Ottica e Contattologia
 
DISPENSA DI
RENATO VENTURA

ESISTONO DIVERSE TIPOLOGIE DI LENTI OFTALMICHE CON ALTRETTANTI TRATTAMENTI DELLE STESSE.

La prima lente oftalmica fu creata in cristallo (vetro minerale) intorno al 1280-85; contesa tra i veneziani e i fiorentini, sembra che l'invenzione risalga intorno al 4000 a.c. per alcuni resti rinvenuti in antiche tombe egizie.

La lente minerale è ancora oggi utilizzata anche se molto raramente poiché è pesante e facilmente distruttibile; è stata quasi del tutto sostituita da nuove tipologie di lenti, come la lente crown costituita da una miscela inorganica di anidridi (per lo più di silicio ) e silicati (potassio, calcio, sodio, boro, arsenico, antimonio) e ricavata dalla lavorazione a caldo di materie prime sabbiose. Le lenti si suddividono in lenti crown (cristallo), lenti crown al titanio, lenti crown al lantanio ma tutte fanno comunque parte della tipologia delle lenti in cristallo.

Esistono poi lenti in materiale organico.

La lente in materiale organico, denominata CR39, è un prodotto di laboratorio della Columbia Laboratory Resin; è un polimero sintetico derivante dal petrolio appartenente alla classe dei poliesteri (carbonato di dialliglicole) che garantisce una serie di proprietà quali la leggerezza , la resistenza agli urti e l’assenza di formazione di schegge pericolose in caso di impatto. Questo a differenza del vetro minerale che, come già detto, risulta essere più pesante e, in caso di impatto, si rompe creando delle schegge pericolose per l'organo visivo.

Nasce poi la lente in policarbonato, lo stesso materiale utilizzato nella costruzione degli elmetti della Air Force statunitense; la casa produttrice è sempre la stessa e la sua invenzione è stata introdotta nell'ottica oftalmica in virtù delle sue proprietà fisiche.
Rispetto alla lente in CR39, il policarbonato presenta un bassissimo livello di cristallizzazione per cui la sua resistenza all'impatto risulta essere decisamente superiore ad altri materiali oftalmici.

Le lenti possono essere soggette a diversi trattamenti per cui avremo le lenti fotocromatiche (si oscuriscono al sole), antiriflesso (evitano i riflessi delle luci posteriori e frontali ), a trattamento ultravioletto ( respingono la maggior parte dei raggi U.V.), a trattamento durente (evita che le lenti si danneggino con facilità), a trattamento polarizzante ( incrocio di due filtri con proprietà polarizzanti che evitano il fastidioso riverbero che si crea sull'asfalto nel mese estivo e tutti i riflessi presenti su parti lucide esposte ad una fonte di luce), a trattamento idrorepellente (evita che eventuale cadute di acqua sulle lenti creino le classiche gocce che offuscano la vista ).
E’ palese che ad ogni esigenza corrispondono diverse possibilità di lenti e relativi trattamenti.

Le aziende che, personalmente, ritengo più specializzate di tante altre sono la Transitions e la Barberini. La loro specializzazione primaria è garantire confort visivo per ogni esigenza con lenti specifiche.
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VIE VISIVE CENTRALI

Oltre alla qualità centro-on e centro-off, le cellule gangliari della retina vengono distinte, per quanto riguarda altre caratteristiche anatomo-funzionali, in cellule X, Y e W. Le cellule X, corrispondenti al tipo anatomico b, hanno corpi cellulari di piccole dimensioni e piccoli campi dendritici. Piccoli sono pure i campi recettivi e lenta la velocità di conduzione dei loro assoni. Queste cellule vengono considerate l'origine di un sistema deputato alla alta risoluzione dei dettagli.





Le cellule Y, corrispondenti al tipo morfologico a, hanno i corpi cellulari più grandi e ampie arborizzazioni dendritiche, con assoni a rapida velocità di conduzione. Questi neuroni, che rispondono solo a stimoli di grandi dimensioni e che si muovono ad alte velocità, vengono ritenuti gli elementi di origine del sistema devoluto all'analisi del movimento degli oggetti.
Le cellule W, corrispondenti al tipo morfologico g, hanno caratteristiche intermedie fra le precedenti (piccolo corpo ed estesa arborizzazione), ma la loro presenza, dimostrata nel gatto, non è stata confermata nei primati. Inoltre, molte cellule gangliari, dette ad antagonismo spettrale, sono caratterizzate da campi recettivi con zone antagoniste per differenti lunghezze d'onda. Alcune per esempio sono eccitate da una luce rossa presentata sul centro del campo recettivo e inibite se la periferia del campo è illuminata da luce verde. Altre si comportano in maniera reciproca. Altre ancora rispondono in maniera analoga ma per le coppie di colori giallo-blu.
La funzione principale della retina del primate sembra dunque quella della codificazione del campo visivo in campi recettivi antagonisti.
Il flusso di informazioni, così parzialmente elaborato dalla retina, viene convogliato ai centri nervosi superiori.


La conoscenza dell'origine nasale o temporale, destra o sinistra, delle fibre del nervo ottico, nel chiasma, nel tratto ottico e nella corteccia cerebrale riveste importanza clinica quando si voglia risalire alla sede di una lesione cerebrale sulla base delle anomalie riscontrate nel campo visivo del soggetto.
Ciascuna retina trasmette il prodotto della propria elaborazione tramite un canale fisicamente costituito da un fascetto di un milione e 200.000 fibre mieliniche, il nervo ottico, organizzate in modo da mantenere la contiguità di punti vicini sulla retina. Dopo circa 4 cm, queste fibre raggiungono il chiasma, dove avviene l'incrociamento delle fibre provenienti dalla metà nasale di ciascuna retina. Passato il chiasma, l'informazione visiva viaggia nei tratti ottici, ciascuno dei quali conduce l'immagine proveniente dall'emicampo visivo contralaterale e la distribuisce ad almeno 6 diverse stazioni sottocorticali: nuclei pretettali, collicolo superiore (tetto ottico) nucleo genicolato laterale, pulvinar, reticolare troncoencefalica ed ipotalamo. Solo delle prime tre strutture verrà detto nel seguito.


La conoscenza dell'origine nasale o temporale, destra o sinistra, delle fibre del nervo ottico, nel chiasma, nel tratto ottico e nella corteccia cerebrale riveste importanza clinica quando si voglia risalire alla sede di una lesione cerebrale sulla base delle anomalie riscontrate nel campo visivo del soggetto.
Ciascuna retina trasmette il prodotto della propria elaborazione tramite un canale fisicamente costituito da un fascetto di un milione e 200.000 fibre mieliniche, il nervo ottico, organizzate in modo da mantenere la contiguità di punti vicini sulla retina. Dopo circa 4 cm, queste fibre raggiungono il chiasma, dove avviene l'incrociamento delle fibre provenienti dalla metà nasale di ciascuna retina. Passato il chiasma, l'informazione visiva viaggia nei tratti ottici, ciascuno dei quali conduce l'immagine proveniente dall'emicampo visivo contralaterale e la distribuisce ad almeno 6 diverse stazioni sottocorticali: nuclei pretettali, collicolo superiore (tetto ottico) nucleo genicolato laterale, pulvinar, reticolare troncoencefalica ed ipotalamo. Solo delle prime tre strutture verrà detto nel seguito.


VIA RETINO-PRETETTALE


Se si indirizza un fascio di luce in un solo occhio, si ottiene sia la costrizione della pupilla dello stesso occhio (risposta diretta), che quella della pupilla dell'altro occhio (risposta consensuale). I riflessi pupillari alla luce sono mediati dai neuroni gangliari della retina che rispondono alle variazioni della luminosità globale. Queste cellule gangliari proiettano alla regione pretettale, localizzata appena rostralmente al collicolo superiore. Le cellule dell'area pretettale proiettano bilateralmente ai neuroni pregangliari parasimpatici del nucleo di Edinger-Westphal (o nucleo oculomotore accessorio), che sono situati in una zona immediatamente adiacente a quella dei motoneuroni somatici del nervo oculomotore. Gli assoni delle cellule pregangliari, seguendo il nervo oculomotore, prendono contatto sinaptico nel ganglio ciliare, da dove originano le fibre postgangliari che si portano alla muscolatura dello sfintere dell'iride.
Il riflesso pupillare ha notevole interesse clinico, in quanto, a seconda o meno della presenza della risposta consensuale di un occhio e dell'altro, si può inferire se la branca afferente (nervo ottico) o quella efferente (nervo oculomotore) di un lato o dell'altro siano danneggiate o meno.





VIA RETINO-TETTALE

Una parte delle fibre del nervo ottico si porta anche al collicolo superiore. Il collicolo superiore coordina le informazioni visive, somatiche ed uditive orientando i movimenti del capo e degli occhi verso la sorgente di uno stimolo. Nei sette strati che costituiscono il collicolo superiore, infatti, sono rappresentate tre mappe sensitive: una visiva, una somestesica della superficie corporea ed una della localizzazione spaziale dei suoni, più una mappa motoria. La rappresentazione spaziale delle strutture periferiche, in ciascuna mappa sensoriale, è allineata con quella delle altre mappe. Per esempio, i neuroni della mappa visiva, superficiale, che ricevono informazioni dal campo visivo temporale contralaterale, sono localizzati esattamente al di sopra dei neuroni della mappa uditiva, più profonda, che ricevono informazioni dalla corrispondente regione contralaterale dello spazio uditivo; analogamente, i neuroni della regione corrispondente della mappa somatica, in registro con i precedenti, ricevono informazioni dalla parte contralaterale del corpo. In tal modo, le informazioni relative alla localizzazione di uno stimolo, rispetto a una particolare regione del corpo, vanno a confluire nella stessa zona del collicolo superiore. Le tre mappe sensoriali sono infine connesse con una mappa motoria localizzata negli strati più profondi del collicolo superiore, cosicché il collicolo è in grado di utilizzare le informazioni sensitive per controllare i movimenti oculari saccadici dell'occhio, che orientano lo sguardo verso lo stimolo, di qualsiasi natura esso sia. Questa funzione è svolta dal collicolo superiore in collaborazione con i campi oculari frontali della corteccia cerebrale (area 8), che ne rappresentano una sorta di encefalizzazione. Il collicolo superiore proietta alle zone del tronco dell'encefalo che controllano i movimenti oculari, al midollo spinale per i movimenti del capo e del collo ed al cervelletto, per realizzare una migliore coordinazione dei movimenti degli occhi e della testa.


