali, da una contrattura muscolare, da compressione radicolare per schiacciamento del disco intervertebrale, da una protrusione, da un’ernia.
E’ una patologia molto frequente, legata al tipo di stile di vita errata dei giorni nostri: molte ore seduti in ufficio, agenti di commercio, camionisti, materassi vecchi più di dieci anni divani molto scomodi sotto il profilo posturale, stress notevoli, sedentarietà o eccesso di attività fisica, traumi a cui non si è posto rimedio adeguatamente anche sotto il profilo della postura. La mancanza di esercizi posturali nella nostra cultura.
oltre alla lombosciatalgia esiste anche la lombalgia, sciatalgia, mal di schiena, dolore alla schiena, dolore lombare, dorsalgia, algia del dorso, algia lombare, sciatica, dolore al nervo sciatico, infiammazione al nervo sciatico, nervo sciatico.

COS'E' LA SINDROME DEL TUNNEL CARPALE (STC)

La Sindrome del Tunnel Carpale (stc) è la neuropatia più frequente ed è dovuta alla compressione del nervo mediano al polso nel suo passaggio attraverso il tunnel carpale.
COS'E' IL TUNNEL CARPALE?

Il tunnel carpale è un canale localizzato al polso formato dalle ossa carpali sulle quali è teso il legamento traverso del carpo, un nastro fibroso che costituisce il tetto del tunnel stesso,inserendosi, da un lato, sulle ossa scafoide e trapezio e dall'altro sul piriforme ed uncinato (ossa del carpo della mano).
In questo "tunnel" passano strutture nervose (nervo mediano), vascolari e tendinee (tendini muscoli flessori delle dita).
QUALI SONO LE CAUSE DELLA STC?

La patogenesi occupazionale sembra essere la causa più frequente per lo sviluppo della Sindrome del Tunnel Carpale. E' stata dimostrata un' associazione con i lavori ripetitivi, sia in presenza (rischio più elevato) che in assenza di applicazione di forza elevata.
E' stato dimostrato che prolungati e/o ripetitivi movimenti di flesso-estensione del polso (in minor misura anche la flessione delle dita), provocano un aumento della pressione all'interno del tunnel carpale e che il ripetuto allungamento dei nervi e dei tendini che scorrono dentro il tunnel possono dar luogo ad una infiammazione che riduce le dimensioni del tunnel determinando la compressione del nervo mediano.
Anche malattie sistemiche possono essere associate alla Sindrome del Tunnel Carpale (es. diabete mellito, artrite reumatoide, mixedema, amiloidosi), come pure situazioni fisiologiche (gravidanza, uso di contraccettivi orali, menopausa), traumi ( pregresse fratture del polso con deformit articolari), artriti e artrosi deformanti.

QUALI SONO I SINTOMI?

Nelle fasi iniziali della patologia la Sindrome del Tunnel Carpale (stc) si manifesta con formicolii, sensazione di intorpidimento o gonfiore alla mano, prevalenti alle prime tre dita della mano e in parte al quarto dito (vedi figura), soprattutto al mattino e/o durante la notte; successivamente compare dolore irradiatesi anche all'avambraccio, sintomi definiti "irritativi". Se la patologia si aggrava compaiono perdita di sensibilità alle dita, perdita di forza della mano, atrofia dell'eminenza thenar; sintomi "deficitari".
La causa non è sempre conosciuta. Generalmente sono implicati movimenti ripetuti e/o eccessivi. Più raramente possono essere secondaria a malattie sistemiche come l'artrite reumatoide, la gotta, l'insufficienza renale, etc.
QUALI SONO I SINTOMI?

Il dolore durante il movimento è il sintomo predominante, se la guaina accumula liquido appare anche gonfiore, fino ad avere l'impossibilità a compiere il movimento.

QUALI SONO LE FORME PIU' COMUNI DI TENDINITE E TENOSINOVITE?

Le sedi più colpite sono la capsula articolare della spalla, il flessore radiale ed ulnare del carpo, il flessore delle dita, il tendine dell'abduttore lungo ed estensore breve del pollice (De Quervain), il tendine d'Achille.
QUALI SONO I LAVORI PIU' RISCHIOSI PER LE TENDINITI MANO-POLSO

Gli studi epidemiologici hanno dimostrato un alto rischio nei lavoratori dell'industria manifatturiera e nella lavorazione delle carni, con relazione all'anzianità lavorativa, alla forza impiegata e alla ripetitività dei movimenti. La doccia dove scorrono i tendini dorsali della mano e del polso hanno dimensione ridotta e la pressione che si determina con l'attività ripetitiva può infiammare il tendine.

QUAL'E' LA CURA DELLA TENDINITE E TENOSINOVITE?

La completa risoluzione della patologia può richiedere anche molto tempo (1-2 mesi) e possono essere impiegate più terapie: riposo, immobilizzazione(docce di posizione, corsetti, splints), assunzione di prodotti naturali, infiltrazioni; fisioterapia e, più raramente, l'esplorazione chirurgica.
L'intervento prevede il taglio del legamento traverso del carpo (tetto del tunnel carpale), talvolta associato a una neurolisi. Può essere effettuato con tecnica tradizionale o endoscopica, in anestesia locale o brachiale, mediamente con convalescenza di circa venti giorni, un po' più breve se effettuato in via endoscopica, tuttavia non sembrano esserci criteri univoci per scegliere l'uno o l'altro tipo di intervento. La convalescenza è solitamente compresa fra le 2 e le 4 settimane.
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CHE COSA SONO I DISTURBI RESPIRATORI?

Gli ultimi decenni hanno visto l'esplosione, quasi epidemica, di disturbi e malattie delle vie respiratorie che oggi colpiscono una percentuale significativa della popolazione dei paesi industrializzati, in particolare giovani e bambini. Tale aumento è andato di pari passo con la "sensibilizzazione" di parte della popolazione a sostanze chimiche contenute nell'ambiente in cui viviamo. Sensibilizzazione significa che il sistema immunitario di un soggetto diventa ipersensibile al contatto con queste sostanze generando una risposta eccessiva. Poiché molte di queste sostanze entrano in contatto con il nostro organismo attraverso l'aria che respiriamo, queste risposte finiscono con il generare disturbi nelle vie respiratorie: è il caso dell'asma e delle bronchiti allergiche. In questo caso si tratta di una specie di reazione abnorme ed esagerata verso stimoli che ,fino ad allora, sono stati trattati, dal nostro corpo, con noncuranza. Il risultato è letteralmente un'esplosione di sintomi, che manifestano una totale intolleranza verso determinate sostanze o agenti. Un' esplosione di starnuti fino a togliere il fiato, una tosse continua ed insistente, un senso di soffocamento e mancanza d'aria ... sono fondamentalmente tutte manifestazioni di un sistema immunitario, che all'improvviso, scatena le sue difese, in maniera eccessiva, contro uno stimolo sostanzialmente inoffensivo. Un po' come se la nostra aviazione, dopo una serie di allarmi a vuoto, decidesse di lanciare tutte le sue armi contro un palloncino che un bambino ha inavvertitamente lasciato salire al cielo .. .In altri casi il nostro organismo finisce con lo sviluppare una reazione più moderata ma più prolungata che finisce con il determinare uno stato di continua infiammazione dei tessuti delle vie respiratorie: in questo caso tosse e catarro finiscono con il pregiudicare una sana e naturale respirazione. Ecco allora verificarsi, nella stessa stagione,continui episodi di bronchite e infiammazione delle vie respiratorie. È indubbio che i disturbi respiratori stiano aumentando nel mondo moderno:Una persona su quattro, al giorno d'oggi, è affetto da un qualche tipo dil disturbo, che gli impedisce di avere una sana e naturale respirazione.
La respirazione è alla base del nostro benessere: attraverso questa funzione regoliamo l'apporto di ossigeno ai tessuti ed il loro grado di vitalità., Un bambino su cinque, nelle città industriali del nord Italia soffre dil disturbi respiratori ricorrenti, spesso con una componente allergica.


PERCHÈ I DISTURBI RESPIRATORI SONO IN AUMENTO?

È ovvio che, davanti a questi dati non è possibile ignorare il fatto che il nostro stile di vita di fatto sta portando il nostro sistema immunitario ad una situazione di collasso. L'inquinamento ambientale infatti porta un numero sempre maggiore di sostanze chimiche a contatto con il nostro organismo. Il tempo passato in luoghi chiusi (casa, uffici, scuole, bar, etc.) ci porta in contatto sempre più stretto con polveri e microrganismi che proliferano grazie a riscaldamento, umidità e condizionatori d'aria. I nostri alimenti sono sempre più ricchi di sostanze chimiche artificiali (coloranti, edulcoranti, conservanti, farmaci e ormoni) che il nostro organismo riconosce come estranee e verso cui produce reazioni. Ma sono soprattutto le sottili polveri inquinanti presenti nell'aria delle strade cittadine che hanno un'azione sensibilizzante e infiammatoria sui tessuti del nostro sistema respiratorio. In Germania è stato notato come l'incidenza delle allergie sia più frequente in chi vive a 100 m. dalle strade più trafficate (Davies l 999).Tutto ciò porta il nostro corpo a vivere in un ambiente innaturale, tra sostanze chimiche estranee che provocano una continua attivazione delle nostre difese. Il risultato è uno stato di iperattività del nostro sistema immunitario o dal lato opposto un suo totale esaurimento.