medialmente e dorsalmente, la metà superiore lateralmente e ventralmente. Oltre ad un preciso ordine retinotopico, nel genicolato laterale si trovano ancora anatomicamente separate alcune caratteristiche dell'informazione visiva, quali l'occhio da cui proviene l'impulso, nonché il tipo di cellula gangliare che gli ha dato origine. Delle 6 lamine cellulari sovrapposte, di cui è costituito il genicolato laterale, le lamine 1, 4 e 6 ricevono dalla retina nasale contralaterale e le lamine 2, 3 e 5 accolgono le fibre della retina temporale ipsilaterale, cosicché le due metà corrispondenti della retina di entrambi gli occhi sono sovrapposte in ordine quasi alternato nei vari strati, in maniera organizzata topograficamente. Di conseguenza, ciascuna lamina contiene una rappresentazione dell'emicampo visivo contralaterale in registro con le lamine contigue.
Oltre a ciò, i due diversi tipi di cellule gangliari X e Y mandano le loro terminazioni preferenzialmente su lamine diverse del genicolato. Le Y terminano in gran parte nelle lamine 1 e 2, caratterizzate da cellule più grandi e dette perciò magnocellulari, le X sulle lamine da 3 a 6, dette parvocellulari per le dimensioni più piccole dei neuroni.
In aggiunta a questo, prove sperimentali suggeriscono che delle cellule ad antagonismo spettrale sensibili al rosso e al verde, le centro-on terminano prevalentemente negli strati 5 e 6, le centro-off contribuiscono soprattutto alle lamine 3 e 4. In sintesi, la sequenza della segregazione qualitativa degli stimoli nelle lamine del genicolato è la seguente:

lamina 1, magnocellulare: cellule Y, contralaterali;
lamina 2, magnocellulare: cellule Y, ipsilaterali;
lamina 3, parvocellulare: cellule X, centro-off, ipsilaterali;
lamina 4, parvocellulare: cellule X, centro-off, contralaterali;
lamina 5, parvocellulare: cellule X, centro-on, ipsilaterali;
lamina 6, parvocellulare: cellule X, centro-on, contralaterali.

Sul piano funzionale, i campi recettivi dei neuroni del genicolato sono molto simili a quelli delle cellule gangliari della retina, prevalentemente costituiti da zone antagoniste concentriche. Per questo, fra l'altro, il genicolato laterale è stato per molto tempo considerato un semplice nucleo di ritrasmissione della via retino-striata. Tuttavia, considerazioni anatomiche derivanti dalle afferenze che questo nucleo riceve sia dalla formazione reticolare e da nuclei talamici associativi, sia, in via discendente, dalla stessa corteccia visiva, insieme a considerazioni fisiologiche derivanti dalla conoscenza della sua microcircuiteria, suggeriscono che esso sia un nucleo di integrazione del messaggio visivo. La sua probabile funzione sembrerebbe legata alla analisi del contrasto, a una qualche selezione attentiva degli stimoli visivi, ovvero provvederebbe a regolare l'entità, e forse la temporizzazione, del flusso di informazioni verso la corteccia striata.
La quasi totalità delle fibre provenienti dai neuroni del corpo genicolato terminano nella corteccia striata, l'area 17 di Brodmann, che nell'uomo si trova lungo i bordi della scissura calcarina. Le proiezioni genicolo-striate sono ancora organizzate secondo l'ordine retinotopico. Sull'area 17 di ciascun emisfero si trova rappresentato l'emicampo visivo contralaterale in maniera tale che se la scissura calcarina venisse distesa, la corteccia striata apparirebbe come un settore circolare sul quale possono essere riportate le coordinate dell'emicampo visivo. La parte foveale e perifoveale è rappresentata in corrispondenza del polo occipitale, i settori periferici inferiori del campo visivo sulla superficie superiore del solco, i settori superiori sulla superficie inferiore. Se si suddivide idealmente il campo visivo in piccole parti uguali, ciascuna di esse viene rappresentata su una superficie corticale tanto più ampia quanto più è vicina alla fovea. L'inverso ovviamente avviene se si considera la rappresentazione corticale, nel senso che se la corteccia viene suddivisa idealmente in parti uguali, a ciascuna di esse corrisponderà una porzione di campo visivo tanto più grande quanto più lontano esso sarà dalla fovea. La rappresentazione distorta del campo visivo sulla corteccia striata è un'espressione della diversa densità recettoriale e del diverso grado di convergenza dei recettori sulle cellule gangliari, fra centro e periferia della retina. Nella retina centrale, infatti, la densità recettoriale è più elevata ed il grado di convergenza sulle cellule gangliari è inferiore. Ciò fa sì che, a parità di estensione, la retina centrale sia dotata di un maggior numero di cellule gangliari rispetto alla retina periferica. Ciò si mantiene nel nervo ottico e lungo le vie visive e trova la sua manifestazione più eclatante a livello corticale, dove la rappresentazione delle parti centrali del campo visivo occupa una superficie proporzionalmente molto più grande di quella delle parti periferiche. Grazie a questo meccanismo, ed alle minor dimensioni dei campi recettivi centrali rispetto a quelli periferici, l'analisi del campo visivo centrale (fovea e parafovea) è più fine e complessa di quella a cui è soggetto il campo visivo periferico.





Organizzazione laminare della corteccia visiva primaria


Dal punto di vista istologico, la sostanza grigia che riveste gli emisferi cerebrali (corteccia cerebrale) è apparentemente uniforme, essendo costanti sia il suo spessore che i tipi cellulari che la compongono. Dal punto di vista quantitativo, però, si osservano, al microscopio, importanti variazioni, tali da poterla suddividere in aree distinte, dove alla differenziazione anatomica corrisponde puntualmente una diversità funzionale. Il principio fondamentale di tale suddivisione sta nel fatto che i neuroni corticali si distribuiscono in 6 strati, o lamine, sovrapposti e paralleli alla superficie cerebrale, che si diversificano fra loro per i tipi cellulari che vi prevalgono e per la maggiore o minore densità di fibre che vi si trovano.

Dalla superficie piale, esterna, verso la sostanza bianca, interna, si riconoscono:
1° strato, o molecolare o plessiforme: è il più superficiale, molto sottile, costituito da poche cellule e da una prevalenza di fibre tangenziali;
2° strato, o granulare esterno: costituito in prevalenza da piccole cellule piramidali;
3° strato, o piramidale esterno: costituito prevalentemente da cellule piramidali;
4° strato, o granulare interno: costituito prevalentemente da piccole cellule a corpo arrotondato, multipolari e con assone corto. Nell'area visiva primaria contiene una evidente striatura (stria di Gennari), che lo divide in approssimativamente in due, dovuta alle fibre afferenti dal nucleo genicolato laterale, per la quale quest'area è nota anche come area striata; è inoltre molto esteso ed è stato suddiviso in tre sottolamine, 4A, 4B e 4C, quest'ultima a sua volta suddivisa in 4Ca e 4Cb;
5° strato, o piramidale interno, costituito prevalentemente da cellule piramidali;
6° strato, o fusiforme: è il più profondo, costituito prevalentemente da grosse cellule prive di identità morfologica, prevalentemente uniformi.

Da un punto di vista operativo, le 6 lamine corticali possono essere raggruppate in 3 zone, funzionalmente diverse: strati sopragranulari, strato granulare e strati infragranulari, con riferimento al 4° strato. Gli strati sopragranulari sono deputati prevalentemente alle connessioni cortico-corticali: il 3° strato è prevalentemente efferente, il 2° prevalentemente afferente. Lo strato granulare è lo strato che riceve fibre da strutture sottocorticali, prevalentemente i nuclei del talamo e, per questo motivo, è molto sviluppato in tutte le aree sensitive primarie. Gli strati infragranulari sono prevalentemente efferenti, e gli assoni che vi si originano si portano a strutture diverse dalla corteccia cerebrale; sono massimamente sviluppati nelle aree motorie.
Come già riferito, i 6 strati, pur essendo sempre presenti in quasi tutto il mantello corticale (hanno struttura diversa parti relativamente piccole, di diversa origine filogenetica), hanno uno spessore relativo diverso, a spese l'uno dell'altro. Il diverso spessore dei singoli strati è alla base della classificazione citoarchitettonica di Brodmann, fatta agli inizi del secolo e tutt'ora largamente utilizzata. Questo neurologo tedesco, sezionando consecutivamente tutta la corteccia cerebrale, assegnava un numero progressivo ad una zona corticale ogni qual volta lo spessore di uno o più strati cambiava sensibilmente.


Dei neuroni che compongono l'area striata, circa il 90% ha le superfici dei dendriti e degli assoni ricche di spine sinaptiche e un'azione prevalentemente eccitatoria, la restante parte ha superfici lisce ed azione prevalentemente inibitoria. Mentre questi ultimi presentano una notevole multiformità morfologica, quelli ricchi di spine dendritiche si presentano soprattutto in due grosse categorie anatomiche: i neuroni stellati e quelli piramidali. Le cellule stellate si trovano principalmente nella lamina 4, mentre le piramidali si trovano distribuite in tutte le altre lamine.
Le fibre provenienti rispettivamente dalle zone parvocellulari e magnocellulari del genicolato laterale arrivano in zone di terminazione separate, l'input dalle lamine parvocellulari si distribuisce alle lamine 4Cb e 4A, con un contributo modesto alla parte superiore dello strato 6. Le fibre provenienti dallo strato magnocellulare si distribuiscono principalmente alla lamina 4Ca, con sparse proiezioni alla parte inferiore della lamina 6. Le successive connessioni tra i vari strati di corteccia, apparentemente casuali, sono più ordinate di quanto non appaia a prima vista. Gli strati 4 e 6, che fanno da strati recettivi, oltre ad essere interconnessi tra di essi e con le porzioni di genicolato laterale dalle quali ricevono le afferenze, mandano i loro assoni agli strati sopra e sotto granulari, che si comportano da strati di più alta integrazione. Così se si considera il flusso di impulsi del sistema X-parvocellulare, si vede che gli strati 4 e 6 inviano i loro assoni alle lamine 2-3 e 5A. Lo strato 5A poi, che riceve terminazioni, in piccola quantità, anche dal 4Ca, manda anch'esso i suoi assoni agli strati 2-3, i quali ricevono afferenze anche dal pulvinar.
Dalle lamine 2-3 i segnali vengono convogliati alle aree peristriate 18 e 19, nonché, tramite la sottolamina 5B, al collicolo superiore e al pulvinar.



Le differenze provenienti dal sistema Y-magnocellulare, dalle sottolamine 4Ca e dalla parte profonda della lamina 6 convergono sulla sottolamina 4B, i cui assoni efferenti terminano nelle aree visive del solco temporale superiore (STS), principalmente nell'area V5 (o MT), considerata come probabile sede dell'analisi del movimento degli oggetti nello spazio. Tale area, la quale riceve afferenze anche dalla parte bassa della lamina 6, è connessa reciprocamente con la sottolamina 4B.


le differenze corticali di tipo X-parvocellulare e Y-magnocellulare tendono a mantenersi separate, seppure interagiscano in qualche punto;
2) all'interno di ciascuno dei due sistemi esiste un alto grado di interazione tra i vari strati corticali e tra gli strati corticali e altre aree o nuclei del sistema visivo.
La controparte funzionale di questa organizzazione risiede nella struttura dei campi recettivi delle cellule della corteccia striata, che hanno di solito forma allungata, spesso con un orientamento preferito dell'asse maggiore. Possono essere costituiti da zone antagoniste contigue, dimostrabili con la stimolazione stazionaria di porzioni più piccole del campo stesso, come nel caso delle cellule semplici, oppure i neuroni possono dare risposte imprevedibili a tale stimolazione distrettuale del loro campo recettivo ed essere eccitati solo da stimoli in movimento, come nel caso delle cellule complesse. Infine, altri neuroni possono essere specificamente sensibili a caratteristiche ancora più complesse dello stimolo, quali la lunghezza di esso o la presenza di spigoli, ecc.: è il caso delle cellule ipercomplesse.
La distribuzione di questi gruppi funzionali è disuniforme nei vari strati: la considerazione anatomo-fisiologica che se ne ricava è che lungo lo spessore della corteccia avvengano delle modificazioni delle caratteristiche funzionali dei campi recettivi dei neuroni e che queste caratteristiche vengano determinate dalle connessioni intrinseche tra le varie lamine.

Organizzazione colonnare dell'area visiva primaria.
Alla riferita organizzazione verticale si aggiunge una ordinata organizzazione orizzontale. Durante una penetrazione perpendicolare alla superficie corticale, un microelettrodo registra l'attività di neuroni con uguale dominanza oculare (la caratteristica di uno stesso neurone di dare risposte eccitatorie maggiori alla stimolazione di un occhio rispetto all'altro). In penetrazioni oblique, invece, la dominanza oculare di neuroni o gruppi di neuroni successivi si alterna tra occhio destro e sinistro. Si è immaginato, quindi, che la proprietà della dominanza oculare fosse organizzata in colonne, o cilindretti di corteccia, del diametro di corca mezzo millimetro. Tutti i neuroni di una colonna avrebbero il campo recettivo nella stessa posizione dello spazio e risponderebbero in modo diverso solo alle diverse caratteristiche di uno stimolo visivo vhe vi fosse presentato dentro. La teoria delle colonne, che ha visto nell'organizzazione della corteccia visiva le migliori conferme, è di fatto estesa a tutta la corteccia cerebrale.





Con il metodo neuroanatomico dell'autoradiografia si è scoperto che, in realtà, le afferenze alla corteccia da ciascun occhio si distribuiscono a formare bande parallele alla superficie corticale, occupando prevalentemente il 4° strato: le cosiddette bande di dominanza oculare. Il termine di colonna, quindi, non avrebbe più motivo di essere utilizzato, ma è rimasto in vigore per indicare un'entità funzionale o modulo operativo elementare, senza più un correlato anatomico netto.
Analogamente alle caratteristiche di dominanza oculare, anche l'orientamento preferito del campo recettivo ha una distribuzione ordinata nella corteccia striata. Durante penetrazioni perpendicolari, si registra l'attività di neuroni con uguale orientamento del campo recettivo. In penetrazioni oblique, invece, si registrano neuroni con orientamenti preferiti che cambiano di pochi gradi rispetto a quelli vicini. In altri termini, neuroni incolonnati verticalmente nello spessore della corteccia striata condividono lo stesso caratteristico orientamento del campo recettivo, e tutti gli orientamenti sono rappresentati ciclicamente nel giro di un certo numero di colonne contigue. La tecnica anatomo-metabolica del 2-desossiglucosio e tecniche ancora più avanzate di colorazione in vivo hanno mostrato che le zone di corteccia più attive per stimoli con uno stesso orientamento formano anch'esse lamine perpendicolari alla superficie corticale, variamente distribuite ed interdigitate .
La colorazione della corteccia con il metodo per la citocromo-ossidasi, un enzima metabolico dei mitocondri la cui concentrazione varia in dipendenza dell'attività di alcuni neuroni, ha mostrato l'esistenza di un ulteriore sistema anatomo-funzionale nella corteccia visiva, diverso da quelli descritti prima. Gruppi di neuroni colorati con questo metodo formano "macchie" (blobs) di corteccia che interessano gli strati 2 - 3 e 5 - 6, disposte in ordine regolare sulla superficie corticale a intervalli di circa mezzo millimetro, e centrate sulle lamine di dominanza oculare. I neuroni di queste particolari zone hanno campi recettivi privi di orientamento specifico, sono organizzati secondo il modello centro-periferia e molti di essi sono attivati in maniera specifica da contrasti di colore. Inoltre, le proiezioni intracorticali, all'interno della stessa area, di tali zone ricche di citocromo-ossidasi sono più frequentemente dirette ad altre zone analoghe, rispetto a quelle delle zone circostanti, povere di citocromo-ossidasi (interblobs).
Questa organizzazione morfo-funzionale dell'area striata porta a un modello di funzionamento della corteccia visiva che vede come modulo elementare l'ipercolonna, un "cubetto" di corteccia delle dimensioni di circa 500 micron di lato, contenente circa 250.000 neuroni, nel quale si trovano due lamine di dominanza oculare (ipsilaterale e contralaterale), che incrociano trasversalmente una serie di lamine di orientamento, comprendenti un intero ciclo di 180°, e un certo numero di zone ricche di citocromo-ossidasi.
Si ipotizza che in questo modulo una piccola porzione di spazio visivo venga "analizzata" in alcune delle possibili qualità dell'immagine visiva. Per esempio, il contrasto luminoso e quindi il rilevamento dei contorni può essere codificato lungo la direzione verticale, in virtù dei vari tipi di campi recettivi distribuiti lungo lo spessore della corteccia. Le caratteristiche topografiche, posizione nell'ipercampo e tridimensionalità, possono essere analizzate in una delle direzioni orizzontali, in virtù del leggero spostamento spaziale dei campi recettivi, che si registra lungo questa direzione, in ciascuna colonna di dominanza oculare. L'orientamento può essere rappresentato anch'esso lungo il piano orizzontale, a carico delle colonne specifiche per questa qualità. Il contrasto cromatico può trovar sede nelle zone ricche di citocromo-ossidasi. Il tutto forma una matrice multidimensionale di neuroni e connessioni che agisce come unità funzionale. Dall'interazione dei singoli gruppi di elementi di questa matrice che vengono attivati dagli stimoli con le loro caratteristiche di contrasto, posizione, orientamento e colore, si formerebbero dei nuclei di attività che sarebbero responsabili dell'estrazione dell'informazione visiva dal flusso di luce riflesso da ciascuna regione dello spazio visivo.
Le ipercolonne sarebbero poi connesse tra di loro in senso orizzontale, formando un livello superiore di integrazione, sempre più grande.


ELABORAZIONE DELL'INFORMAZIONE VISIVA OLTRE L'AREA STRIATA.


Un ulteriore livello di analisi è quello che avviene molto probabilmente nelle altre aree visive "non striate". Brodmann, nel 1909, distingueva 3 aree visive, la 17, le 18 e la 19. Oggi, nel macaco, sono state trovate una ventina di aree corticali facenti parte del sistema visivo e distribuite a ricoprire la quasi totalità dei lobi occipitale, parietale e temporale. Tutte queste zone, per dare risposte elettrofisiologiche specifiche a stimoli visivi, per essere connesse anatomicamente direttamente o indirettamente con l'area visiva primaria e/o con nuclei visivi sottocorticali, per avere una più o meno completa rappresentazione retinotopica, sono considerate aree corticali visive individuali. Esse mostrano alcuni comuni principi organizzativi:
1) le connessioni tra di esse e con altri centri visivi sono generalmente reciproche;
2) le terminazioni degli assoni afferenti e i corpi cellulari dei neuroni efferenti, hanno una caratteristica distribuzione tra le varie lamine corticali.
Tuttavia, le caratteristiche funzionali dei neuroni di tali aree, almeno di quelle meglio conosciute, sembrano essere diverse tra di esse e diverse da quelle della corteccia visiva primaria. I neuroni dell'area V5, ad esempio, sembrano specificamente sensibili alla direzione e alla velocità degli stimoli luminosi, indipendentemente dalla loro forma e dal loro colore, quelli della V4 sarebbero correlati con alcune caratteristiche cromatiche, quelle della V2 alla capacità di ricostruire bordi nascosti, quelli della IT a stimoli dalle forme più complesse (mano, facce). Di altre non si sa ancora che poco.
Il modello funzionale suggerito è quello che ciascuna area sia specializzata nell'analisi di una o più qualità dello stimolo visivo. Resta dibattuta la questione se tale analisi avvenga in maniera gerarchicamente organizzata, nel senso che ciascuna area si troverebbe inserita in un circuito in serie, nel quale elaborerebbe il prodotto delle aree gerarchicamente inferiori, o se ciascuna di esse lavori in parallelo, analizzando, separatamente dalle altre, una o più qualità dello stimolo e ridistribuendo il risultato di tale elaborazione, con un processo detto di integrazione a più livelli ("multistage integration"). La variazione graduale di alcune caratteristiche funzionalmente significative, quale l'incremento delle dimensioni dei campi recettivi, man mano che ci si sposta dalla V1 all'area 8, sede dei campi oculari frontali, lascerebbe pensare ad una organizzazione gerarchica; d'altro canto, le fitte e reciproche interconnessioni tra quasi tutte le aree, che diventano ancora più` intricate se si considerano le connessioni reciproche con i centri sottocorticali, suggerirebbero un funzionamento in parallelo. In realtà, le informazioni oggi disponibili sono ancora frammentarie e insufficienti per suffragare una qualunque ipotesi sulle eventuali specializzazioni funzionali di queste aree e sui loro possibili meccanismi d'azione nella sintesi percettiva del campo visivo.
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VISIONE DEI COLORI

L'occhio umano è sensibile alle onde elettromagnetiche di lunghezza d'onda fra 400 e 700 nm (Fig. 27), che quindi compongono la "luce" visibile. In questo ambito, lunghezze d'onda diverse vengono interpretate come colori diversi, con una lenta variazione dal blu, al verde, al rosso, man mano che la lunghezza d'onda aumenta. Le persone che hanno una visione normale dei colori sono in grado di riconoscere miscele di radiazioni luminose di qualsiasi lunghezza d'onda, combinando in tre proporzioni opportune tre colori primari: il blu, il verde ed il rosso. Questa proprietà della visione dei colori, detta tricromia, dipende dalla presenza nella retina di tre tipi distinti di coni, ognuno dei quali possiede un pigmento visivo diverso. I tre pigmenti visivi si differenziano per la loro parte proteica e non per il cromoforo, che è sempre il retinale. La diversa conformazione proteica "filtra" la luce differentemente, facendo sì che solo certe lunghezze d'onda e non altre possano essere assorbite dal cromoforo, innestando così la catena della fototrasduzione.
Ciascuno dei tre pigmenti ha uno spettro di assorbimento particolare, anche se ampiamente sovrapposto a quello degli altri tipi. Un tipo di pigmento è particolarmente sensibile alle lunghezze d'onda più corte dello spettro visibile e contribuisce notevolmente alla percezione del blu (viene anche chiamato pigmento C, per onde corte, o B per blu). Un altro tipo di pigmento è particolarmente sensibile alle lunghezze d'onda medie e contribuisce notevolmente alla percezione del verde (viene detto M o V).