CAUSE DI ASMA E RINITE ALLERGICA
Acari
Sono la causa più frequente di asma bronchiale

Sono i principali responsabili della rinite allergica:

la loro quantità nell' aria è destinata ad aumentare in Pollini
ragione della trasformazione di pascoli e coltivazioni

in terreni abbandonati e dei cambiamenti climatici
che prolungano la loro stagione.
Animali domestici
La metà dei bambini è oggi sensibili ai peli o alla

forfora di cani e gatti

Sono soprattutto le betullaceae, come betulle,
Alberi
nocciolo e ontano, e le oleaceae, come l'olivo, a
provocare rinite allergica

Mentre le muffe provocano soprattutto raffreddore
Spore dei funghi
da fieno, le spore del genere Aspergillus e Alternaria provocano attacchi d'asma anche gravi

La sensibilizzazione del nostro organismo a
Alimenti
determinati alimenti è probabilmente alla base

di numerosi disturbi allergici
Nel primo caso, quando le nostre difese immunitarie entrano in contatto con sostanze naturali, che dal punto di vista chimico risultano estremamente complesse, le riconoscono come potenziali minacce per la nostra sopravvivenza e scatenano contro di esse una risposta inappropriata: l'asma allergico se interessa il sistema polmonare o la rinite allergica se a localizzazione più limitata. Nel secondo caso, invece il nostro sistema immunitario risulta depresso e finisce con l'accettare la continua presenza di agenti irritanti (microrganismi) nelle nostre vie respiratorie: è il quadro classico delle bronchiti ricorrenti. Alla base di qualsiasi reazione allergica c'è una "iperfunzione" del nostro sistema immunitario. Il nostro sistema immunitario, nei soggetti allergici produce troppe immunoglobuline-E (IgE), un tipo di anticorpi, che si legano a particolari cellule chiamate "mastociti". Una volta fissatosi sulla loro superficie, appena entrano in contatto con le sostanze che provocano 1'allergia ("allergene") inducono la liberazione di alcune sostanze, come istamina e leukotrieni, contenute in queste cellule. L'istamina induce una potente azione di dilatazione dei nostri vasi sanguigni (è il motivo per cui, nei soggetti allergici, una puntura di vespa induce un vero e proprio shock allergico che può arrivare alla morte) ed una forte costrizione della muscolatura delle vie bronchiali, responsabile del senso di mancanza d'aria del1' asma. I leukotrieni invece provocano la proliferazione di un tipo di globuli bianchi, gli eosinofili, responsabili dello stato di infiammazione e del relativo edema dei tessuti nel naso e nelle vie respiratorie superiori

Bronchiti ricorrenti

Anche quest' anno con 1'apertura della scuola per molte mamme inizia un periodo di intense preoccupazioni per la salute del proprio bambino. Un mal di gola, seguito da un altro, una tosse stizzosa che non smette mai completamente, quel catarro che va e viene. Sono i sintomi tipici della cosiddette bronchiti ricorrenti. Un disturbo, o meglio una serie di disturbi, che nelle città del nord Italia colpiscono oramai il 25% della popolazione in età scolare. Si tratta di disturbi imputabili a una concomitanza di cause: una certa diminuzione delle difese immunitarie, l'aumento negli ambienti pubblici del numero di microrganismi resistenti, un sistema di vita che ci costringe a passare, con i nostri figli, sempre più ore in ambienti chiusi. Non che tali disturbi colpiscono solamente i bambini: ne soffrono giovani e adulti, anche se spesso in questi casi le cause sono più evidenti (fumo di sigarette o lavoro in ambienti poco areati, ect.).

Quando l'accumulo di catarro chiude completamente le vie nasali subentrano frequenti mal di testa, respiro a bocca aperta con conseguente secchezza della lingua e disturbi del sonno.

Conse uenze dei disturbi res iratori ricorrenti
Il 40% delle persone colpite da disturbi respiratori, allergici e non, si sente più irritabile sul lavoro e avverte una mancanza di concentrazione;
I disturbi respiratori sono una delle cause più importanti di assenze sul lavoro; I I disturbi respiratori ricorrenti limitano la vita all'aria aperta e la nostra: capacità di vivere a contatto con la natura;
A scuola i bambini con disturbi respiratori ricorrenti hanno risultati meno brillanti;

Ma perché questi sintomi sono cosÌ in aumento? Oltre ai fattori menzionati precedentemente un fattore sicuramente importante è rappresentato dai cambiamenti climatici. Il riscaldamento progressivo del pianeta ha aumentato nelle aree temperate un clima più umido,soprattutto nelle stagioni intermedie. In questi periodi dell' anno i microrganismi proliferano più facilmente. Spesso trovandoci completamente impreparati. È in questo senso che può essere utile imparare da quei popoli che da millenni hanno imparato ha convivere con climi, come quello monsonico, particolarmente adatti al proliferare delle malattie respiratorie.

Obiettivi che ogni persona affetta da disturbi respiratori dovrebbe
raggiungere

liberarsi dalle limitazioni alla loro attività causate dai disturbi respiratori.

ridurre il più possibile l'intensità dei sintomi
gli effetti collaterali delle terapie non dovrebbero comportare ulteriori limiti alle normali attività
qualsiasi schema terapeutico adottato non dovrebbe comportare limiti I alla guida
le modalità del trattamento dovrebbero essere facili da eseguire
non dovrebbe esserci interazione con i farmaci normalmente impiegati dal paziente

Asma bronchiale

L'asma bronchiale è in assoluto la malattia cronica che sta aumentando in maniera maggiore nei Paesi industrializzati. Gli studi sui bambini in età scolare hanno dimostrato che il numero di persone che soffrono di asma è aumentato del 400% negli ultimi lO anni. Ma soprattutto l'asma è un grave disturbo, che oltre a rendere impossibile una vita normale, può costituire un importante fattore di rischio per numerose malattie. La principale causa di asma, soprattutto nei bambini, è costituita dalle allergie. La parola asma deriva anch'essa dal greco dove significava letteralmente "respiro affannoso". L'asma è infatti caratterizzata da tosse, ansimo e affanno. I sintomi derivano principalmente da un'infiammazione dei tessuti delle vie respiratorie, in conseguenza della liberazione di mediatori chimici come i leukotrieni, e da una contrazione della muscolatura che riveste i nostri bronchi, dovuta alla liberazione di istamina ..

In conseguenza di tale meccanismo abbiamo i classici segni di un attacco asmatico che sono:

mancanza di respiro: difficoltà a respirare, senso di costrizione al petto, fame d'aria (il soggetto letteralmente boccheggia, alla ricerca di ossigeno). Questi segni possono variare enormemente: un giorno ci si sente relativamente bene, un altro si avverte una difficoltà a svolgere le più elementari attività. Spesso gli attacchi sono scatenati da uno sforzo,dal contatto con un animale, dall' esposizione ad un agente inquinante come fumo o polveri o da situazioni emotive particolarmente stressanti.

ansimo: è il classico fischio del respiro asmatico, dovuta al passaggio forzato dell' aria attraverso vie aeree gonfie e parzialmente ostruite.

tosse: la tosse notturna è un tipico sintomo dell' asma; spesso predomina quando 1'asma è dovuta ad altra cause come infezioni delle vie aeree o agenti irritanti. Soprattutto nei bambini può essere uno dei primi segni dell'esordire della malattia.
I disturbi asmatici peggiorano nettamente durante le ore notturne: il risultato è un sonno disturbato con conseguente stanchezza nelle ore diurne. La ragione risiede nei ritmi circadiani dell' organismo per cui la funzione polmonare è al minimo durante le ore notturne e la massimo in quelle pomeridiane, per la variazione dei livelli di adrenalina, che circolano nel sangue (l' adrenalina è un potente agente broncodilatatore che antagonizza l'azione dell'istamina: rilassa la muscolatura delle vie bronchiali mantenendole pervie). Anche i corticosteroidi nel sangue, potenti sostanze antinfiammatorie del nostro organismo, si abbassano all'alba contribuendo all'instaurarsi di uno stato infiammatorio nei tessuti polmonari.

Rinite Allergica
Nota anche come Raffreddore da fieno perché inizia proprio in primavera nell'epoca del primo fieno. In realtà molte persone soffrono di rinite allergica anche in altri periodi dell' anno, spesso causate dalle polveri di caso, in particolare da minuscoli parassiti che albergano nelle nostre case. I sintomi i genere consistono in un naso che cola, starnuti a ripetizione, prurito al naso spesso associati a rossore e prurito agli occhi con continua lacrimazione. Oramai il 18% dei bambini tra i 9 e gli 11 anni ne soffrono, con un'incidenza leggermente superiore nei maschi che nelle femmine.

Che fare?

Questo è il vero problema di ogni persona che soffre di asma bronchiale. Al momento infatti non esistono medicine che curino l'asma .
Tutte le terapie si basano essenzialmente sulla riduzione dell' esposizione alle sostanze allergizzanti e sull'impiego di farmaci sintomatici tesi a ridurre la broncocostrizione (broncodilatatori) o lo stato di infiammazione dei tessuti (cortisonici).

Obiettivi della terapia nell'asma bronchiale

Poter svolgere una vita attiva .
Mantenere una normale funzionalità polmonare .
Poter svolgere attività all'aria aperta o di tipo sportivo.
Evitare la perdita di efficienza nello studio e nel lavoro.
Godere di un sonno naturale e riposante.

Poiché spesso tali obiettivi raramente vengono raggiunti con la semplice terapia farmacologica è naturale che molti soggetti asmatici si rivolgano alle terapie non convenzionali, impiegando spesso prepararti a base di piante medicinali nel tentativo di migliorare la qualità della loro vita.

Iridologo bioterapeuta Renato Ventura
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SINUSITE

La sinusite è un’infiammazione acuta o cronica, accompagnata o meno da un processo infettivo della mucosa che riveste i seni paranasali, cavità scavate all’interno delle ossa del cranio.
I seni paranasali sono quattro e prendono il loro nome dall’osso in cui si trovano: sfenoidale, etmoidale, frontale e mascellare, ciascuno dei quali è in comunicazione con le fosse nasali attraverso delle aperture dette osti che permettono il passaggio nel naso e nella gola del muco prodotto dalla mucosa che riveste i seni.
In caso di sinusite, la mucosa dei seni infiammati si gonfia e produce una eccessiva quantità di muco. Il rigonfiamento della mucosa determina un restringimento degli osti che ostacola il normale drenaggio del muco verso le cavità del naso e della bocca.
Il muco che ristagna in grande quantità all’interno dei seni costituisce un terreno di coltura per batteri, virus o funghi che dal naso o dalla gola possono raggiungere i seni paranasali: in questi casi all’infiammazione si sovrappone l’infezione.
La sinusite può essere scatenata da un comune raffreddore o da qualunque altro fattore che determini l’infiammazione della mucosa; chi soffre di rinite allergica ha una più alta probabilità di sviluppare una sinusite cronica.
In rari casi la sinusite può essere la conseguenza della presenza di polipi nasali (piccole escrescenze della mucosa nasale e/o dei seni paranasali), di deviazione del setto o di un’infezione dell’arcata dentaria superiore. Nei soggetti in condizioni di immunodeficienza (cioè con difese immunitarie indebolite), così come nelle forme croniche, è più frequente che sia un fungo a causare la malattia.

problemi gastrici

Disturbi della masticazione e della deglutizione

I disturbi della masticazione sono per lo più correlati alla presenza di debolezza dei muscoli facciali e di malocclusioni; la disfagia (difficoltà a deglutire) è dovuta invece a incoordinazione dei muscoli faringei ed è molto comune nelle malattie neuromuscolari in genere, anche acquisite (ad esempio polimiositi, miastenia grave, sclerosi laterale amiotrofica), mentre appare più raramente nelle distrofie muscolari progressive.
Le miopatie che tipicamente presentano questi disturbi sono la distrofia miotonica, la distrofia oculofaringea, le mitocondriopatie, la DMP tipo facio-scapolo-omerale, alcune miopatie congenite.
I sintomi:debolezza a masticare; difficoltà a deglutire (disfagia); se grave, attenzione al rischio di polmoniti ab ingestis.
Il trattamento controllo tipo di dieta, con cibo di consistenza adeguata, semisolida, cremosa o liquida, a seconda del tipo e dell’entità del disturbo; trattamento riabilitativo, cioè apprendimento di manovre giuste per ovviare ai deficit di deglutizione, soprattutto per ridurre il rischio di aspirare in trachea frammenti di cibo. Questo tipo di riabilitazione è di competenza foniatrica; nei casi con grave disfunzione, è necessario ricorrere a un sondino nasogastrico (SNG).
Quando l’alimentazione per via orale è permanentemente compromessa, si può eseguire la gastrectomia percutanea (PEG).