Il terzo pigmento assorbe preferenzialmente le lunghezze d'onda più lunghe ed è soprattutto responsabile della percezione del rosso (viene detto L o R)
Alcuni soggetti portatori di difetti genetici possiedono soltanto due pigmenti (dicromatopsia), mentre altri ne hanno soltanto uno (monocromatopsia); in quest'ultimo caso, la interpretazione dei colori è impossibile, e la visione e simile a quella delle persone normali, ma in condizione di scarsa illuminazione, quando la visione si basa esclusivamente sull'attività dei bastoncelli.
I singoli coni non sono in grado di trasmettere informazioni relative alla lunghezza d'onda degli stimoli luminosi. Quando un cono assorbe un fotone, la risposta elettrica che ne deriva è sempre la stessa, quale che sia la lunghezza d'onda del fotone. Ciò è dovuto al fatto che l'assorbimento della luce dà inizio alla isomerizzazione del cromoforo, il retinale, e questo cambio di conformazione, di tipo tutto-o-nulla, della molecola del retinale e la successiva catena di eventi che mette capo alla trasduzione dello stimolo luminoso, sono esattamente gli stessi, indipendentemente dalla lunghezza d'onda del fotone.
Il riconoscimento dei colori richiede la presenza di almeno due tipi di fotorecettori con sensibilità spettrale diversa. Un sistema di questo tipo, detto divariante, è in grado di fornire due valori diversi di luminosità per ciascun oggetto: paragonando i due valori, il sistema nervoso riesce a distinguere i colori. Se, ad esempio, un oggetto riflette prevalentemente la luce di lunghezza d'onda elevata, la risposta del sistema di coni sensibile alle lunghezza d'onda più lunghe darà una risposta maggiore di quella dell'altro sistema ed i centri superiori interpreteranno questo messaggio suggerendo che l'oggetto osservato sia giallo o rosso. Se, invece, l'oggetto riflette in particolar modo le lunghezze d'onda più corte, la risposta del sistema di coni maggiormente sensibile alle lunghezze d'onda più brevi sarà maggiore, e l'oggetto sarà visto come blu o verde. Se poi l'oggetto riflettesse in egual misura sia le lunghezze d'onda lunghe che quelle corte, l'oggetto sarebbe visto come bianco, grigio o nero a seconda della luminosità del suo sfondo. A livello della fovea, il sistema sensibile alle lunghezza d'onda corte non esiste, perciò qui la visione dei colori è divariante. Intorno alla fovea, il sistema diventa trivariante. La visione dei colori, quindi ed evidentemente, non viene impiegata per distinguere i fini dettagli spaziali delle immagini.
La teoria tricromatica attribuisce la visione dei colori all'attività dei tre tipi principali di coni, ma non spiega, di per sé, tre importanti aspetti della percezione dei colori, che sono l'opponenza cromatica, il contrasto simultaneo e la costanza dei colori.
La teoria della opponenza cromatica prevede che i tre colori primari si distribuiscano in tre coppie di colori antagoniste (ed opposte): rosso-verde, giallo-blu e bianco-nero. Le tre coppie di colori sono effettivamente rappresentate, nella retina e nelle successive vie visive, da neuroni eccitati da un colore della coppia ed inibiti dall'altro. Ciò spiega come certe combinazioni di colori tendano a cancellarsi l'un l'altro, in modo tale che certi abbinamenti non possano mai venir percepiti; non esistono, infatti, il verde-rossastro od il giallo-bluastro, mentre sono invece percepibili il rosso-bluastro (magenta), il giallo-rossastro (arancio) o il verde-bluastro (viola). La luce rossa e quella verde possono venir mescolate in modo tale che ogni traccia del rosso e del verde scompaiano e si percepisca un giallo puro; analogamente si può fare col giallo ed il blu, ed avere una percezione di bianco puro.
Il fenomeno del contrasto cromatico simultaneo si osserva a livello dei margini della sagoma di un oggetto, piuttosto che al suo interno, come nell'opponenza cromatica. Un oggetto grigio, ad esempio, visto su uno sfondo rosso acquista una sfumatura di verde; se invece è visto su uno sfondo verde, acquista una sfumatura di rosso. In queste condizioni, i colori delle tre coppie rosso-verde, giallo-blu e bianco-nero si facilitano reciprocamente, anziché antagonizzarsi. A livello della corteccia visiva sono stati trovati neuroni le cui risposte alla stimolazione cromatica mimano l'esperienza percettiva del contrasto simultaneo.
La costanza dei colori è la terza proprietà importante della visione cromatica. La miscela di lunghezze d'onda che viene riflessa dagli oggetti non è determinata soltanto dalla loro riflettanza, ma anche dalla natura delle lunghezza d'onda della luce che li illumina. Quando la composizione della luce incidente varia, i meccanismi che presiedono alla visione dei colori compensano queste variazioni, cosicché il colore degli oggetti sembra sempre lo stesso. Per esempio, un limone è giallo sia alla luce del sole, che è biancastra, che alla luce di una lampada a filamento di tungsteno, che è rossastra, o alla luce fluorescente, che è bluastra. Questa proprietà della visione dei colori è detta costanza dei colori, e dipende in gran parte dall'analisi che il sistema visivo opera nei confronti non solo di un oggetto, ma anche del suo sfondo, o comunque di ciò che lo circonda. A parità di illuminazione, infatti, sfondi di diverso colore possono conferire ad uno stesso oggetto sfumature cromatiche diverse.
Nella retina e nel nucleo genicolato laterale i colori sono codificati da cellule ad opponenza cromatica semplice. Nella corteccia cerebrale, l'informazione relativa ai colori viene elaborata nei blob, dove le caratteristiche di scarica dei singoli neuroni possono spiegare sia l'antagonismo fra i colori che il loro contrasto e la loro costanza.
Le informazioni relative ai colori vengono elaborate in una via nervosa particolare, separata da quelle che riguardano le forme ed il movimento. Le informazioni sui colori vengono analizzate dal sistema parvicellulare-blob, che si estende dal genicolato laterale fino all'area corticale V4, il cui analogo, nell'uomo, si troverebbe nei giri linguale e fusiforme, anteriormente e ventralmente rispetto alla scissura calcarina.


STEREOPSI


Uno dei principali compiti del sistema visivo, essenziali per l'interazione dell'individuo con l'ambiente, è quello di conferire alle immagini visive bidimensionali una valenza tridimensionale. Si ritiene che il passaggio dalla visione a due dimensioni a quella tridimensionale si basi su due tipi di elementi di valutazione: elementi stereoscopici basati sulla binocularità ed elementi monoculari relativi alla profondità di campo.
La visione stereoscopica si basa sul confronto delle immagini retiniche dei due occhi, ed è efficace fino ad una distanza di circa 30 metri, oltre la quale le immagini retiniche dei due occhi sono praticamente identiche. Quando si fissa un oggetto, l'immagine del punto di fissazione va a cadere, in ciascun occhio, sulla fovea, grazie ai movimenti di vergenza. Siccome, però, gli occhi distano circa 6 cm l'uno dall'altro, ogni oggetto che sia più vicino o più lontano rispetto al punto di fissazione proietta la propria immagine ad una certa distanza dalla fovea. In particolare, gli oggetti più vicini proiettano la propria immagine su punti della retina più distanti in senso orizzontale; gli oggetti più lontani la proiettano su punti della retina più vicini . In altri termini, tanto più un oggetto è vicino all'osservatore, rispetto ad un punto di fissazione più lontano, tanto più le sue immagini si formeranno, su ogni occhio, esternamente rispetto alla fovea. La distanza fra immagini del punto fissato ed immagini dell'altro punto prende il nome di disparità retinica. Questo fenomeno è apprezzabile anche soggettivamente. Se si fissa un oggetto posto ad una certa distanza (1-2 metri, ad esempio), tutte le immagini degli oggetti più vicini e più lontani rispetto a quello fissato appaiono sdoppiate. Il sistema visivo è in grado di calcolare tale disparità e di assegnare, quindi, un senso di maggiore o minore profondità agli oggetti dello spazio visivo.
La visione stereoscopica non origina nella retina o nel corpo genicolato laterale, ma si forma a livello della corteccia striata, o a livelli ancora più elevati, dove vengono combinati i segnali provenienti dai due occhi. L'esistenza di neuroni sensibili alla disparità retinica è stata messa in evidenza un po' in tutta la via magnocellulare: in V1, nelle strisce spesse di V2 (evidenziabili, al posto dei blobs, con le reazioni per la citocromossidasi) ed in V5 (MT).
Quanto finora descritto prende il nome di stereopsi primaria, mentre per stereopsi secondaria si intende un insieme di meccanismi che, per via monoculare, sono in grado comunque di dare informazioni sulla profondità degli oggetti nello spazio visivo. La stereopsi secondaria è operativa, da sola, oltre i 30 metri di distanza dall'osservatore, in quanto oltre questa distanza si diventa praticamente monoculari (le immagini retiniche dei due occhi sono essenzialmente identiche), ed in associazione con la stereopsi primaria a distanze inferiori. Gli elementi monoculari di valutazione della profondità di campo, sono essenzialmente cinque, e sono gli stessi utilizzati per valutare la profondità in un'immagine bidimensionale, come una cartolina, un disegno od una ripresa cinematografica o televisiva:
-) familiarità con l'oggetto. Se si conoscono le dimensioni di un oggetto, se ne può valutare la distanza;
-) interposizione. Se un'immagine è parzialmente coperta da un'altra, la seconda è più vicina della prima;
-) prospettiva lineare. Le linee parallele, come quelle dei binari, tendono a convergere con la distanza; tanto maggiore è la convergenza, tanto maggiore è la distanza degli oggetti nella regione della convergenza stessa;
-) distribuzione delle ombre e della illuminazione. Le macchie di colore più luminose tendono ad essere viste come più vicine (effetto "chiaroscuro" dei pittori);
-) movimento di parallasse. Se si muove la testa o il corpo da una parte all'altra, le immagini degli oggetti presenti nel campo visivo si muovono sulla retina. Gli oggetti più vicini sembrano muoversi più velocemente ed in senso inverso ai nostri movimenti, gli oggetti più lontani sembrano muoversi più lentamente.
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NUOVE FRONTIERE PER SCONFIGGERE LA CECITAì

Un minuscolo dispositivo elettrico collegato alla retina potrebbe un giorno consentire ai pazienti colpiti dalla degenerazione maculare senile di recuperare la vista. Il dispositivo, attualmente nelle fasi iniziali di sviluppo, fa parte di una nuova classe di protesi "intelligenti" che mettono in collegamento il cervello e il sistema nervoso per ripristinare funzionalità perse a causa di patologie o infortuni. Dispositivi analoghi di stimolazione elettrica sono stati utilizzati per il trattamento della sordità, mentre altri sono in fase di studio. La retina artificiale è progettata per supplire al malfunzionamento delle cellule fotorecettrici deputate alla cattura e all'elaborazione dei segnali luminosi. M. Humayun (University of South California) ritiene che questa tecnologia potrà essere utilizzata sui pazienti che hanno perduto la vista a causa della degenerazione maculare senile. Questa patologia è la causa principale di cecità fra gli adulti nelle nazioni più sviluppate e ha colpito circa trenta milioni di persone. Humayun e i suoi colleghi, con il supporto di Second Sight Medical Products, stanno lavorando su un impianto in corso di sperimentazione negli Stati Uniti. L'impianto è stato sperimentato su sei pazienti e ha dato esiti superiori alle aspettative, consentendo ai soggetti di distinguere oggetti semplici come una tazza, un piatto e un coltello. Il dispositivo è costituito da una piccola telecamera montata su occhiali, che trasmette i dati all'impianto, applicato all'esterno del bulbo oculare e collegato mediante un cavo alla retina. I pazienti inoltre devono portare un trasmettitore alla cintura, che gestisce l'elaborazione dei dati e alimenta il dispositivo. Humayun, che ha assistito i pazienti nel corso dell'esperimento, ha dichiarato che riteneva, nella migliore delle ipotesi, che i pazienti sarebbero stati in grado di distinguere luce e buio. La versione preliminare dell'impianto consisteva di sedici elettrodi (o pixel). La versione più recente contiene sessanta elettrodi, mentre le sue dimensioni si sono ridotte a un quarto. La retina artificiale ha lo scopo di creare una nuova "strada" per consentire alle immagini di raggiungere il cervello. Il nuovo ciclo di prove coinvolgerà da cinquanta a settantacinque pazienti in cinque centri negli USA, per un periodo da uno a due anni. Se l'esito fosse positivo, Humayun ritiene che il dispositivo potrebbe venire commercializzato entro due anni.
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NON VUOI PIU' PROBLEMI DI OCCHIALI ?

Spesso essere portatori di occhiali e/o di lenti a contatto diventa un handicap, spesso ti senti legato nei movimenti e non puoi fare quello che desideri.

La chirurgia oftalmica mediante l’operazione laser ha già beneficiato migliaia di persone in tutto il mondo.
Dopo una visita specialistica valuteremo il tuo caso e ti consiglieremo il trattamento più idoneo ai tuoi occhi.

Domande frequenti
D: quali sono i principali difetti refrattivi che si possono curare con il laser?
R : miopia, ipermetropia, astigmatismo

D: tutti possono farsi l’operazione laser?
R: NO! tutto dipende dall’esito dell’esame oculistico.

D: cosa devo sapere e/o fare prima dell’operazione?
R: il paziente viene informato di ogni aspetto del trattamento e delle eventuali complicazioni

D: l’operazione è dolorosa?
R: NO! viene utilizzato un anestetico locale prima del trattamento.

D: quanto dura l’operazione?
R: l’operazione dura al massimo 1-2 minuti

D: cosa succede durante il trattamento?
R: ci si distende su un lettino posto sotto al microscopio del laser, verrà applicato un divaricatore palpebrale e successivamente il chirurgo rimuoverà lo strato cellulare più superficiale della cornea.
Subito dopo verrà utilizzato il laser agendo sulla cornea modificandone la curvatura e correggendo il difetto visivo.
Alla fine del trattamento l’occhio verrà medicato con dei colliri antibiotici e antinfiammatori.

D: cosa devo fare dopo il trattamento?
R: verranno richieste delle visite di controllo .

D: cosa posso e non posso fare dopo il trattamento?
R: non ci sono limiti, l’unica accortezza evitare per i primi periodi ambienti assolati, polvere e fumo, utilizzare occhiali da sole e applicare del collirio in caso di bisogno(sensazione di secchezza)

D: quanti tipi di laser esistono ?
R: esistono 3(tre) tipi PRK, LASIK e PTK
Il PRK, consiste nell’applicare il laser direttamente sulla cornea dopo aver rimosso lo strato di cellule superficiali della cornea.
Il LASIK, è una procedura che combina le due cose vedi in questa pagina alla voce
Il PTK, è una tecnica che si utilizza subito dopo l’intervento di chirurgia per migliorare i risultati oppure come mezzo terapeutico per alcune patologie corneali.
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UN OTTIMO ANTIOSSIDANTE PER PROTEGGERE I TUOI OCCHI

La Luteina oltre ad altri componenti come il carotene e il mirtillo , aiuta e combatte la degenerazione maculare.
Questi due componenti si trovano nella frutta e nei vegetali ( qui aggiungo del tipo biologico) poiché sono del parere che tanti alimenti della terra venendo a contatto con elementi chimici perdano molto della loro efficacia.
La Luteina oltre a svolgere un’importante azione antiossidante, forma i cosiddetti pigmenti maculari, una specie di filtro che impedisce alle radiazioni nocive di raggiungere e danneggiare la retina. Una dose corretta di Luteina e di circa 6mm, basta consumare 50 grammi di spinaci, cavoli, fagiolini e tutte le verdure a foglia verde al giorno. Questi elementi li possiamo trovare anche come integratori da utilizzare a periodi alterni.
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IL BLINKING

Il bhnking è lo sbattere le palpebre. Abbiamo visto che l'occhio è rivestito esternamente da una sottile membrana protettiva trasparente, la congiuntiva, attaccata alle palpebre.
La congiuntiva viene costantemente umidilicata dalle lacrime. Non sto parlando delle lacrime abbondanti che sgorgano dagli occhi quando piangiamo ma di una continua, moderata emissione di liquido che ha una funzione importantissima. infatti serve a lubrificare, rendendolo agevole, lo scorrimento delle palpebre sulla congiuntiva e a "lavare" quest'ultima.
Come tutti possiamo notare la polvere si deposita continuamente su ogni cosa, crea uno strato opaco resistente al passaggio della luce. Per una buona vista è fondamentale che la congiuntiva resti trasparente, pulita, inumidita.
Lo sbattimento delle palpebre serve proprio a questo scopo.
Appena un corpuscolo entra nell'occhio proviamo un forte fastidio, sbattiamo fortemente le palpebre e iniziamo a lacrimare, ciò serve a cercare di rimuovere il corpuscolo, a farlo uscire dall'occhio.
Quando siamo rilassati le palpebre si chiudono spontaneamente e frequentemente, Ma quando siamo troppo concentrati su qualcosa spesso "dimentichiamo" di sbattere le palpebre. L'immobilizzazione delle palpebre è legata strettamente alla più generale immobilizzazione degli occhi.
Coloro che soffrono di disturbi visivi, che hanno gli occhi troppo tesi, immobili, contratti, hanno spesso anche le palpebre immobili e contratte e ciò danneggia ulteriormente gli occhi.
Quelle sensazioni di secchezza, di infiammazione, offuscamento degli occhi sono dovute a un'insufficiente lubrificazione della congiuntiva dovuta all'immobilismo delle palpebre.
Occorre allora imparare a riacquistare le abitudini corrette:
sbattere frequentemente le palpebre
Mediamente compiamo un ammiccamento ogni 5 secondi, ammiccare molto più frequentemente può essere segno di nervosismo o di tic nervosi, ammiccare molto più raramente e segno di una fissità nociva all'occhio.

L'esercizio

L'esercizio del blinking si compie facendo una decina di battute di palpebre veloci, aspettando qualche secondo a occhi chiusi, battendo dieci volte le palpebre, restando ad occhi chiusi, e così via per alcuni minuti alternando battute e riposo Ciò servirà a interrompere al momento quella fissità in atto e ad abituarsi col tempo a battere le palpebre con una frequenza naturale.

Quando fare il blinking

Anche per questo esercizio, ogni momento è buono. Vale la pena all’inizio di farlo qualche minuto ogni ora perché ciò vi restituirà in breve tempo l'abitudine a un ritmo regolare di battute durante tutta la giornata. Inoltre vi aiuterà a rendervi conto sempre di più di quando e quanto state immobilizzando i vostri occhi È fondamentale farlo spesso durante l'esecuzione di lavori minuziosi che richiedono di restare concentrati su particolari minuti. per esempio se leggete uno stampato a caratteri molto fitti. se fate l’orologiaio o il disegnatore tecnico o qualunque lavoro manuale di precisione.

Il blinking accentuato

Esiste un altro esercizio. simile al blinking, da fare quando volete esercitare un massaggio oculare più energico o quando gli occhi vi prudono.
Non è mai bene grattare gli occhi. stropicciarli tormentarli con le dita o le nocche.