Disturbi esofagei

I disturbi esofagei comprendono le alterazioni della contrazione della parete (discinesia) e il reflusso gastroesofageo. Quest’ultimo è caratterizzato dal ritorno del contenuto gastrico dallo stomaco all’esofago, a causa della debolezza del cardias, un anello muscolare che funziona da valvola tra esofago e stomaco. La conseguente irritazione locale della mucosa, causata dai succhi gastrici molto acidi, determina infiammazione, con iperemia e anche ulcere vere e proprie. Questi ultimi fenomeni sono più comuni nelle distrofie miotoniche e nelle collagenopatie, ma si osservano anche nelle distrofie muscolari in genere, in particolare nei bambini.
I sintomi:nausea; vomito; sensazione di bruciore gastrico (soprattutto notturno e in certe posizioni); rigurgito; alitosi eruttazioni.
Il trattamento:antiacidi per tamponare il pH (il grado di acidità) dei succhi gastrici; procinetici per regolare la motilità dell’esofago.

Disturbi gastrici

I principali disturbi a carico dello stomaco sono l’ipocinesia (riduzione della motilità), l’ipotonia (debolezza della parete) e la sovradistensione o dilatazione. Quando il contenuto di cibo e succhi gastrici ristagna nello stomaco, la sensazione di distensione gastrica peggiora progressivamente, con conseguente irritazione della mucosa (iperemia), che può arrivare fino all’ulcera. Essi sono particolarmente frequenti nelle distrofie muscolari progressive, nelle mitocondriopatie e nella distrofia miotonica. La dilatazione da ristagno è ulteriormente complicata nei pazienti sottoposti a ventilazione assistita non invasiva, anche notturna, che spinge l’aria contemporaneamente nelle vie aeree e nell’esofago.
La dilatazione gastrica acuta è invece un evento più importante, che compare soprattutto nelle distrofie muscolari progressive: l’improvvisa o comunque eccessiva dilatazione della sacca gastrica può compromettere la respirazione, poiché lo stomaco dilatato spinge il diaframma verso l’alto e limita l’espansione dei polmoni. In caso di grave dispnea, è utile valutare la situazione gastrica, poiché la crisi respiratoria può essere superata ponendo semplicemente un sondino nasogastrico ed effettuando manovre di svuotamento meccanico senza dover ricorrere a pratiche più invasive.
Nei casi di dilatazione gastrica cronica, quando cioè lo stomaco raggiunge dimensioni stabilmente aumentate, si deve valutare il posizionamento del sondino transcutaneo (PEG).
Sintomi:nausea; vomito; lento svuotamento con sensazione di peso gastrico; eruttazioni.
Il trattamento:pasti piccoli e frequenti; manovre per favorire la fuoriuscita dell’aria, come il cambiamento di posizione in questo caso si consigliun ciclo di massaggi olistici (non massaggi estetici) per rialssare i muscoli, antiacidi; H2-inibitori o inibitori di pompa ionica; procinetici (ad esempio domperidone, eritrocina).

Disturbi intestinali cronici

La difficoltà ad evacuare regolarmente è presente nella maggior parte delle affezioni neurologiche e in tutte le persone con riduzione della motilità attiva in genere, e in particolare in chi ha rallentamento del transito intestinale. In questi casi di gravità “minore”, le misure correttive riguardano soprattutto le abitudini alimentari e l’assunzione di lubrificanti e blandi lassativi.
Un quadro clinico più serio è quello della sindrome da pseudo-ostruzione intestinale cronica, tipica di alcune distrofie muscolari progressive, soprattutto delle distrofinopatie e delle mitocondriopatie. Questo problema è verosimilmente dovuto ad una primitiva deficienza della contrazione del muscolo liscio intestinale, anche per difetto della sua innervazione, con mancata progressione del cibo che ristagna fino ad arrivare all’occlusione intestinale. In caso di blocco completo della peristalsi, è necessario procedere ad un intervento chirurgico e ricorrere a un’alimentazione solo per via endovenosa (nutrizione parenterale).
Sintomi:stipsi; dilatazione intestinale; crisi di intenso dolore di tipo colico che di solito si risolvono spontaneamente ma ricorrono spesso, debilitando il paziente; alvo alternante (stipsi e diarrea alternate).
Trattamento: Misure preventive:dieta povera di scorie e ricca di liquidi; drenanti, cicli di antibiotici per regolare la flora intestinale (la distensione è causata dall’eccessiva produzione di gas da parte della flora intestinale stessa, in cui si selezionano ceppi di batteri ad alta fermentazione che vanno eliminati).
fitoterapeuta Bioterapeuta Iridologo
Renato Ventura
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ALOPECIA

L’Alopecia Areata, è caratterizzata dalla comparsa più o meno repentina di una o più chiazze prive di peli sul cuoio capelluto e/o sulla barba, ascelle, pube, arti. La malattia è estremamente diffusa, ad esempio circa la metà dei maschi nel corso della vita è interessato da chiazze di alopecia sulla barba. Nella metà dei casi la malattia inizia prima della maturità e la sua evoluzione è capricciosa, potendo essere autorisolvente o aggravarsi con chiazze espansive e confluenti su tutto il cuoio capelluto (Alopecia Totale) o su tutto l’ambito cutaneo (Alopecia Universale). La cute delle chiazze si presenta pallida o lievemente rosata, qualche volta con una lieve desquamazione furfuracea nelle forme più attive, nelle quali è anche frequente il riscontro ai margini delle chiazze di capelli corti, spezzati, rastremati verso il basso e con un bulbetto bianco atrofico (i capelli "a punto esclamativo" -!-). La guarigione può essere spontanea nel giro di qualche mese, con ricrescita di peluria chiara che viene progressivamente rimpiazzata con peli più spessi che però possono anche rimanere permanentemente bianchi. Nelle forme più serie è frequente trovare anche alterazioni delle unghie, che diventano fragili, fessurate, macchiate, deformate, con depressioni puntiformi "a ditale" o ispessite e giallastre.
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VITILIGINE

La vitiligine è un'affezione a progressione graduale. Nel 10-20% dei pazienti si può avere ripigmentazione spontanea, più frequente nelle zone fotoesposte e nei soggetti più giovani. La ripigmentazione è legata soprattutto alla migrazione dei melanociti dei follicoli piliferi. Ciò spiega gli scarsi risultati che si ottengono con i vari trattamenti nelle sedi prive di peli (polsi, piante, palmi, punta delle dita) o con soli peli bianchi. I melanociti si dividono molto lentamente e pertanto la ripigmentazione è piuttosto lenta.

La vitiligine è una malattia caratterizzata dalla formazione di chiazze bianche in particolar modo al volto, ai genitali e alle mani anche se può coinvolgere tutto l'ambito cutaneo. L'origine di questo disturbo è probabilmente imputabile ad un difetto genetico coinvolgente anche il sistema immunitario (come dimostrato dall'associazione di disturbi autoimmuni coinvolgenti altri organi) sul quale possono interagire numerose concause esterne più o meno conosciute (quali stress psicofisico, traumi fisici, ustioni, terapie farmacologiche, malattie virali etc.) che modulano in senso positivo o negativo l'andamento della dermatosi. La malattia infatti è il risultato di una azione patogena non ben identificata sui melanociti, le cellule responsabili della colorazione della cute, che ne determina la scomparsa e la formazione di una zona priva di pigmento melaninico che quindi appare bianca.
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VARICELLA

La varicella è una malattia infettiva causata dal virus Varicella-Zoster che colpisce prevalentemente i bambini prima dei dieci anni e si manifesta in epidemie periodiche ogni quattro anni circa. Estremamente contagiosa, si diffonde con il contatto con le secrezioni di naso e gola (basta per un semplice starnuto) e si manifesta dopo un periodo d'incubazione variabile, dai 10 ai 21 giorni. Il sintomo più evidente è l'eruzione cutanea di bolle rosse (papule) che evolvono in vescicole gonfie di liquido altamente contagioso. Partendo dal viso e dal tronco, si diffondono su tutto il corpo con notevole fastidio a causa del prurito che comportano. L'ultima fase dell'eruzione cutanea vede la trasformazione delle vescicole in croste che perdono la carica infettiva e cadono dopo una o due settimane.
Dopo uno o due giorni dall'inizio dell'eruzione cutanea si manifestano i sintomi secondari: febbre, tosse, stanchezza, astenia, mal di testa.
La cura è generalmente solo sintomatica (antipiretici), in quanto gli antivirali hanno effetto solamente se assunti nelle prime 24 ore dalla comparsa dell'eruzione cutanea, circostanza difficilmente attuabile perché spesso i primi sintomi vengono trascurati o ignorati. Le principali complicanze della varicella sono le infezioni (specie ai polmoni), encefalite e, nel caso di donne in gravidanza, il possibile contagio del feto: il bimbo appena nato manifesterà la malattia nei primi giorni di vita, quando è più esposto alle infezioni. Per lo stesso motivo, la varicella è particolarmente insidiosa se colpisce i neonati con età inferiore a un anno o gli adulti immunodepressi, più a rischio delle complicanze. Inoltre, nel caso di donne in gravidanza, la varicella contratta dalla tredicesima alla ventesima settimana può causare malformazioni al feto e, se si manifesta entro due-cinque giorni dal parto, può anche causare la morte del neonato. Dal 1995 esiste il vaccino, utilizzato al momento solo negli Stati Uniti per una politica di prevenzione su larga scala.
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ROSOLIA

La rosolia (o rubeola) è una malattia infettiva causata da un rubivirus della famiglia Togaviridae, più comune nell'età infantile. Il contagio è diretto, tramite le goccioline di saliva disperse nell'aria e la sua incubazione dura da 2 a 3 settimane, mentre il periodo infettivo va da alcuni gironi prima a una settimana dopo la comparsa dell'esantema. I sintomi sono un'eruzione cutanea analoga a quella di morbillo o scarlattina, febbre, dolori articolari, arrossamento della faringe. L'esantema compare prima al volto e al padiglione auricolare, quindi si diffonde agli arti e al tronco, per scomparire nell'arco di un paio di giorni. A volte compare anche una tumefazione a livello dei linfonodi. In alcuni casi i sintomi non compaiono affatto. Nei bambini non ha generalmente complicazioni e lascia un'immunità permanente, mentre è molto pericolosa per le donne in gravidanza; può infatti provocare danni gravi all'embrione: malformazioni agli occhi, agli orecchi, al cuore, deficit mentale. Negli adulti il rischio di encefaliti è più elevato che nei bambini. La terapia è solo sintomatica e consiste nella somministrazione di antipiretici e nel riposo a letto. Nel caso di complicazioni di origine batterica (otiti, broncopolmoniti) si interviene con antibiotici. La malattia va denunciata alle autorità sanitarie. La profilassi consiste nella vaccinazione antirosolia (con virus vivo attenuato), che non è obbligatoria ma è raccomandata, in particolare alle giovani non immunizzate dopo la pubertà.
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PERTOSSE