L'esercizio

Se sentite il bisogno di stropicciarvi gli occhi ricorrete a questo esercizio e chiudete gli occhi stringendo al massimo le palpebre, più forte che potete, rilasciate i muscoli, riposate, dopo qualche secondo ripetete. Verrà coinvolta tutta la muscolatura facciale, non solo i muscoli delle palpebre, ma anche quelli della zona intorno agli occhi, della bocca, della fronte, delle guance.
Il prurito passerà e avrete esercitato un proficuo autornassaggio della zona circostante.
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IL PALMING

Il palming è un esercizio che mira a rilassare gli occhi.
Abbiamo detto che le maggiori cause di disturbi oculari sono la tensione, la contrazione. lo sforzo.
Una situazione generale di tensione intellettuale comporta sovraffaticamento oculare e viceversa.
Il palming si inserisce in questo circuito chiuso cercando di introdurre il rilassamento.
Ovviamente agisce sia a livello fisico sia a livello psichico. Nessuna persona lanciata in un iper-sforzo intellettuale si sognerà mai di interromperlo per rilassarsi un attimo. Farlo è già un gesto di consapevolezza. E già rendersi conto che cosi facendo ci si autodanneggia. accettare una breve interruzione per continuare in condizioni migliori è già occuparsi attivamente del proprio benessere. e già interrompere quella corsa folle che porta ad agire contro la propria natura e la propria salute.
É già un segno concreto della volontà di guarire.

L'esercizio

L'esercizio in sé è molto semplice.
Si tratta di coprirsi gli occhi con le palme delle mani La posizione più comoda è da seduti.
appoggiando i gomiti tavolo, le palme delle mani agli zigomi e le dita alla fronte. Questo perché gli occhi non vanno compressi, schiacciati o stropicciati durante il palming, vanno solo coperti, per evitare il passaggio della luce. Anche il contatto con le mani è benefico. Le nostre mani vanno sempre spontaneamente dove c'è dolore o danno. Con esse copriamo una ferita, ci comprimiamo una parte dolente, ci massaggiamo un punto doloroso.
Non entrerò qui nei particolari della benefica azione delle mani apposte sulle zone malate.
Lo scopo del palming è quello di rilassare gli occhi, tenerli lontani per alcuni attimi dalle stimolazioni delle onde luminose e dallo sforzo dell'atto visivo. Creare il buio.
Una persona che non ha disturbi visivi vedrà facilmente buio con questo esercizio. Un buio uniforme, nero, omogeneo.
Al contrario coloro che soffrono di qualche difficoltà visiva vedranno un buio punteggiato di luci, attraversato da strisce biancastre, macchie grigie o colorate.
Questo ci dice che l'occhio non è rilassato. Sta ancora vivendo il processo visivo ed è incapace di "staccare".
Per favorire il rilassamento e ottenere un buio uniforme è utile usare l'immaginazione. Immaginate scene rilassanti, possono essere ricordi gradevoli o fantasie rassicuranti. Tutto è concesso purché sia distensivo. E ricordatevi: se immaginate o richiamate alla mente una scena passata seguitela: non fissatevi su un quadro statico. un'immagine immobile, un particolare unico, lasciate scorrere la vostra immaginazione e con essa il vostro occhio intemo' sulle immagini. lasciatela vagare qua e là, passare da un particolare all’altro.
Dopo alcuni minuti. il tempo richiesto dipende dallo stato di tensione del vostro occhio. il buio si farà più omogeneo, più compatto.
Quando riaprirete gli occhi, fatelo piano piano, vi accorgerete che la vostra vista è leggermente migliorata e rimarrà tale per qualche tempo. Ripetendo frequentemente l'esercizio ne riprodurrete i vantaggi.

Quando fare il palming?

Più spesso possibile. Ogni occasione è buona. È comunque
d'obbligo quando sentite gli occhi stanchi e affaticati, quando
avvertite la tensione oculare, quando gli occhi divengono doloranti.
È bene farlo di tanto in tanto mentre leggete, mentre scrivete,
o se siete in qualunque modo tenuti a guardare per lungo tempo
a distanza ravvicinata.

Per quali disturbi è utile
Il palming è l'esercizio base utile per ogni disturbo: miopia, presbiopia, ipermetropia, astigmatismo ecc.
Quanto deve durare

Può durare quanto volete, non c'è limite massimo. ed è meglio qualche minuto che nulla. Una durata media potrebbe essere di una decina di minuti e ripetuto più volte al giorno.
Ma credo che ognuno debba trovare il suo ritmo naturale, ci sarà chi preferisce fare 2-3 minuti di palming ogni pagina letta o chi preferirà prendersi una mezz'ora o un'ora a fine lavoro.

Il palming mentale

Se in particolari circostanze sentite gli occhi affaticati e non potete proprio mettervi nella posizione indicata per l'esercizio potrete ricorrere come sostitutivo al cosiddetto "palming mentale". Chiudete cioè semplicemente gli occhi e lasciate correre l'immaginazione su scene distensive, massaggiatevi leggermente la zona intorno agli occhi, zigomi, sopracciglia, tempie.
Il palming a mani incrociate esercita anche, con la lieve pressione delle mani, un'azione rilassante sui muscoli circostanti mentre quello mentale ovviamente no: in questo caso potrete ottenere l'effetto rilassante con lievi massaggi nella zona periorbitale. Il palming mentale non è cosi efficace come l'esercizio completo, ma anche qui, in caso di necessità, meglio qualche minuto di questo che nulla.
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CONGIUNTIVITI ALLERGICHE

Le congiuntiviti, sono le più comuni infezioni oculari. Sono caratterizzate da edema palpebrale, iperemia congiuntivale, a volte secrezione catarrale o mucopurulenta, lacrimazione, senso di corpo estraneo ed eventuale presenza di emorragie sottocongiuntivali.
Possono presentare più comunemente un’eziologia virale, batterica o allergica.
Le forme allergiche, in assoluto le più frequenti, sono spesso stagionali, croniche, caratterizzate da esacerbazione e remissioni.
Possono comparire in soggetti atopici, associate ad eczemi o più raramente a broncospasmo.
Il segno clinico distintivo è la presenza di prurito accompagnato e sostituto da manifestazioni “ticcoidi”.
In genere sono ben controllate da colliri antistaminici

Congiuntivite primaverile
Una forma più rara e severa è la congiuntivite primaverile (vernal secondo gli autori americani) è una manifestazione oculare atopica mediata dalle IgE. Oggi si ritiene che sia l’esposizione alle radiazioni UV ad avere un effetto scatenante. I sintomi sono rappresentati da prurito e fotofobia, che spesso si associano a lacrimazione intensa e secrezione viscosa e si accentuano in condizioni ambientali caldo-umide (peggiora spesso in estate)
Le alterazioni congiuntivali interessano prevalentemente la congiuntiva tarsale e sono costituite da papille, secondarie all’ipertrofia dei follicoli linfatici ivi presenti, che danno alla mucosa un aspetto caratteristico ad “acciottolato romano”.
Le papille possono essere di dimensioni così importanti da determinare una sofferenza corneale per il continuo sfregamento durante i movimenti di ammiccamento. L’ipertrofia dei follicoli linfatici limbari può produrre delle lesioni epiteliali biancastre denominate noduli di Trantas.

Quando la sintomatologia è intensa è necessario l’uso dei cortisonici locali 1-3 volte al giorno sotto stretto controllo specialistico (secondo alcuni studi anche la ciclosporina in collirio) e successivamente farmaci antistaminici e stabilizzanti la membrana cellulare, come l’olopatadina o il
disodiodicromoglicato la levocabastina tre volte al giorno per tutto il periodo di reattività. Nelle forme meno gravi ci si può avvalere di preparati antistaminici ad uso topico, da utilizzarsi due volte al giorno sino alla scomparsa dei sintomi. Si consiglia sempre l’uso di di un cappellino con visiere e di occhiali da sole (fascianti e che coprano il sopracciglio) sia per evitare la fotofobia sia per proteggere l’occhio dai raggi ultravioletti in grado di esacerbare la sintomatologia.
La prognosi può anche essere molto severa dal punto di vista visivo se le lesioni corneali esitano in densi leucomi, per questo è necessaria una stretta collaborazione dei genitori e l'assoluta "adherence" alle indicazioni dello specialista. In genere con la pubertà anche le forme più gravi si attenuano notevolmente.
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MAGGIORE INCIDENZA DI DANNI ALLA SUPERFICE OCULARE NELLE DONNE CON INSUFFICIENZA OVARICA PREMATURA

Lo scopo degli Autori è stato quello di esaminare se le donne con insufficienza ovarica prematura presentassero anomalie sulla superficie oculare o nei parametri di lacrimazione.Sono state arruolate 65 donne con insufficienza ovarica prematura.
Le donne con insufficienza ovarica prematura avevano un punteggio significativamente peggiore rispetto ai controlli, riguardo a tutti i parametri di danno alla superficie oculare,tra cui il punteggio Oxford ed il punteggio di van Bijsterveld.
Il gruppo affetto da insufficienza ovarica prematura tendeva, inoltre, ad avere punteggi peggiori rispetto ai controlli riguardo i sintomi auto-riferiti, misurati mediante l'Ocular Surface Disease Index ed il NEI-VFQ 25.
Non sono state osservate differenze nel test Schirmer e nel test BUT ( tear breakup time ,tempo di rottura del film lacrimale).
Le donne con insufficienza ovarica prematura sembrano avere una maggiore probabilità di presentare danni alla superficie oculare e sintomi di secchezza agli occhi che non i controlli. Tuttavia, non hanno una maggiore predisposizione alla riduzione della produzione lacrimale.( Xagena2OO4)

Smith JA et al, Arch Ophthalmol. 2004;122:151-156
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LA MACULOPATIA

La maculopatia atrofica. È la forma più comune del difetto retinico, costituisce circa il 70% delle maculopatie senili. È la conseguenza dell’invecchiamento della retina e della macula stessa. incomincia con la comparsa di depositi nel fondo oculare e poi evolve in un assottigliamento della macula e dei tessuti sottostanti. tale processo progredisce lentamente, determinando un lento deterioramento delle capacità visive. La terapia spesso consiste nel somministrare oligoelementi di zinco e selenio, vitamina A,E,C, ed antiossidanti.
Importante è, inoltre una valida protezione con degli occhiali da sole. Come prevenire questa patologia è consigliabile verso i 50 anni un controllo oculistico periodico.
Il problema "RETINA"
rimane purtroppo per molte persone ancora un problema irrisolvibile in quanto la medicina in molti casi non è in grado di promettere miracoli. Tuttavia oggi rispetto a ieri abbiamo fatto molti passi in avanti sia a livello diagnostico che terapeutico. Grazie all'ausilio dei sistemi angiografici digitali ad alta risoluzione, della tomografia ottica a radiazione coerente (OCT) e della microperimetria computerizzata oggi è possibile diagnosticare con estrema precisione alcune forme di degerazione retinica che fino a ieri non eravamo in grado di individuare e questo ha permesso a noi oculisti retinologi di poter meglio comprendere la storia naturale di alcune malattie retiniche in modo da poterle diagnosticare e trattare più precocemente.
La moderna tecnologia ci ha poi messo a disposizione nuove modalità terapeutiche come la terapia fotodinamica, l'iniezione intravitreale di triamcinolone e nuove tecniche chirurgiche che sicuramente hanno contribuito in modo significativo a migliorare la qualità di vita e della visione di molte persone affette da malattie degenerative e vascolari della retina. Sicuramente c'è ancora molto da fare, molte malattie retiniche non possono essere curate e tanto meno guarite e proprio per questo motivo in tutto il mondo centinaia di ricercatori stanno portando avanti importanti ricerche che sicuramente porteranno prima o poi alla scoperta di importanti cure.
Per il momento l'unica arma che abbiamo è la prevenzione e la diagnosi precoce mediante visite oculistiche periodiche ma soprattutto mediante l'esecuzione di fotografie retiniche che possano essere confrontate nel tempo unite a esami non invasivi come l'OCT.
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I METODI SBAGLIATI DI CURARE LA MIOPIA

Il metodo utilizzato per correggere la miopia normalmente è la sottocorrezione cioè prescrivere le diottrie di 0,50 (mezzo grado) circa in meno, Questo in realtà porterebbe ad un deterioramento più rapido della vista.
La miopia e causata da vari fattori tra cui la deformazione del bulbo oculare( cioè più lungo della norma) oppure un difetto del cristallino.
Nel primo caso la messa a fuoco cade prima della retina , nel secondo la focalizzazione del cristallino non avviene per un indurimento dello stesso .
Con l’occhiale si cerca di correggere questo difetto cercando di far focalizzare il punto focale sulla retina, mentre con la lente a contatto (L.A.C.) oltre la correzione della diottria avviene una pressione della lente sull’occhio così accorciando la distanza focale in modo che questa cada sulla retina.
Alcuni optometristi hanno adottato la terapia undercorrecting una specie di ginnastica oculare dove si porta il paziente a focalizzare solo su oggetti lontani,questo tipo di terapia però sembra che peggiori la vista con un aumento di rischio di patologie del tipo distacco retinico, glaucoma, retinopatie e in alcuni casi il rischio di cecità.
Lo studio doveva essere condotto per 3 anni, tuttavia dopo 2 anni si è deciso di sospendere la pratica perché si era osservato un peggioramento significativo.
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PATOLOGIE OCULARI
lista di patologie oculari più conosciute

Leucoma

Opacizzazione corneale circoscritta

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Cheratite

Infiammazione corneale, sintomatologia: fotofobia, lacrimazione e dolore.

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Coloboma irideo

Una mancanza di parte dell'iride

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Eterocromia iridea

Diversità di colorazione iridea tra le due iridi

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Ectopia della lente

decentrazione del cristallino

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Cataratta

Opacità del cristallino spesso si riscontra in diabetici oppure soggetti esposti a radiazioni.

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Gerontoxon

Degenerazione della parte periferica della cornea e perdita di trasparenza.
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glaucoma primario ad angolo aperto

(un tempo indicato con il termine glaucoma cronico semplice).
Aumento della pressione oculare, all'interno della cavità oculare è presente un liquido, l'umor acqueo, che viene dinamicamente prodotto e riassorbito. Se il meccanismo di equilibrio della quantità di umor acqueo si altera, con accumulo di liquido, la pressione interna aumenta, con effetto di compressione degli organi adiacenti, in particolar modo la testa del nervo ottico.
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Calazio (ciste Meibomiana)

Si presenta con un rigonfiamento tondeggiante nella palpebra inferiore, dovuto dall'ostruzione di una delle ghiandole di meibonio.
può comparire a qualsiasi età, particolarmente frequente in soggetti che soffrono di acne rosacea o dermatite seborroica.
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dermatite seborroica

Eruzione rossastra, squamosa e pruriginosa, compare sul viso, naso, sopraccicglia, cuoio capelluto, torace e schiena.


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Acne rosacea

Malattia dermatologica cronica, la sua caratteristica e l'arrossamento del naso e delle guance.
spesso questa patologia avviene per cause di abuso di creme corticosteroidi.


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Acromatopsia

Incapacità di percepire i colori, malattia spesso ereditaria o da lesioni retiniche e in grado di fornire immagini in blu oppure in tinte intermedie.


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Amaurosi fugace

Perdita trnasitoria della vista, normalmente provocata dalla temporanea ostruzione dei piccoli vasi sanguigni dell'occhio. questo sintomo non è mai da trascurare poichè potrebbe essere un chiaro segnale di un evventuale ictus o cardiopatia coronarica.

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Blefarite

Infiammazione palpebrale accompagnata da un arrossamento, la sensazione e quella di avere dei granuli sotto le palpebre.

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Cheratocongiuntivite

Infiammazione corneale associata a congiuntivite, la più frequente e il tipo epidemico causata da un virus che in genere provoca rigonfiamenti dolorosi di un linfonodo posto davanti all'orecchio.
E' una forma infettiva, si nota una membrana biancastra sulla congiuntiva e minuscole macchie opache sulla cornea simili a fiocchi di neve.


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Cheratocongiuntivite secca

la caratteristica e la sua scarsa lacrimazione e una malattia autoimmuni quali artrite reumatoide, lupus eritematoso sistemico.
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Dacrioadenite

Processo infiammatorio a carico della ghiandola lacrimale.

Dacriocistite

Infiammazione a carico del sacco lacrimale che è posto tra l'angolo interno palpebrale e il naso. i sintomi spesso sono dolori, arrossamento gonfiore e pus.
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Emorragia sottocongiutivale

I vasi sanguigni nella sclera(parte bianca dell'occhio) sono fargili hanno scarso sostegno e si rompono con facilità, questo normalmente accade spontaneamente oppure provocato da un colpo di tosse. La causa e un innalzamento della pressione delle vene dell'occhio.

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Orzaiolo

piccola raccolta di pus situata sulle palpebre causato da un processo infettivo.

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Pinguecola

Piccola macchia giallastra presente sulla congiuntiva, spesso la si nota negli anziani ed è provocata dagli ultravioletti della luce solare.
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Anisocoria

differenza di ampiezza del diametro pupillare , spesso dovuto dal sistema nervoso.
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LA PRESSIONE OCULARE NEL GLAUCOMA

Alcuni pazienti affetti da glaucoma potrebbero essere soggetti a una maggiore pressione oculare durante il sonno; se così fosse, la gravità della patologia potrebbe non venire rilevata nel corso degli esami svolti durante il giorno. Secondo quanto riportato in un articolo pubblicato nel numero di febbraio della rivista Archives of Ophthalmology, l'elevata pressione intraoculare, la tensione all'interno del bulbo oculare e le maggiori fluttuazioni di pressione quotidiane potrebbero accrescere il rischio dello sviluppo o del peggioramento del glaucoma. Un glaucoma non trattato può condurre alla cecità. R. Weinreb e J. Liu (University of California, San Diego) sostengono che la comprensione delle variazioni di pressione potrebbe consentire di perfezionare la terapia della patologia. L'elevata pressione intraoculare viene generalmente riconosciuta come il più importante fattore di rischio per lo sviluppo del glaucoma ad angolo aperto e per la sua progressione, hanno dichiarato. Alcuni studi precedenti hanno riscontrato che la pressione intraoculare potrebbe essere maggiore quando il paziente è coricato. Ciò è probabilmente dovuto al fatto che in quella posizione l'occhio è allo stesso livello del cuore: aumenta quindi la resistenza nel flusso del fluido nell'occhio che genera probabilmente una pressione maggiore. Nello studio in oggetto, T. Hara (Jichi Medical School, Giappone) e i suoi colleghi hanno misurato la pressione intraoculare in 148 pazienti con glaucoma non trattato ricoverati presso l'ospedale Hara Eye di Utsunomiya. Le misurazioni sono state ripetute 12 volte in 24 ore, incluse tre ore notturne. In ogni circostanza è stata misurata la pressione a paziente seduto e a paziente sdraiato, affinché venissero rilevati tre livelli per paziente: la pressione in posizione da seduto, la pressione in posizione coricata e la pressione calcolata unendo i valori da seduto a paziente sveglio e i valori da sdraiato a paziente addormentato. Sono quindi stati calcolati il picco, la media e la fluttuazione di ciascun livello. Il picco di pressione media per i pazienti seduti è risultato inferiore a quello dei pazienti coricati, il che fa pensare che misurare la pressione esclusivamente durante il giorno non rifletta accuratamente i rischi a cui va incontro il soggetto.
LA  MIOPIA

Si parla di miopia quando la vista da lontano é ridotta. La persona miope, quindi, vede bene e senza alcun problema a distanza ravvicinata, mentre le immagini lontane le appaiono sfocate. La ragione di questo é da collegare a un maggior potere di far convergere i raggi luminosi da parte di cornea e cristallino (il diottro oculare) o a una maggiore lunghezza del bulbo oculare. Per una di queste due ragioni, i raggi  vanno a focalizzarsi non  sulla retina, ma   bensi  in un punto anteriore (davanti a essa),   realizzando  cosi una visione sfocata, indistinta degli oggetti, di grado variabile a seconda del livello di miopia.
QUALI SONO LE CAUSE  Sulle cause che possono dar luogo alla miopia sono state avanzate molte teorie, che chiamano in causa fattori ereditari, ambientali e ovviamente fisici. Comunque la predisposizione familiare ha un ruolo importante nei casi seri di miopia (cioè quella degenerativa), mentre altri fattori quali la difficoltà visiva, la scorretta alimentazione, l’essere nati prematuri e le malattie endocrine, potrebbero giocare un certo ruolo nella miopia semplice.
CHE  TIPI CI SONO  Non tutte le miopie sono uguali: possono avere, infatti, origini e sviluppo molto diversi. Alcune sono CONGENITE altre ACQUISITE 
 CONGENITA La miopia congenita, cioè presente sin dalla nascita, può essere di grado medio o elevato e   spesso si accompagna ad alterazioni della retina. Questo tipo di miopia é stazionario.
ACQUISITA La miopia acquisita, invece, compare con il passare degli anni e può manifestarsi in quattro forme.
  Semplice  È’ quella che inizia in età scolare e aumenta nel periodo dello sviluppo. In genere, é lieve o media (non supera le 6 diottrie) e si può correggere con le lenti.
 Senile  Quella senile (miopia d'indice) é la miopia tipica delle persone anziane, che in genere soffrono di cataratta (opacizzazione del cristallino).
 Transitoria Si tratta di un tipo di miopia solo temporanea, dovuta all'uso di alcuni farmaci oppure a un elevato tasso di zuccheri nel sangue (iperglicemia).
 Degenerativa É la forma più seria di miopia. Compare verso i 2-3 anni e progredisce nel tempo fino ad arrivare in certi casi anche a 30-40 diottrie.
CHE LIVELLI DI GRAVITA’  HA  La miopia viene classificata dagli specialisti a  seconda della serietà del difetto in tre livelli.
Lieve o leggera  fino a 3 diottrie. Media da 3 a 6 diottrie. Elevata é quella che va oltre le 6 diottrie.
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UTILIZZO DELLE LENTI A CONTATTO (L.A.C.)
RELATIVE PRECAUZIONI