La pertosse (o tosse canina) è una malattia di origine batterica, causata da Bordetella pertussis, ma anche da Haemophilus parapertussis e Bordetella bronchiseptica. Per questo motivo, ci si può anche ammalare più di una volta. È una malattia tipica dell'età scolare, anche perché è estremamente contagiosa: un bambino con pertosse può contagiare fino al 90% dei bambini non immuni con cui viene a contatto nel periodo infettivo. La trasmissione avviene per via aerea, con la tosse e gli starnuti. Dopo una fase di incubazione di 6-20 giorni, la sintomatologia inizialmente presenta raucedine e produzione di catarro denso per circa due settimane, seguite poi da tosse convulsa e prolungata che rende difficile la respirazione e l'alimentazione, per due o tre settimane. Gli accessi di tosse sono seguiti da un tipico “urlo inspiratorio” (il cosiddetto urlo asinino), seguito dall'espulsione di catarro e a volte da conati di vomito. Nel lattante la pertosse può manifestarsi in maniera variabile (asfittica, sincopale, soffocante), con gravi difficoltà respiratorie e si può arrivare all'arresto cardiaco e respiratorio. In questo caso è necessario ricorrere al ricovero in ospedale. Le complicanze polmonari e cerebrali possono anche provocare un esito fatale, soprattutto nei primi sei mesi di vita (circa 50 ogni 10.000 casi).
Se si interviene per tempo con una terapia antibiotica (eritromicina, azitromicina, claritromicina), la malattia ha un decorso breve e privo di complicanze; inoltre la fase accessionale può anche non comparire. Eventuali complicazioni polmonari vanno trattate con antibiotici adeguati, mentre gli accessi di vomito verranno affrontati con antiemetici e un'alimentazione semisolida. Nel caso di episodi convulsivi, apnea o asfissia bisogna ricorrere all'ospedalizzazione. Tosse e broncospasmo sono affrontati con farmaci antitussigeni. Si utilizzano anche espettoranti, mucolitici, sedativi e betastimolanti, ma l'opportunità di ricorrere a questi farmaci è controversa. Il vero rimedio è la vaccinazione antipertosse (solitamente associata ad antidifterica e antitetanica). La graduale diffusione della vaccinazione (la percentuale in Italia varia da regione a regione, dal 70% al 97%) ha portato a una costante diminuzione della malattia: mentre all'inizio degli anni Novanta si contavano ancora 13.000 casi all'anno, attualmente il numero si attesta su qualche migliaio. Dovrebbero essere vaccinati i bambini di età inferiore ai sette anni, mentre oltre quell'età la vaccinazione è sconsigliata. Negli adulti e negli adolescenti i vaccini attuali provocano effetti collaterali molto frequenti. La protezione conferita dalla vaccinazione raggiunge l'85%; in ogni caso nei soggetti vaccinati la malattia si ripresenta in forma più lieve.
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PAROTITE

La parotite è una malattia infettiva (popolarmente detta orecchioni) molto contagiosa causata da un virus della famiglia dei paramyxovirus. Il contagio interessa generalmente i bambini e gli adolescenti (dai cinque ai quindici anni), ma non è rara l'infezione degli adulti che non hanno avuto la malattia in passato (l'immunità, una volta contratta la malattia, è permanente).
Il virus si propaga nelle gocce di secrezione nasali, mediante gli starnuti e la tosse. L'infezione colpisce le ghiandole salivari, più precisamente le parotidi; esse hanno una forma acinosa e l'aspetto lobato, presentano abbondante infiltrazione adiposa, pesano circa 30 g e si trovano all'esterno del massetere. Le parotidi versano nella bocca la saliva tramite il dotto di Stenone, che emerge nel vestibolo della cavità orale, in corrispondenza del secondo molare superiore. Sono ghiandole attraversate dall'arteria carotide esterna, dai nervi facciale e auricolo temporale. L'infezione provoca il loro ingrossamento e uno spiccato dolore, accompagnati da altri sintomi generici come febbre, tosse, cefalea e vomito. Il periodo d'incubazione varia molto, da un minimo di 5 a un massimo di 35 giorni. La cura è essenzialmente sintomatica, per la riduzione dei sintomi secondari (antipiretici, analgesici e impacchi caldo umidi sulle ghiandole ingrossate), ma prevede anche la somministrazione di immunoglobuline, benché tale misura di profilassi risulti non sempre molto efficace. Esiste inoltre un vaccino triplo antimorbillo-antirosolia-antiparotite (MRPa), somministrato tra il 18° mese e i 6 anni.
Le complicazioni possono essere molto gravi, specie se la parotite colpisce un adulto: la più frequente (un caso su 200) è la meningite parotitica, seguita da altre infiammazioni che colpiscono vari organi, come il pancreas (pancreatite), le ovaie (ooforite) e i testicoli (orchite). Quest'ultima, in rari casi, può portare alla sterilità permanente. Esistono anche gravi complicanze, per fortuna molto rare, che interessano il cervello (meningoencefalite) e il nervo uditivo, con conseguente sordità.
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MORBILLO

Il morbillo è una delle malattie infantili più comuni in quanto colpisce prevalentemente bambini a partire dal terzo anno d'età. Secondo uno studio dell'Organizzazione Mondiale della Sanità, nel 1998 ci sono stati circa 30 milioni di casi di morbillo nel mondo e nei paesi sottosviluppati le complicanze dell'infezione portano ancora alla morte.
La malattia è provocata da un virus, si trasmette per inalazione di gocce di secrezione nasale infette e ha un periodo d'incubazione di 10-15 giorni. I sintomi iniziali sono febbre, vomito, cefalea e infiammazioni delle prime vie respiratorie (tracheite, faringite, laringite). Il sintomo più caratteristico è l'eruzione cutanea (esantema) di macchie di colore acceso, dal bordo sfrangiato, che compaiono a partire dal volto e si diffondono a tutto il corpo. L'esantema dura di regola una settimana, mentre la febbre regredisce in pochi giorni.
La cura è sintomatica e si avvale di antipiretici, farmaci contro la tosse e sciroppi balsamici. Le principali complicanze sono l'otite (2,5% dei casi), la broncopolmonite (4% dei casi) e l'encefalite acuta, una grave infiammazione del tessuto celebrale che si manifesta raramente (da 2 a 10 casi su 10.000) ma che può portare a danni permanenti al cervello o addirittura alla morte. La conseguenza più grave è però la panencefalite sclerosante, che compare generalmente dopo sette anni dal morbillo, e si manifesta con la degenerazione progressiva, ma irreversibile, del tessuto cerebrale che porta alla morte. La vaccinazione contro il morbillo è indicata dall'Organizzazione Mondiale della Sanità come la strategia migliore per sradicare completamente la malattia. Attualmente è disponibile un vaccino trivalente per morbillo, parotite e rosolia. La tesi secondo la quale esisterebbe un nesso di causalità tra casi di autismo insorti dopo la somministrazione del vaccino non è stata ancora provata, mentre altri studi britannici del 1999 hanno escluso la presenza di prove scientificamente certe di questo presunto effetto collaterale della vaccinazione.
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GLI OPPIACEI E LA CURA DEL MAL DI SCHIENA

L'analisi sistematica di una serie di ricerche suggerisce che gli antidolorifici oppiacei non presentano alcun vantaggio rispetto a farmaci della stessa tipologia basati su molecole diverse nel trattamento del mal di schiena cronico, mentre comportano un rischio elevato di assuefazione. Il mal di schiena è il secondo sintomo più diffuso riscontrato dai medici statunitensi. Quando altri trattamenti (esercizi fisici e antinfiammatori non steroidei) non risultano efficaci per controllare il dolore, i medici spesso passano alla prescrizione di antidolorifici oppiacei. Tuttavia non si conoscono con precisione la frequenza con cui vengono somministrati, la loro efficacia e la loro sicurezza. D.A. Fiellin (Yale University, Connecticut) e i suoi colleghi hanno analizzato i dati ricavati da 38 diversi studi sull'utilizzo degli oppiacei per la cura del mal di schiena. I tassi di prescrizione di questi farmaci in caso di mal di schiena variano moltissimo da ricerca a ricerca, passando dal 3% al 56%. I dati unificati dei vari studi non dimostrano un vantaggio significativo degli oppiacei per combattere il dolore nei confronti di farmaci non a base di oppiacei, ma neanche in confronto ai placebo. Un'analisi di dati ricavati da cinque diversi studi che confrontano l'efficacia relativa di diversi oppiacei mostrano solo una lieve diminuzione del dolore. Inoltre, un disordine nell'assunzione di queste sostanze si è presentato in una percentuale di casi che va dal 36% al 56%; percentuali diverse, ma significative, di pazienti hanno avuto problemi nel controllare l'assunzione di questo genere di farmaci. Secondo Fiellin, i risultati della ricerca dimostrano che i medici dovrebbero riconsiderare il trattamento del mal di schiena con farmaci oppiacei, prendendo in considerazione altri trattamenti con benefici analoghi e che non presentano problemi di assuefazione a lungo termine.
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CEFALEA
La visita oculistica è ritenuta a torto o a ragione una tappa fondamentale nell'inquadramento eziologico della cefalea. Eppure è esperienza comune a molti oftalmologi, che il riscontro di difetti refrattivi o di patologie oculari in questi soggetti è piuttosto raro. Anzi spesso allo specialista spetta il compito di confortare il paziente che vede delusa la speranza di avere scoperto finalmente la causa del suo mal di testa. Numerosi progressi sono stati fatti nell'ambito dell'eziopatogenesi, della classificazione e differenziazione clinica delle varie forme di cefalea, e, soprattutto, nel campo della terapia. Lungi dal voler entrare nel merito dell'argomento, per il quale rimando alla vastissima trattatistica nel campo, in questi anni sono state messe a punto per l'oculista, nella visita del cefalalgico, schede di raccolta dati, annotazioni ispettive e semplici manovre semeiologiche da effettuare a latere delle indagini strettamente oftalmologiche (biomicroscopia, tonometria ecc.) e neuroftalmologiche (analisi della pupilla e della testa del nervo ottico, esame della motilità oculare estrinseca e del campo visivo). Il protocollo è stato concepito per i pazienti di ogni età ed in questi anni ci ha aiutato ad inquadrare il problema di molti assistiti.
La cefalea non sempre è curabile, ma è sempre migliorabile, a questo proposito ecco una nota molto interessante sull’argomento.