DISPENSA DI
RENATO VENTURA

Le tipologie di lenti a contatto sono tante, dalle semirigide (oramai poco usate tranne in casi eccezionali), alle toriche morbide e alle morbide sferiche.
Ce ne sono di varie caratteristiche, dalle annuali, alle mensili, alle giornaliere, dipende dal tipo di utilizzo e dalle esigenze personali.
La differenza tra la morbida torica e la morbida sferica sta nel fatto che la prima, oltre a correggere la messa a fuoco, corregge l'astigmatismo, mentre la seconda corregge prettamente la messa a fuoco. In questo modo si riesce a equilibrare la maggior parte delle diottrie, evitando l'uso degli occhiali in determinate occasioni.
Sono del parere, comunque, che con un adeguato insegnamento e assistenza da parte del contattologo, le lenti a contatto (LAC) migliori sono le mensili e le annuali.
Una delle motivazioni a conforto di questa affermazione è il tipo di polimero utilizzato per la costruzione delle lenti mensili o annuali che è completamente differente da quello usato per le giornaliere.

Difficilmente esiste un paziente che non sia in grado di poter utilizzare le LAC. Tutto dipende, non tanto dalla capacità del paziente e dalla reazione dell'occhio, quanto dalla professionalità e soprattutto dalla pazienza del contattologo nel saper insegnare ad applicare e togliere le LAC (e personalmente vi garantisco che è la cosa più semplice che esista).
Una delle prime cose che chiedo ai miei pazienti è la loro disponibilità, tenendo presente che, affinché non nascano problemi, il tempo minimo per imparare correttamente l'utilizzo delle LAC va dai 5 ai 10 giorni; al termine di questo periodo, cosiddetto di prova, il paziente entra in pieno possesso delle LAC.

Per quanto riguarda, invece, la conservazione delle LAC esistono oggi diversi prodotti; in passato si utilizzava la soluzione conservante abbinata alla salina per il risciaquo oppure il perossido e il neutralizzante, oggi esistono prodotti denominati soluzioni uniche che svolgono entrambi i compiti di risciacquare e conservare. E' fondamentale controllarne la composizione e accertarsi che non contenga THIMEROSAL, un conservante chimico che in alcuni pazienti potrebbe creare problemi anche seri. Inoltre è importante accertarsi che il flacone sia INTEGRO, diversamente il liquido in esso contenuto perde la sua caratteristica di sterilizzazione .
E' superfluo far notare che, in caso di fastidi o persistenti irritazioni, occorre interrompere l'uso delle LAC e consultare il proprio contattologo che, qualora lo ritenga opportuno,Vi consiglierà una visita specialistica oculistica.
Le cause principali di eventuali fastidi oculari possono dipendere dall'utilizzo delle LAC con le mani sporche, presenza nell'occhio di agenti esterni e/o intolleranza al prodotto di conservazione.

Ricordarsi sempre di :
- lavare, sciacquare ed asciugare bene le mani prima di utilizzare le LAC, l'acqua è deleteria per le lenti;

- sostituire giornalmente il conservante ne prta lenti;

- non riutilizzare la soluzione conservante presente nel porta lenti;

- non utilizzare MAI saliva, acqua, soluzione fisiologica o qualsiasi altro prodotto diverso da quelli consigliati dal proprio
contattologo;

- sostituire il portalenti in caso di cristallizzazione, presenza di graffi e/o sporcizia.

Quando non utilizzare le LAC:

- in presenza di condizioni di salute ti tipo infiammatorio quali raffreddore, allergie, arrossamenti oculari;
- in ambienti chiusi e/o poco areati oppure in presenza di fumo; nel caso in cui ciò non si possa evitare, utilizzare frequentemente
un collirio per sostituire la lacrima in caso di secchezza oculare.

Possibili problemi nell'uso delle LAC:

- sensazione di corpo estraneo, disagio, fotofobia (sensibilità alla luce), dolore acuto, bruciore, eccessiva lacrimazione, iridi
oppure aloni intorno alla lente.

Cosa fare qualora si verifichi un problema:

- controllare allo specchio che non ci siano presenze di corpi estranei e/o anomali sulla lente; in caso affermativo, dopo aver
lavato accuratamente le mani, togliere le lenti, risciaquarle e riapplicarle;
- le LAC potrebbero risultare danneggiate: in questo caso non tentare ASSOLUTAMENTE di riapplicarle ma sostituirle con
quelle nuove;
- nel caso in cui, nonostante questi accorgimenti, il problema dovesse persistere, togliere le lenti IMMEDIATAMENTE onde
evitare eventuali congiuntiviti, ulcere corneali, rigetti, perdita permanente della vista e consultare il contattologo.
miopia : l'immagine si visualizza prima della retina
astigmatismo : l'immagine si visualizza distorta
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OBESITA' E RISCHI PER LA VISTA

Secondo un rapporto dal Royal National Institute of the Blind britannico, il numero crescente di adulti e bambini obesi hanno un rischio doppio rispetto allo standard di perdere la vista a causa di diverse patologie degenerative dell'occhio. Recentemente, un ente governativo ha dichiarato che circa un terzo degli uomini inglesi entro il 2010 sarà a rischio di obesità se non si intraprende alcuna misura per affrontare il problema. L'obesità è già considerata come una della principali cause prevenibili di morte per patologie cardiache e diabetiche; secondo quest'ultimo studio svolge un ruolo chiave anche ne confronti della perdita della vista. Secondo B. McLaughlan (Royal National Institute of the Blind), molte persone sono convinte che non avranno mai problemi con la vista, ma con l'impressionante aumento nella diffusione dell'obesità che si è verificato negli ultimi anni, molte di queste persone stanno inconsapevolmente mettendo a rischio la salute della loro vista per gli anni a venire. Il rapporto ha posto in evidenza il rischio per i soggetti obesi di essere colpiti da tre fra le principali cause di perdita della vista: degenerazione maculare senile (AMD), una patologia che colpisce la retina ed è la principale causa di perdita della vista nel Regno Unito; retinopatia diabetica, una perdita progressiva della visione che colpisce il 60% dei soggetti colpiti da diabete di tipo 2; cataratte, una patologia del cristallino responsabile di un quarto dei casi di perdita della vista nei soggetti con più di 75 anni. Dai risultati emerge che i soggetti obesi hanno un livello di rischio doppio di soffrire di AMD o cataratte e dieci volte più probabilità di sviluppare il diabete di tipo 2 rispetto ai soggetti normopeso. Secondo McLaughlan è importante seguire uno stile di vita sano, controllando il peso, adottando un'alimentazione varia ed equilibrata e dedicando un po' di tempo all'esercizio fisico, eliminando il vizio del fumo e, soprattutto, controllando periodicamente la salute degli occhi: molti infatti perdono la vista ogni anno a causa di patologie che avrebbero potuto essere curate se diagnosticate in tempo, aggiunge McLaughlan.
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TIPOLOGIE DI DIFETTI VISIVI

I difetti visivi (ametropie) sono la miopia, l'ipermetropia e l'astigmatismo.

La miopia :
è il difetto visivo più diffuso nel mondo occidentale; ne soffre circa una persona su quattro. È un vizio di rifrazione causato da particolari condizioni anatomiche oculari, ossia una curvatura abnorme della cornea o un allungamento dell'asse anteroposteriore dell'occhio. Questi difetti fanno sì che i raggi luminosi provenienti dagli oggetti distanti vadano a fuoco su un piano anteriore rispetto alla retina, sulla quale invece le immagini risultano sfocate (non si hanno invece problemi nella visione da vicino). Le miopie possono essere assiali (il difetto prevalente è l'allungamento del bulbo oculare), di curvatura (eccessiva curvatura di cornea o cristallino), di indice (aumento dell'indice di rifrazione del cristallino). La miopia si misura in diottrie, che aumentano all'aumentare del difetto. Fino a 3 diottrie si ha miopia leggera, fino a 6 diottrie è media, fino a 8 è forte, oltre è considerata elevata. La correzione della miopia si può ottenere mediante occhiali a lenti divergenti, lenti a contatto, intervento chirurgico. La correzione con gli occhiali garantisce il ripristino della visione da lontano, ma molti preferiscono ricorrere alle lenti a contatto (soprattutto nel caso di miopie elevate), che consentono, come gli occhiali, il recupero della visione normale. Nella correzione chirurgica della miopia si agisce a livello della cornea, modificandone la curvatura e, quindi, la rifrazione. Le tecniche utilizzate comprendono la cheratotomia radiale, la cheratomileusi, il rimodellamento corneale mediante laser a eccimeri.

L'ipermetropia :
colpisce circa cinque milioni di persone in Italia; si tratta di un difetto visivo causato dal fatto che l'occhio è troppo corto. Di conseguenza i raggi luminosi convergono in un punto che si trova dietro la retina, su cui invece l'immagine risulta annebbiata. Se il difetto non è grave, l'ipermetrope riesce a vedere bene gli oggetti lontani, ma non quelli vicini. Tuttavia, lo sforzo continuo causa spesso l'insorgenza di sintomi di affaticamento dell'occhio. Questo difetto può essere corretto con l'uso di occhiali a lenti convesse, di lenti a contatto e con un intervento chirurgico con laser a eccimeri, tutte tecniche che permettono all'ipermetrope di recuperare una visione nitida.

Gli astigmatici:
in Italia sono circa 3 milioni e molti di essi soffrono anche di miopia o ipermetropia. Nell'astigmatico l'occhio non è né troppo corto né troppo lungo; il difetto è a carico della cornea che, invece di avere una forma approssimativamente sferica, è più curva in alcune zone e meno curva in altre. Questo fa sì che l'immagine si formi contemporaneamente dietro e davanti la retina, che riceve perciò un'immagine deformata. L'astigmatico ha perciò una visione annebbiata degli oggetti. L'astigmatismo si può correggere con occhiali a lenti concavo-convesse (cilindriche), con le lenti a contatto e con l'intervento chirurgico.
ipermetropia : l'immagine si visualizza dietro la retina
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