a) Il medico deve discutere con il paziente della sua cefalea trattandola alla stregua di una malattia fisica; dichiarazioni come "la cefalea è, in modo del tutto analogo all'asma, al diabete o all'ipertensione arteriosa, una condizione medica di natura fisica" permettono al medico di ottenere la fiducia del paziente; quando ricordiamo che si tratta di una malattia essenzialmente ereditaria e che vi è poca serotonina nel cervello dei cefalalgici, i pazienti hanno una reazione positiva e diventano molto più disponibili a trattare la propria ansia, depressione, ecc. con la terapia o altri mezzi; se invece concentriamo l'attenzione sullo stress, l'ansia, la depressione e le comorbidità psicologiche del paziente, spesso si induce una reazione negativa a meno che non abbiamo chiarito che stiamo trattando la cefalea come una malattia medica a tutti gli effetti. Personalmente, ritengo che questa considerazione di Robbins valga soprattutto per gli emicranici, mentre non è infrequente che i soggetti con cefalea di tipo tensivo quando sentono dal medico che il proprio disturbo origina da una loro particolare e specifica modalità di risposta ad una situazione stressante che stanno vivendo, reagiscono favorevolmente perché trovano una conferma a quanto da loro già in parte sospettato e sono rassicurati dal timore di una possibile patologia organica.

b) Conviene considerare le cefalee croniche come un continuum o uno spettro; le cefalee "di mezzo" possono non essere inseribili decisamente nelle categorie dell'emicrania o della cefalea tensiva; se queste forme sono cefalee tensive gravi o emicranie leggere, spesso rispondono agli stessi farmaci.

c) L'accettazione della cefalea come malattia cronica è una presa d'atto vantaggiosa per il paziente; l'accettazione è differente dalla rassegnazione; l'accettazione aiuta ad attenuare l'ansia ("non c'è una cura; deve essere curabile").

d) Quando i pazienti capiscono di poter aiutare attivamente la propria cefalea ("auto-efficacia") con le medicine o il biofeedback o altri mezzi, ne deriva un miglioramento del loro senso di benessere. Non mi soffermo, per motivi di spazio ed anche perché non aggiungono molto a quanto già entra nella corrente buona pratica medica di chi si occupa di cefalee ed è ribadito in tutte le diverse Linee Guida esistenti, sulle "perle" di Robbins consistenti in suggerimenti su terapie specifiche. Mi sembra opportuno ricordare invece un atteggiamento medico nei confronti del paziente con cefalea cronica quotidiana che Robbins consiglia e sul quale concordo pienamente: i pazienti affetti da cefalea cronica quotidiana tendono a considerare la situazione di cefalea in termini di tutto-o-nulla; essi torneranno alla visita di controllo e diranno "continuo ad avere mal di testa tutti i giorni". E' necessario che essi accettino, se la cefalea di cui soffrono è passata da un'intensità di grado medio-severo (valore pari a 7 in una scala da 1 a 10) ad un'intensità di grado lieve-medio (valore pari a 4 in una scala da 1 a 10), di considerare la situazione migliorata ed il medico non dovrebbe cambiare tutte le medicine. Bisogna che questi pazienti imparino ad apprezzare una riduzione, anche del 50%, della frequenza e/o intensità della loro cefalea.
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Legionella pneumoniae
POLMONITE

La polmonite è una patologia infiammatoria del polmone (di solito acuta o subacuta), che nella maggior parte dei casi ha un'origine infettiva, benché possa essere provocata anche da agenti fisici (radiazioni) o chimici (acidi, alcali). L'agente infettivo può raggiungere il polmone per inalazione, per aspirazione nasofaringea e per alte vie. Anche un individuo sano può ammalarsi, ma nella maggior parte dei casi vi sono condizioni che favoriscono la patologia, soprattutto le carenze nei meccanismi di difesa dell'organismo (deficit nel riflesso della tosse, alterazioni del secreto bronchiale, immunodepressione, alterazione del rivestimento delle vie respiratorie). Inoltre, la polmonite può anche comparire in seguito a un'altra patologia, come il morbillo, l'influenza, la bronchite.
Le polmoniti di tipo infettivo possono essere suddivise in due categorie generali: quelle batteriche e quelle atipiche (queste ultime rappresentano attualmente circa la metà delle infezioni polmonari). Tra le polmoniti batteriche, quelle più diffuse sono provocate da Streptococcus pneumoniae (nell'adulto sano), Staphilococcus aureus, Klebsiella pneumoniae (con mortalità che può raggiungere anche il 30% dei casi), Pseudomonas aeruginosa (specialmente nei soggetti più deboli). Un caso particolare è rappresentato dalla cosiddetta malattia dei legionari (provocata da Legionella pneumoniae), che presenta caratteristiche intermedie fra le forme batteriche e quelle virali. Fra le forme atipiche, quella primaria è causata da Mycoplasma pneumoniae, ma sono stati identificati molti altri agenti infettivi (Adenovirus, Herpes virus, Ricketsia, Candida, Chlamydia pneumoniae ecc.).
L'infezione polmonare può riguardare un solo lobo del polmone (polmonite lobare) oppure più zone (broncopolmonite a focolai isolati o multipli). Nei casi più gravi può comparire insufficienza respiratoria con diminuzione della pressione dell'ossigeno nel sangue arterioso (ipossiemia) e versamento pleurico. I sintomi nelle forme batteriche sono anoressia, brividi, dolore al torace, febbre, malessere, tosse con espettorazione e difficoltà respiratoria. Nella malattia dei legionari compaiono spesso anche sintomi gastrointesinali. Nelle forme atipiche invece la sintomatologia è meno evidente, spesso rappresentata solo da tosse secca e stizzosa. Per la diagnosi si ricorre a una serie di esami: radiografia toracica, Tac del torace, emocromo completo, Ves, sierodiagnosi (per Legionella, Clamydia, Mycoplasma e Ricketsia), esame dell'espettorato, controllo ematochimico.
La terapia prevede l'utilizzo di farmaci antibiotici e antipiretici come i macrolidi, le cefalosporine, i derivati della penicillina. La terapia antibiotica va proseguita solitamente per un periodo di quindici-venti giorni.
Polmonite ab ingestis
La polmonite ab ingestis è una forma di polmonite provocata dall'aspirazione di cibo e succhi digestivi; il danno ai polmoni è causato dall'acidità di queste sostanze. La terapia consiste nell'aspirazione del materiale inalato e nella somministrazione di ossigeno e antibiotici, come la clindamicina e la cefalosporina, per combattere le infezioni batteriche.
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BRONCHITE

La bronchite cronica è una patologia delle vie aeree che si sviluppa progressivamente: in Italia si calcola che siano circa sette milioni gli affetti da tale malattia. Come dice il termine stesso, si tratta di un'infiammazione dei bronchi, ovvero l'ultimo tratto del canale respiratorio. I grossi bronchi (destro e sinistro) si biforcano dalla terminazione inferiore della trachea e penetrano nei polmoni ramificandosi nell'albero bronchiale. Il bronco è ricoperto da una mucosa, una sottomucosa e muscoli ed è sostenuto da archi cartilaginei. I grossi bronchi si ramificano in bronchi sempre più piccoli, di I, II, III e IV ordine; gli ultimi (bronchioli) sono ricoperti da un sottile strato epiteliale.
La bronchite cronica dapprima interessa i bronchi più alti dell'albero respiratorio, in seguito coinvolge anche quelli più piccoli e profondi, portando a una riduzione significativa della funzionalità polmonare: il venti per cento circa dei malati prova difficoltà a respirare anche stando seduto o sdraiato, mentre il 68% accusa una respirazione difficoltosa e insufficiente nei movimenti quotidiani. La bronchite si definisce cronica quando colpisce i soggetti per almeno tre mesi e per due anni consecutivi. I sintomi sono quelli classici di tutti i tipi di bronchiti: tosse, sputi mucosi, dispnea (sensazione di difficoltà a respirare), dolore toracico e produzione anomala di catarro, specialmente dopo il riposo notturno.
L'infiammazione, perdurando nel tempo, provoca un ispessimento della mucosa bronchiale, con conseguente riduzione della capacità polmonare. In questa fase i bronchi risultano più "stretti" e la funzionalità respiratoria si riduce: si raggiunge quindi uno stadio della malattia molto grave, detto bronchite cronica ostruttiva (o più precisamente broncopneumopatia cronica ostruttiva) con conseguente riduzione della qualità della vita.
Perdurando lo stato infiammatorio, la principale complicazione è l'enfisema, ovvero la creazione di sacche d'aria in corrispondenza degli alveoli con la perdita di elasticità del tessuto polmonare.
Le cause della bronchite cronica sono in primo luogo il fumo di sigaretta che esercita a livello bronchiale una forte funzione ossidativa, che favorisce il deterioramento del tessuto polmonare. La quasi totalità dei pazienti affetti da bronchite cronica ostruttiva, la forma più grave, è infatti costituita da fumatori. Il primo passo della terapia è quindi smettere di fumare, oltre all'uso di farmaci specifici a base di acetilcisteina in grado di rendere più fluido il catarro e facilitare l'espettorazione. Se la situazione polmonare non è compromessa irrimediabilmente, è possibile intraprendere un programma di riabilitazione respiratoria basato su alcuni semplici esercizi fisici di rieducazione.
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LE VERTIGINI LE CAUSE E LE CURE

Nell’evoluzione delle specie viventi nessuna conquista è paragonabile alla capacità dell’uomo di "stare in piedi", cioè di vivere ben eretto con la testa in alto e i piedi per terra in una sorta di vittoria continua sulla forza di gravità.

Dunque l’essere umano, rispetto, per esempio, agli animali, si "eleva", si "innalza", "sta eretto", grazie soprattutto al grande sviluppo avvenuto nel corso dei millenni del sistema nervoso e del cervello.

Si pensi allora in quale angoscia viva l’individuo che soffre di vertigini, sintomo, come vedremo, talvolta di altre malattie, connotate dalla sensazione di un mondo che improvvisamente "gira" intorno oppure dall’avvertire un equilibrio instancabile con una "strana forza" che sembra attirare il corpo verso il basso. "Manca la terra sotto i piedi", "è come perdere la capacità di sostenersi da soli", "sembra di non avere appoggi", "gira la testa" sono alcune delle descrizioni che vengono fatte dalle persone che accusano vertigini unite però dalla comune paura di cadere e di non essere più in grado di stare in piedi autonomamente.

In questo articolo spiegheremo che cosa è l’equilibrio, quali sono le cause delle vertigini, come si possono curare con la medicina "ufficiale" e quali rimedi della cosiddetta medicina "alternativa" possono rivelarsi efficaci e infine come, in molti casi, si possano superare le crisi acute vertiginose recuperando perfettamente la stabilità del corpo che sembrava perduta.

L’equilibrio del corpo

Terminazioni nervose muscolari e articolari, la vista, particolari nuclei nervosi della parte profonda del cervello, il cervelletto, sono tutti compartecipi del mantenimento dell’equilibrio del corpo. Il vero organo dell’equilibrio, però, è situato nell’orecchio interno (cioè nella profondità del cranio) ed è chiamato "labirinto membranoso". In questa struttura vi sono dei corpuscoli denominati "sacculo, utricolo e i canali semicircolari". I primi due sono sollecitati dai movimenti della testa nello spazio in avanti - indietro (accelerazioni lineari) e dalla forza di gravità, mentre i canali sono molto sensibili ai movimenti nelle altre direzioni (accelerazione angolare). Tutto ciò avviene perché dentro questa struttura un liquido di tipo linfatico ("endolinfa"), muovendosi appunto a seconda delle posizioni della testa, stimola particolari cellule nervose a loro volta collegate ai gruppi muscolari del collo, della schiena e delle gambe.

Ecco dunque perché se si volta la testa da una parte tutto il corpo la segue adeguandosi quasi istantaneamente alla situazione per mantenere da un lato un equilibrio "posturale" e dall’altro per facilitare i movimenti verso quella direzione. Le cellule labirintiche sono collegate poi anche a strutture nervose dette viscerali, cioè responsabili di alcune funzioni di organi come lo stomaco, l’intestino, i vasi sanguigni, collegamenti studiati e individuati proprio grazie all’osservazione di persone sofferenti di vertigini e di mal di mare. In quest’ultimo caso infatti i movimenti delle barche, sollecitando le cellule labirintiche, provocano in persone predisposte instabilità posturale e, appunto, nausea, sudorazione, vomito, diminuzione della pressione sanguigna, pallore.

Che cosa sono le vertigini

Si definisce vertigine una falsa sensazione di rotazione del proprio corpo (o della testa) oppure degli oggetti dell’ambiente circostante. E’ una sensazione illusoria spiacevole che provoca nausea, vomito, tachicardia e, a volte, diarrea. La causa è un disturbo del "senso di orientamento" per un’alterata funzione dell’apparato dell’equilibrio. In alcuni casi le vertigini fanno camminare le persone colpite, che procedono come gli ubriachi (cammino "atassico"), avvertono la sensazione di avere la testa confusa, deficit della vista momentanei, "formicolii agli arti" (parestesie), mal di testa. Talvolta poi insorgono stati emotivi di ansia - depressione purtroppo aggravanti a loro volta i sintomi vertiginosi oppure, in casi estremi, inducenti atteggiamenti di isolamento nella propria abitazione, o addirittura nel proprio letto, per la grande paura dello scatenarsi di nuove crisi.

Le cause

Occorre sottolineare che le vertigini sono un sintomo e non una malattia e quindi si riferiscono a una disfunzione dell’apparato dell’equilibrio (o di sistemi cerebrali a questo connessi) causata da vari fattori. Vediamone alcuni.

Colpo di frusta. Per colpo di frusta si intende una traumatica escursione della testa come avviene, per esempio, in un tamponamento automobilistico. In questo caso il corpo viene proiettato violentemente in avanti mentre la testa viene spinta bruscamente indietro e successivamente, durante la fase di decelerazione e arresto dell’auto, in avanti. Le lesioni che derivano da questo particolare tipo di incidente (causate anche da "scontri" sportivi, cadute o traumi diretti alla testa) sono di diversa natura e gravità: la muscolatura del collo, le vertebre e, raramente, i dischi tra loro interposti possono infatti subire stiramenti, schiacciamenti, spostamenti. Ebbene i sintomi conseguenti (a volte silenti anche per settimane o per mesi) sono dolori locali, mal di testa, formicolii alle mani o al viso e, appunto, vertigini spesso accompagnate da nausea o vomito. Talvolta queste si presentano subito dopo l’incidente o il trauma perché il violento spostamento della testa provoca l’altrettanto veloce movimento del liquido interno dell’apparato dell’equilibrio (endolinfa); oppure si verificano più tardivamente perché i muscoli del collo si induriscono via via (contratture) tanto da comprimere, senza occludere, particolari vasi sanguigni (arterie vertebrali) che "nutrono" di sangue l’organo dell’equilibrio.

Artrosi cervicale. E’ questo un lento processo degenerativo delle strutture ossee della colonna vertebrale (causato da scarsa attività fisica, traumi, scorrette posizioni lavorative) che si modificano nella forma e nella posizione tra loro dando molte volte dolore locale e limitazioni ai movimenti. In alcune persone sofferenti di artrosi cervicale può accadere che la malattia causi (come descritto nel colpo di frusta) una compressione delle arterie vertebrali ruotando (e anche flettendo) il capo verso destra o verso sinistra. Conseguenza di ciò è la comparsa, spesso improvvisa e tante volte al risveglio mattutino, di vertigine e nausea (sindrome di Neri - Barré - Lieou). Le vertigini in questi casi insorgono anche durante normali attività della vita quotidiana, come per esempio quando si fa retromarcia con l’automobile, e non raramente possono essere l’unico segno della presenza di un’artrosi cervicale (quindi assenza di dolore).

Malattia di Menière. Una non rara causa di vertigini è la malattia di Menière. Questa, per cause non ancora ben definite (forse di natura circolatoria locale o come esito di otiti trascurate), è caratterizzata da un aumento abnorme del liquido ("endolinfa") situato dentro le strutture del "labirinto membranoso" dell’orecchio interno. La malattia in una prima fase si presenta con lieve diminuzione dell’udito e senso di ripienezza auricolare; in una seconda fase la diminuzione dell’udito (ipoacusia) si fa più franca ed è accompagnata da fischi auricolari (acufeni) e crisi vertiginose. Infine, nella terza fase, peggiora ancora la ipoacusia e le vertigini via via diventano più violente, molto frequenti e accompagnate da improvvise cadute a terra della persona sofferente (senza però mai perdita di conoscenza).

Labirintiti. Una delle più note cause di vertigine è sicuramente la labirintite, processo infiammatorio batterico o virale del labirinto membranoso (organo principale dell’equilibrio). E’ questa una malattia che in genere deriva da altre malattie, come per esempio la difterite (per fortuna da tempo sotto controllo grazie alle vaccinazioni infantili) oppure le otiti (infezioni dell’orecchio connotate da febbre e forte dolore) e che si distingue in una forma acuta e in una cronica. La prima ha come sintomi una o più crisi vertiginose accompagnate da segni di infezione come febbre, dolore auricolare e seria diminuzione dell’udito. La seconda è caratterizzata invece da numerose piccole crisi vertiginose con diminuzione dell’udito lentamente progressiva e scarsi segni infiammatori.

Intossicazioni. Non tutti sanno che è possibile soffrire di improvvise vertigini in seguito a intossicazioni. Accade infatti che in persone predisposte dopo un pasto copioso di frutti di mare, crostacei, oppure dopo assunzione di farmaci come il piramidone, l’acido acetilsalicilico e altri, possa insorgere una forte crisi vertiginosa senza diminuzione dell’udito (sindrome di Arslan) in cui si è incapaci di alzarsi o addirittura di muoversi nel letto.

Sindromi menieriformi. Esposizioni al freddo o al caldo intensi, stress, strapazzi fisici, tensioni psicologiche, stati ansiosi, pressione arteriosa bassa sono tutte cause non rare di vertigine. In questi casi gli "attacchi" possono essere lievi, transitori, oppure anche di una certa serietà fino ad assomigliare alla sindrome di Menière (da qui "sindromi manieriformi") senza però le caratteristiche fasi e la grave sordità conseguente. Attualmente non è ancora possibile stabilire con chiarezza quali sono le cause di queste sindromi e le ricerche sono tuttora orientate a dimostrare possibili disturbi del "microcircolo" sanguigno, irrorante la zona del labirinto membranoso, in persone con particolari predisposizioni (forse genetiche) alle vertigini.

La diagnosi del medico

Il "medico di famiglia" (termine sostitutivo di "medico della mutua") è la persona cui occorre sempre rivolgersi ai primi sintomi di vertigine perché molte volte le cause sono tempestivamente identificabili e così la conseguente terapia. Spesso il medico può richiedere la consulenza di uno specialista, un otorinolaringoiatra per i problemi inerenti le labirintiti, un fisiatra per quelli legati al colpo di frusta o all’artrosi cervicale, un neurologo per la sindrome di Menière, un medico - psicologo per i problemi di tipo menieriforme conseguenti s stress psicofisici o a sindromi ansiose. Di solito gli esami clinici cui è sottoposta una persona che soffre di vertigini sono:

Radiografia della colonna cervicale. E’ questa un’indagine radiologica eseguita sul tratto cervicale della colonna vertebrale per individuare eventuali processi artrosici o mal posizioni delle vertebre (per esempio conseguenti il colpo di frusta). Molte volte nel "vertiginoso" in cui si sospettano problemi della colonna cervicale vengono effettuate anche "radiografie dinamiche", cioè si "fotografano" con i raggi X le vertebre facendo flettere alla persona il capo in avanti, poi verso il lato destro e quello sinistro quindi in estensione verso l’alto. In questo modo si possono svelare "schiacciamenti" e spostamenti vertebrali che sono possibili cause, come già abbiamo descritto, di vertigini.

Eco - Doppler. Per osservare la pervietà delle arterie vertebrali (responsabili dell’irrorazione sanguigna degli organi dell’equilibrio) viene utilizzato l’Eco Doppler. Questo strumento diagnostico che sfrutta le onde sonore è simile a quello utilizzato per le ecografie in gravidanza, permette di scoprire eventuali compressioni delle arterie oppure "impedimenti" alla circolazione fluida del sangue dati per esempio, in età avanzata, anche da "placche" di arteriosclerosi (che sono anch’esse, quindi, causa di vertigini).

Audiogramma. Per quantificare deficit dell’udito anche minimi (importanti per differenziare varie cause di vertigini) viene usato l’audiogramma. L’apparecchio è un dispositivo elettronico che permette la somministrazione di suoni, aventi specifiche frequenze e particolari intensità, in entrambe le orecchie. La persona sotto esame dice di udire o meno questi suoni. Il risultato di questa indagine è un grafico (il vero e proprio audiogramma) da cui il medico trae importanti valutazioni, come per esempio la differenziazione tra la malattia di Menière e le più benigne sindromi menieriformi, oltre a deficit uditivi, acufeni.

Stimolazione del "labirinto". Per scoprire se le vertigini in una persona dipendono da disfunzioni specifiche dell’organo dell’equilibrio esistono particolari esami che vanno a studiare la reattività diretta del labirinto a diversi stimoli. La prova più semplice di stimolazione labirintica è una rapida rotazione, seguita da un arresto improvviso, eseguita facendo sedere la persona su di uno sgabello rotante. Poiché vi sono numerose connessioni nervose tra il "labirinto" e i muscoli che muovono gli occhi a destra e a sinistra, è impossibile con questa manovra studiare i movimenti oculari "oscillanti" (nistagmo) spesso presenti in molte malattie che danno vertigini. Un’altra prova è quella "calorica" che consiste nel provocare, in chi è malato, vertigine e nistagmo irrorando il canale esterno dell’orecchio con acqua a diverse temperature (dai 30 ai 44 gradi), individuando in questo modo, a seconda delle varie inclinazioni della testa, le specifiche zone malate del labirinto membranoso.

La medicina ufficiale: come cura

Poiché la vertigine, come si è descritto, è un sintomo causato da disfunzioni dell’organo dell’equilibrio oppure di apparati a esso collegati, la terapia dovrà essere necessariamente diversa da caso a caso. Esistono comunque farmaci che agiscono direttamente sul "sintomo" vertigine, da assumere però solo su prescrizione medica perché non privi di effetti collaterali. Fra questi gli antistaminici sono sicuramente i più utilizzati soprattutto nelle lievi vertigini accompagnate da vomito (mal di mare o mal d’auto) oppure nelle sindromi menieriformi. In queste ultime si impiegano anche tranquillanti (diazepam) con l’acido nicotinico (noto come vitamina PP o niacina). Se invece le vertigini derivano da labirintiti occorre assumere antibiotici o antivirali associando antivertiginosi come la scopolamina (disponibile come cerotto cutaneo) o la cinnarizina. Diversamente invece si affronta la malattia di Menière dove la terapia farmacologica è lunga fino ad anche 6-8 settimane con un’efficacia che varia dal 60 all’80 per cento dei casi. Nella prima e nella seconda fase si impiegano diuretici e una dieta priva di sale (per diminuire l’endolinfa in eccesso nel labirinto membranoso) unita ad antistaminici e ad alte dosi di vitamina PP (in passato la carenza di vitamina PP nella dieta provocava la "pellagra"). Nella terza fase, oltre ai farmaci, nel 3-5 per cento dei casi si ricorre all’intervento chirurgico (efficace per il 70 per cento delle volte) dove si vanno ad "allargare" le strutture che contengono l’endolinfa. In tutte e tre le fasi poi vengono insegnati particolari esercizi (di Cawthorne - Cooksey detti "vestibolari") che insegnano a evitare bruschi movimenti e ad avere consapevolezza delle posizioni del corpo con le loro variazioni, imparando così a controllare l’equilibrio nelle varie attività della vita quotidiana. Quando infine le vertigini sono dovute al colpo di frusta o all’artrosi lo specialista a cui rivolgersi è il fisiatra (oppure l’ortopedico nei casi chirurgici). Non trascurando i farmaci è qui necessario però impostare vari interventi terapeutici atti a "decontratturare" i muscoli del collo, ripristinare una corretta mobilità della colonna cervicale, ridurre le "compressioni" cervicali, impedire ulteriori blocchi muscolo - scheletrici. Può essere allora indicata la rieducazione fisioterapica con le metodiche di McKenzie, Menière o Bienfait, oppure la chiropratica per "sbloccare" le piccole articolazioni vertebrali soprattutto in conseguenza al colpo di frusta, la terapia fisica con trazioni, laser - terapia.

Ecco le cure "alternative"

Anche per le medicine cosiddette alternative le vertigini sono un sintomo e non una malattia. Vediamo allora come agopuntura, omeopatia e medicina psicosomatica curano le vertigini cercando di riportare l’equilibrio non solo nello specifico organo ma anche "globalmente" cioè in tutto l’insieme psicologico e corporeo della persona sofferente.

Agopuntura

Con l’agopuntura è sicuramente possibile risolvere uno stato sintomatico vertiginoso acuto utilizzando vari punti situati sulla sommità del capo, dietro le orecchie e "sciogliendo" le contratture dei muscoli del collo che quasi sempre sono contratti in queste situazioni. Per attuare però una duratura cura è necessario che il medico individui le cause dello squilibrio, psicologico e corporeo insieme, che provoca le vertigini. Per farlo è necessario far riferimento al sapere della medicina tradizionale cinese che spiega le vertigini nei seguenti modi:

Vuoto dell’energia renale. Nella fisiologia della medicina cinese l’energia renale è in relazione con le funzioni dell’udito e dell’equilibrio (insieme al sistema osseo, nervoso, all’eliminazione e al riassorbimento dell’acqua, ai capelli). Per cause congenite, fattori psichici come la paura, l’angoscia, lo stato ansioso, per malattie croniche debilitanti, per gli abusi sessuali, per gli sforzi mentali prolungati, per eccessi di alimenti caldi e speziati l’energia renale può consumarsi dando segni di "vuoto" dei reni. I sintomi che si presentano sono: vertigini, acufeni (fischi delle orecchie), diminuzione dell’udito, diminuzione della memoria con mente confusa, sensazione di gola secca, palmi delle mani e palme dei piedi molto calde, debolezza e dolori lombari, sudori notturni. Se il vuoto renale permane e si aggrava, le vertigini diventano più violente (sindrome di Menière) con grande stanchezza, piedi ghiacciati, vomito, diarrea, palpitazioni.

Eccesso di energia del fegato. Un’alimentazione troppo ricca di grassi, dolci, spezie, alcol, gli stati psichici come la collera (trattenuta), il risentimento, la frustrazione, l’irritazione secondaria a problemi familiari - sentimentali, di lavoro, ritmi di vita stressanti per i medici cinesi producono tutti un "surriscaldamento" del fegato. Tutto ciò porta a liberare "calore - fuoco" che, come in natura, sale verso l’alto dando i seguenti sintomi: vertigini, fischi particolarmente acuti alle orecchie, sapore amaro in bocca, sete, mal di testa alle tempie (pulsante), viso rosso, insonnia o sonno disturbato da continui sogni, diminuzione dell’udito, irritabilità, facili scatti di collera, stitichezza.

"Deficit" dell’energia dello stomaco. La vita in ambienti umidi, soprattutto in prossimità di fiumi e laghi, indossare abiti non perfettamente asciutti, le attività lavorative che mettono in continuo contatto con l’acqua, le preoccupazioni e gli eccessivi lavori intellettuali, gli orari disordinati dei pasti quotidiani (in particolare il "salto" o l’insufficiente pranzo) indeboliscono l’energia dello stomaco e della milza (organi, per i cinesi, tra loro associati). I sintomi di questo esaurimento energetico sono: vertigini associate a offuscamenti visivi, sensazioni di testa pesante e confusa, marcata stanchezza, distensione addominale con inappetenza, diarrea cronica, aspetto emaciato e pallido, gambe e caviglie gonfie, nausea, mancanza di desiderio di parlare.. La terapia in queste situazioni energetiche provocanti vertigini (in alcuni casi embricate tra loro) è il riequilibrio dei vari organi interessati con agopuntura, diete personalizzate, erbe cinesi da assumere in capsule o in forma di decotto, correzione dello stile di vita psicologico e delle attività quotidiane.

Omeopatia

Numerosi sono i rimedi omeopatici efficaci per le vertigini. Anche in questo campo medico alternativo però vi è la duplice possibilità di togliere il sintomo vertigine e di curare ciò che l’ha causato. Occorre in quest’ultimo senso un’attenta e particolareggiata indagine da parte del medico omeopata sui molteplici aspetti psicologici e fisici che caratterizzano una persona piuttosto che un’altra. In tal modo il medico svela la cosiddetta "tipologia" di base che individua una persona da un’altra che, per svariati motivi, può disequilibrarsi causando le vertigini. Facciamo un esempio di una "tipologia" che a volte soffre di crisi vertiginose, cioè il tipo Sulfur. E’ questa una persona tipicamente "calda", cioè spesso ha caldo in testa e alle piante dei piedi fino a sentirle talvolta "bruciare". Ama la doccia che lo tonifica e non il bagno che lo indebolisce; ha una mente ricca di idee e in continua attività; spesso ha momenti di depressione e può essere facilmente irritabile; molte volte sembra un tipo sicuro di sé anche se in realtà cerca "punti di appoggio", "punti di riferimento" cui affidare le proprie incertezze e i propri dubbi. Ebbene proprio quest’ultima caratteristica del tipo Sulfur è quella che può causare vertigini, quando cioè vengono a mancare persone o situazioni di "sostegno" cui la persona, quasi di nascosto si riferisce. In questo caso allora il procedimento terapeutico omeopatico sarà quello di somministrare appunto il "rimedio" Sulfur per armonizzare l’intero organismo.

Medicina psicosomatica

Secondo la scuola di medicina psicosomatica Riza quelle persone che amano vivere in una "dimensione esistenziale" in cui il "pensiero razionale" governa ogni cosa corrono il rischio di attuare via via nel tempo uno "stile di vita" tanto rigido da non permettersi mai di uscire dai limiti del "mondo concreto", divenuto così sempre più "unico vero appoggio sicuro". D’altro canto, come in ogni essere umano, in queste persone esistono altri aspetti "irrazionali" della personalità (come le emozioni, gli affetti, gli istinti, la fantasia, i sogni) che, trovando sempre meno spazio per esprimersi, cercano in qualche modo di comunicare al "mondo della testa" la loro esistenza.

Se si pensa, peraltro, a certi modi di descrivere le vertigini, come sbandare, essere disorientati, vacillare, barcollare, essere storditi, sentir girare la testa, si può notare che non solo richiamano tutti situazioni fisiche ma anche di tipo psicologico dove è chiaro il riferirsi a vissuti emotivi che possono allontanare la persona dai rassicuranti confini del pensiero razionale. Studi psicologici della personalità poi descrivono il "vertiginoso" come un individuo che vive come in una sorta di ambivalenza fra il mondo dell’alto (razionalità, etica, morale), e il mondo del basso (oscuro mondo degli istinti, delle incontrollabili emozioni, del "vortice" della passioni, temuto ma insieme desiderato, odiato e amato inconsciamente). Per la medicina psicosomatica allora la vertigine sembrerebbe essere un segnale d’allarme lanciato dalle parti personologiche irrazionali alla mente razionale divenuta troppo rigida e, paradossalmente, anche l’occasione perché l’individuo recuperi quelle parti psichiche di sé forse troppo a lungo trascurate.

Le vertigini dell'altezza

I rimedi per le persone che soffrono guardando giù da uno strapiombo.

Le erbe curative e gli esercizi che eliminano nausee e mancamenti.
Una delle più famose scene del film "La donna che visse due volte" di Alfred Hitchcock è quella in cui l'attore protagonista, durante un'azione, si trova ad una considerevole altezza dal suolo e soffre di una crisi vertiginosa. Prima però che la cinepresa mostri il drammatico momento in cui il mondo circostante gira vorticosamente agli occhi dell'attore (forse per esigenze filmiche anche un po' esageratamente) il regista "costruisce" con abilità una sensazione preesistente la vertigine vera e propria, cioè una percezione visiva delle cose che si avvicinano, si allontanano,si riavvicinano così via sempre più velocemente Ebbene, questo è quello che accade nelle persone che soffrono delle cosiddette "vertigini d'altezza" (considerate dai medici fisiologiche, ovvero normali in molte persone e assolutamente da non riferirsi ad alcuna malattia) cioè un disturbo oculare - visivo inerente l'incapacità di fissare l'immagine di cose e oggetti da grandi altezze (a volte anche pochi metri). Nella norma il cervello di una persona che si trova a guardare verso il basso (ma anche in grandi spazi intorno) a una certa altezza da terra, dopo aver ricevuto le informazioni visive dalle retine oculari, analizza le distanze delle cose e invia informazioni alle cellule nervose dell'equilibrio in modo tale che tutto il corpo si "adatti" quasi istantaneamente alla situazione. Questo "automatismo" di equilibrio è in genere appreso nei primi anni di vita dell'essere umano (cioè durante lo sviluppo neurologico, stando in piedi, camminando). Nelle persone sofferenti di vertigini da altezza il meccanismo pare in qualche modo deficitario, ovvero gli occhi non riescono a inviare esatti segnali nervosi al cervello. L'apparato dell'equilibrio, per conseguenza, entra in una sorta di continuo tentativo di adattamento. Dunque questo disturbo sembra essere causato da un funzionamento oculare non buono, certamente non ereditario ma "appreso",e inmodo scorretto,nei primi annidivita.

Ancora non è chiaro perché esso avvenga e le ipotesi di spiegazione dell'anomalo funzionamento vanno da considerazioni di carattere "ottico" (rifrazione della luce, accomodamento pupillare), ad altre di tipo psicologico come, per esempio, accade al protagonista del film citato quando in seguito a una situazione drammatica inizia ad avere le vertigini. E' certo però che stati psicologici di ansia aggravano il problema tanto che in alcune situazioni, il "vertiginoso da altezza" è in uno stato di tale paura della crisi che basta un minimo accenno a guardare in basso per scatenarla.

Quale cura si può proporre per questo disturbo? (Ricordiamo ancora una volta che non si tratta di una malattia). Esiste un buon rimedio omeopatico, Borax, da assumere preventivamente quando ci si trova in situazioni a rischio di vertigine. E' questo un rimedio dalla caratteristica efficacia terapeutica tutte le volte che si guarda verso il basso o si "scende dall'alto" e si soffre di giramenti di testa, nausea, vomito (utile quindi anche per il mal d'auto e d'aereo). Un altro intervento utile è quello dei già citati esercizi di Cawthorne - Cooksey, soprattutto quelli che insegnano a "fissare" lo sguardo in varie direzioni mentre si attuano movimenti con la testa e con il corpo.

consigli;

Tra i fiori di Bach è indicata in caso di vertigine l'assunzione di "sclerantus", erba specifica per l'equilibrio interiore della personalità. Nei momenti di crisi assumere "rescue remedy" (il rimedio del pronto soccorso) con "sclerantus".

"Cocculus" è il rimedio omeopatico più indicato per le vertigini, accompagnate da nausea e da vomito, che migliorano coricandosi: offre una buona efficacia anche per prevenire il mal d'auto e di mare. "Coca" invece è il rimedio per le vertigini da altezza soprattutto quando compaiono ronzii alle orecchie. "Tabacum" invece è adatto nelle crisi di vertigini con pallore improvviso al volto, sudori freddi, mani e piedi gelati.

In tutti i tipi di vertigine, l'erba curativa per eccellenza è la "vinca minor". La sua azione migliora la circolazione del sangue soprattutto al cervello ed è utilizzata anche per cancellare la "stanchezza mentale", i disturbi della memoria e le difficoltà di concentrazione.

Lo "yohmibehe" è l'erba particolarmente indicata per quelle vertigini che insorgono su base emotiva e sono accompagnate da crisi di insonnia, disturbi digestivi, tachicardie, sensazioni di "caldo" alla testa.

Anche gli oligoelementi (minerali) sono utili per la cura delle vertigini: il manganese riequilibra quelle derivanti da intossicazioni alimentari o farmacologiche (pesce, crostacei, acido acetilsalicilico); il cobalto invece aiuta tutte le affezioni dell'orecchio di derivazione infiammatoria (otiti); l'associazione manganese - cobalto - rame - oro - argento - iodio, infine, aiuta la terapia della sindrome di Menière.

Uno dei metodi della medicina cinese, oltre all'agopuntura, erbe e altro, è il micromassaggio, cioè la pressione di particolari punti del corpo per diminuire i sintomi di una malattia piuttosto che un'altra. Ebbene, durante le crisi vertiginose occorre che la persona sofferente (oppure chi le sta vicino) prema con l'indice di una mano, con molta decisione e per qualche minuto, un punto situato al centro della fossetta sopra - labiale situata sotto il naso.

Si consiglia a chi soffre di vertigini di seguire una dieta ricca di fegato, rene (rognone), formaggio, legumi, pesce bianco, cereali interi, frutta, tutti alimenti ricchi di vitamina PP (niacina o acido nicotinico).

Per molte persone che soffrono di vertigini sono utili gli esercizi di Cawthorne - Cooksey, eseguiti per 15 minuti due volte al giorno. Vediamo due di questi esercizi. Esercizio degli occhi: guardare in alto e poi in basso per 20 volte prima lentamente e via via sempre più rapidamente, quindi focalizzare un dito, per esempio l'indice di una mano, alla distanza di "un braccio" e poi muovere il dito indietro e in avanti per circa 3 volte raggiungendo una distanza approssimativa di 35 centimetri, quindi riallontanare il braccio. Esercizi per la testa: piegare la testa prima in avanti e poi indietro ad occhi aperti molto lentamente dapprima, quindi sempre più rapidamente per circa 20 volte; girare quindi la testa da un lato all'altro anche qui prima lentamente e poi rapidamente per 20 volte.
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VARICI

Le varici sono un'affezione delle vene che consiste in una dilatazione patologica, più frequente nelle vene superficiali e in quelle degli arti inferiori. Il termine varice è molto generale e assume, nell'accezione comune, nomi più specifici a seconda della localizzazione delle vene interessate: emorroidi, se la patologia riguarda le vene del retto, vene varicose, per le vene degli arti inferiori o varicocele per quelle dello scroto.
Nell'accezione comune il termine si riferisce esclusivamente alle varici che interessano le gambe; sono molto diffuse tra chi permane per molte ore della giornata in posizione eretta (come i direttori d'orchestra), tra le donne dopo molte gravidanze e negli obesi. Altro fattore a rischio è la presenza di un familiare già affetto dalla patologia, e ciò sembra far propendere per una causa genetica di fragilità delle pareti venose.
Il sintomo principale è la comparsa di un dolore sordo, di un senso di pesantezza agli arti che si acuisce con la stazione eretta e gonfiore alle caviglie. I sintomi peggiorano alla sera e si alleviano dopo il riposo notturno. La prevenzione è di fondamentale importanza e si muove su due fronti: uno generale, per assicurare il buono stato dell'apparato vascolare e una buona tenuta delle pareti venose, con le avvertenze di tenere sotto controllo il peso corporeo, la pressione, la glicemia, il colesterolo e i trigliceridi, evitare il fumo e ridurre l'alcool, e uno specifico per impedire o ridurre situazioni a rischio. Per esempio, nel caso di lavori che richiedono a lungo la posizione eretta, si può interrompere la posizione immobile sollevandosi sulle punte dei piedi, oppure le donne possono indossare calze a compressione graduata che facilitano il ritorno venoso.
Le complicanze più comuni sono le ulcerazioni (di solito a livello delle caviglie), le flebiti (infiammazioni dell'endotelio, il tessuto di rivestimento dei vasi sanguigni, costituito da cellule molto appiattite, derivate dal mesenchima e le tromboflebiti, con la formazione di trombi all'interno della vena, veri e propri grumi di piastrine, fibrina e globuli rossi.
La terapia delle varici è inizialmente conservativa, con l'adozione di uno stile di vita più sano e la somministrazione di principi attivi in grado di diminuire i sintomi più fastidiosi, come il senso di pesantezza alle gambe, i crampi notturni e il prurito alle gambe. A questo proposito la ricerca ha identificato anche alcune piante medicinali, come la Centella asiatica, contenente principi attivi (acido madecassico, tannini, fitosteroli) efficaci, a patto di attuare una somministrazione per alcuni mesi. I casi più seri sono trattati chirurgicamente, con la legatura e la rimozione delle safene (le due vene sottocutanee degli arti inferiori).
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EMOFILIA

Gruppo di patologie del sangue che comprende l'emofilia A (la forma più diffusa), la B e la C (la meno grave). Sono disfunzioni nella sintesi di proteine del sangue coinvolte nel processo di coagulazione. L'emofilico soffrirà perciò di emorragie spontanee, mentre quelle provocate da traumi che in un soggetto normale non avrebbero conseguenze particolari potranno dare seguito a patologie più gravi.
Emofilia A - Si tratta della forma più diffusa di emofilia: colpisce un individuo ogni 10.000. È caratterizzata da una carenza nella sintesi della subunità C del fattore VIII del sangue, una componente proteica che svolge un'importante azione nel processo di coagulazione. Questa patologia colpisce esclusivamente i maschi e si trasmette per via ereditaria. In particolare, dal momento che il gene preposto alla sintesi del fattore VIII si trova nel cromosoma X, la trasmissione per via ereditaria avviene dalla madre, che sarà portatrice sana, al figlio maschio. I figli maschi, a loro volta, trasmetteranno la patologia alle figlie, che saranno portatrici sane, ma non ai figli. In ogni caso bisogna tenere presente che questa patologia può insorgere nella donna (sempre come portatrice sana) anche non a causa di trasmissione ereditaria, ma per la mutazione di un cromosoma X (questo si verifica in una notevole percentuale di casi, circa il 30%). Alterando la capacità di coagulazione del sangue, l'emofilia provoca emorragie spontanee e aggrava il rischio in presenza di emorragie provocate da traumi o da altre cause. Inoltre, dal momento che la subunità C del fattore VIII è coinvolta nell'emostasi secondaria, l'emorragia può presentarsi in un momento successivo alla lesione: dapprima la perdita di sangue si arresta per la formazione regolare del tappo emostatico, ma in una seconda fase la carenza del coagulo fibrinico impedisce l'arresto dell'emorragia. I casi più gravi sono quelli legati alle emorragie cerebrali, mentre quelle articolari possono portare nell'emofilico al blocco dell'articolazione interessata, fino alla rigidità permanente. La diagnosi consente di evidenziare la presenza di questa patologia (test di emostasi, conteggio delle piastrine, tempo di sanguinamento, dosaggio dei fattori della coagulazione). La terapia è incentrata sull'assunzione da parte del paziente di preparazioni concentrate di fattore VIII. Queste preparazioni sono ottenute grazie ai donatori, fatto che nel recente passato ha provocato una notevole diffusione di infezioni come l'epatite virale e l'Aids fra gli emofilici. Oggi, l'aumento dei controlli e il miglioramento delle procedure di raccolta e trattamento del sangue hanno consentito la drastica riduzione di questo tipo di rischio.
Emofilia B - La carenza nella sintesi del fattore IX contraddistingue l'emofilia B. Anche questa, come la A, si trasmette per via ereditaria in relazione al cromosoma X e colpisce solo individui di sesso maschile. È meno diffusa della A: colpisce circa un individuo su 100.000. Anche in questo caso siamo in presenza di emorragie e la terapia avviene per assunzione del fattore IX di cui l'emofilico è carente.
Emofilia C - È un termine improprio, con cui si indica una patologia caratterizzata da carenza nella sintesi del fattore XI. In questo caso la trasmissione ereditaria è di tipo autosomico, perciò possono risultare malati gli individui di entrambi i sessi. Il quadro emorragico è meno grave rispetto all'emofilia A e B. La terapia consiste nell'assunzione di fattore XI.